Regia – Johannes Roberts (2018)
Nulla è più spettrale di un villaggio vacanze in inverno, uno di quelli un po’ cheap poi, con i bungalow prefabbricati e la piscina con le palme al neon, un non-luogo vero e proprio, progettato per il divertimento e tramutato in un deserto. Una della cose che Roberts azzecca subito, per questo seguito del film di Bertino, è proprio l’ambientazione. Ne azzecca tante altre, e non capisco sinceramente l’accanimento nei confronti del film da parte di molta critica specializzata e non, ma l’idea di spostare il racconto dalle quattro mura di una casa agli spazi aperti di un camping, trasformando di fatto The Strangers da home invasion a slasher, è la migliore di tutte.
Un bravo va anche allo stesso Bertino che ha scritto la sceneggiatura originale e che non si è fatto prendere dalla tentazione di replicare con la carta carbone il suo film del 2008 e ha optato per un drastico cambiamento di tono e atmosfera, sicuramente più nelle corde di un regista come Roberts, non di certo un campione di eleganza, uno con la mano pesantissima, responsabile di film eccellenti come 47 Metri e di robaccia vergognosa come The Other Side of the Door.
Ora, il copione di Prey at Night calza a pennello allo stile di Roberts e il risultato è una delle pacchianate più divertenti dell’anno in corso.
La formula dello slasher degli anni ’80 voleva l’assassino mascherato, dotato del dono dell’ubiquità e dell’onniscienza per quanto riguarda i nascondigli delle sue vittime, nonché virtualmente immortale. Moltiplicate tutto per tre (ovvero le maschere del primo film, rimaste invariate) e avrete chiara la situazione presentata da Prey at Night ancora prima vi sedervi a vedere il film. Può piacervi o non piacervi, considerando che rispetto al capostipite, questo film se ne va per fatti suoi, rigettandone il realismo e l’attitudine minimale e preferendo buttarla in una magnifica caciara.
The Strangers: Prey at Night ha l’andamento di una macchina sportiva che si ritrova bloccata in un ingorgo per i primi 20 minuti e poi, finalmente, ha una lunga strada libera e diritta davanti e può correre a tutta velocità, senza ostacoli, senza rallentamenti, senza buche sul terreno a rallentare il ritmo, senza neanche una curva. Tutto dritto, liscio, lineare, perfetto.
Si perdonano volentieri le caratterizzazioni facilone (ma davvero, nel 2018, per farci capire che un’adolescente è ribelle, bisogna metterle una maglietta dei Ramones?), l’abbaiare a ogni inquadratura in cui è presente di Christina Hendricks, e una prima parte noiosa, ma volutamente noiosa, nel senso che Roberts evita tutti i trucchetti tipici delle sezioni introduttive di parecchi horror, quelle dove ti tocca per forza presentare i personaggi, ma ci piazzi quei due o tre jump scares fintissimi (il gatto nei bidoni della spazzatura è il più gettonato) che servono a ricordare allo spettatore che sì, si tratta di un horror; Roberts (un po’ come faceva anche in 47 Metri), di questa regola se ne infischia e, se è vero che dei conflitti familiari e delle scaramucce mamma-figlia ci interessa il giusto, utilizza il tempo prima che il massacro cominci per farci conoscere il non-luogo, ovvero la cosa più bella del suo film.
Noi abbiamo visto gli “Strangers” in azione nella prima sequenza del film, quindi sappiamo già che si trovano nei paraggi quando la famigliola protagonista arriva al villaggio (il motivo per cui vanno lì fuori stagione è risibile, ma la trama del film è risibile e quindi pace): quando la coppia di fratello e sorella va a farsi una passeggiata notturna lungo i vialetti bui e i prefabbricati vuoti, Roberts li accompagna e li lascia ciarlare di cose prive di interesse, perché non sono loro il fuoco della scena, bensì l’ambiente in cui, a breve, diventeranno prede, tra le altre cose molto ben fotografato da Ryan Samul. Credo sia un bel modo, pienamente cinematografico, di raccontare un posto.
La passeggiatina si conclude malissimo e, giusto il tempo di una breve autocitazione dal suo esordio britannico, F (se non lo avete visto, sbrigatevi), Roberts si lancia in un’oretta da accademia del cinema slasher. A quel punto, il ritmo si alza a precipizio, il sangue comincia a scorrere – anche se non quanto avrei voluto – e non c’è spazio per altro se non la sopravvivenza.
Gli adulti del film compiono scelte opinabili e tocca ai due adolescenti risolvere la situazione, privati della guida dei genitori e lasciati soli a sbrigarsela con i tre assassini mascherati. Non ci sono punti di riferimento, non c’è un’autorità a cui far capo: solo questo luogo infernale e desolato e tre mostri che si divertono ad ammazzare la gente senza motivazioni. Da apprezzare anche il fatto di aver lasciato l’assenza di ragioni per uccidere, che era l’elemento scatenante vero terrore nel primo film. A “Perché eravate in casa”, si sostituisce un ancora più raggelante “Perché no?”, quando una delle vittime chiede al carnefice perché hanno preso di mira proprio loro. Roberts dimostra di aver appreso la lezione di Bertino, ovvero che la paura deriva proprio dal vuoto di razionalità delle azioni altrui. Michael Myers non ha alcun motivo per andarsene in giro a uccidere, e i film successivi al primo, che approfondiscono il personaggio, lo rendono meno efficace; già Jason ci fa meno paura, perché lui ha i suoi motivi per sbucciare adolescenti. Se c’è un motivo, c’è la possibilità di un dialogo, può esserci comunicazione, la violenza la riesci a spiegare; così, tutto si riduce a “Perché no?” ed è questo che spaventa sul serio.
Non ho messo in mezzo Michael Myers a casaccio: Prey at Night è un film che, se fossi in Carpenter, citerei in tribunale per plagio, sicura di vincere. A partire dal tema musicale, che è una scopiazzatura svergognatissima di quello di The Fog, passando per il finale, un omaggio spudorato a Christine, fino ad arrivare all’atmosfera, Roberts sembra aver studiato al catechismo carpenteriano, senza applicarsi eccessivamente, perché sa di non avere la classe e la raffinatezza del Maestro, ma quel tanto che basta per assimilare le nozioni di base: mai spiegare troppo, mai sforzarsi di essere chiari, il silenzio è tuo amico, sii freddo, spietato e crudele.
A partire dal primo attacco degli assassini alla famigliola protagonista, fino a una sequenza in piscina che è forse la più bella del film, Roberts rispetta tutti i paletti sopra elencati. Poi si fa prendere un po’ troppo la mano dal suo gusto eccessivamente pacchiano e conclude abbandonando qualunque pretesa non di realismo (che noi del realismo non sappiamo cosa farcene), ma di minimo sindacale di verosimiglianza e conclude con una scena che, seppur girata alla grande, chiede davvero troppo alla nostra sospensione dell’incredulità.
Ma va bene così: The Strangers: Prey at Night non si merita la ferocia con cui è stato stroncato, ed è un ottimo filmetto horror estivo, disimpegnato e truculento.
il primo mi era piaciuto tantissimo (dove con “piaciuto” intendo che mi aveva spaventata a morte), quindi ero molto curiosa di questo seguito. mi si era smorzato un po’ l’entusiasmo leggendo critiche negative ovunque, ma i due blog di cui mi fido di più (ovvero il tuo e il bollalmanacco) ne hanno parlato entrambi oggi e esprimendo praticamente lo stesso giudizio positivo, per cui al diavolo i critici: ho già deciso che me lo godrò 😀
Alcuni critici non hanno proprio voglia di capire un genere pieno di sfaccettature come l’horror. Per cui, vai tranquilla, che ti divertirai un mondo. Non fa paura come il primo, questo è sicuro, anche perché è un film completamente diverso, ma il divertimento è garantito 🙂
Dedicato a tutti quei critici refrattari all’horror per partito preso (che non avrebbero COMUNQUE concesso nessuna indulgenza a The Strangers: Prey at Night) : “Non ti curar di lor ma guarda e passa” 😉
Ai titoli che hai citato aggiungerei anche il suo Storage 24, co-sceneggiato con Noel “Mickey Smith” Clarke: altro film molto amato da buona parte della critica (che poi, incomprensibilmente, si sarebbe dimostrata più tollerante proprio verso quell’ambizioso soprannatural-pastrocchio di The Other Side of the Door), come da prassi, ma a me non era dispiaciuto …
Giusto! Storage 24 era un altro gran bel film. Come sempre, in patria Roberts ha diretto roba un po’ meno patinata rispetto a quella che poi è andato a girare negli USA, ma questo rimane un film molto divertente e scorrevolissimo.
E citando un esimio intenditori di horror “non c’è la ciccia”. Per forza, è uno slasher 😀
Comunque, ieri sera, quando ne abbiamo parlato mi ero dimenticato di dire la cosa della t-shirt dei Ramones, ma l’ha scritta tu oggi.
Tra l’altro, manco la vecchia t-shirt classica, ma quella da shop fighetto di oggi.
Ribelle – maglietta di un gruppo a caso. Ormai è uno standard per identificare l’adolescente problematico 😀
L’espertone di horror che si lamentava della mancanza di “ciccia” in uno slasher è sempre nei nostri cuori!
Fare riferimento alla verosimiglianza analizzando uno slasher può essere indice di malafede, però secondo me troppo spesso TS:PaN la fa proprio fuori dal vaso. Prendi uno qualsiasi dei Venerdì 13: nessuno cerca la verosimiglianza, però se Jason esce dall’acqua inzuppatissimo e subito dopo è asciutto e pettinato un po’ di fastidio te lo suscita; ed è Venerdì 13, caratterizzato da una forte connotazione soprannaturale, immagina il fastidio se cose di questo genere succedano in uno slasher tutto sommato con pretese realistiche…
Onestamente, in tempi recenti ho apprezzato vari film che aggiornavano lo slasher (tipo Kristy, o il sequel di The Town That Dreaded Sundown), ma questo The Strangers 2 mi ha molto deluso.
Ma se Jason esce dall’acqua asciutto non è un problema di verosimiglianza, ma della segretaria di edizione che dormiva 😀
Non so quanto Kristy possa essere definito slasher, è più un home invasion classico, mentre su TTtDS mi trovi assolutamente d’accordo.
Comunque io su questa storia della verosimiglianza, ci faccio un post e, se me lo permetti, cito il tuo esempio su Jason 😀
Anzi, mi fa piacere.
In alcuni Venerdì 13 si tocca proprio il ridicolo, tipo che (cito quello che scrissi sullo special a suo tempo riferendomi al Final Chapter):
“una ragazza sta facendo (nuda, obviously) il solito, idiota bagno nel laghetto in notturna. Dopo la nuotata, fa una pennichella su un gommone piazzato lì non si sa bene per quale ragione. Jason – che evidentemente si trovava da un bel po’ sott’acqua – la uccide infilzandola da sotto il gommone. A quel punto la raggiunge il suo ragazzo, che la scorge sopra il gommone, PERCHE’ OVVIAMENTE UN GOMMONE BUCATO NON SI SGONFIA! Inutile dire che Jason ammazza anche lui, così come inutile è far rilevare che quando rivediamo Jason non è – come sarebbe stato logico – inzuppato fradicio, ma è asciutto come appena uscito da una lavanderia a secco.”
Sono curiosissimo di leggere il tuo post sulla verosimiglianza, anche perchè alcune volte le incongruenze non sono crasse come quella sopracitate, ma quasi altrettanto fastidiose. Ho visto ieri un film indonesiano, Satan’s Slaves, del 2017, e onestamente non capisco come si possa concepire – in fase di montaggio – che un tizio seppellisca suo figlio e il giorno dopo te lo ritrovi che ridacchia rilassato asseme agli amici… per me questo è ancora più becero di qualsiasi Jason che esce asciutto dal lago.
Io gli ho voluto benissimo, lo sai. Ad avercene di caciare ben dirette così!
Ciao Lucia e bentornata!.. Personalmente ho trovato questo film molto prevedibile,ben girato,ci mancherebbe,ma l’ho visto come un compitino ben eseguito.. però senza cuore e forse fuori tempo massimo..10 anni sono tanti per (quasi) tutti gli horror..invece del regista ho davvero apprezzato F e mi è piaciuto anche the other side of the Doors..come sempre è un piacere leggere le tue recensioni..una buona serata