Revenge

 Regia – Coralie Fargeat (2017)

Proprio il film che stavo aspettando, proprio quello di cui avevo bisogno. Potrei chiuderla qui, dire a tutti voi di precipitarsi a vedere Revenge e poi occupare il mio tempo facendo partire una bella petizione online per portare Shudder anche qui in Italia. Ma, purtroppo per voi, Revenge è un film che non solo mi è piaciuto da matti, ma mi ha anche fatto venire voglia di scrivere.
Negli ultimi anni, finalmente, alcune registe hanno deciso di dedicarsi al cinema di genere e hanno cominciato a impadronirsi anche di un filone molto particolare, da sempre appannaggio di un occhio maschile, ovvero il Rape & Revenge. Il che, se ci pensate, è abbastanza paradossale: un’esperienza come quella della violenza sessuale quasi sempre raccontata, al cinema, da un uomo. Certo, era exploitation, il più delle volte ed escludendo casi di film più riusciti, e anche l’exploitation è sempre stata un territorio tutto al maschile.
E, invece le cose si stanno muovendo persino in questo ambito: un film come M.F.A., dell’anno scorso, è un esempio abbastanza calzante di cosa succede quando è una donna a raccontare una vicenda simile. Ma la francese Coralie Fargeat, esordiente, si spinge ancora oltre rispetto alla sua collega americana, perché Revenge è un’opera che starebbe benissimo all’interno della exploitation anni ’70 ed è quindi un film di genere che rivendica con orgoglio il suo essere tale.

Un miliardario francese porta la sua giovane amante Jen (Matilda Lutz) a passare un paio di giorni nella villa di lui, dispersa in mezzo al deserto (il film è stato girato in Marocco, ma non ha un’ambientazione specifica), prima che due soci lo raggiungano per una battuta di caccia. I soci però arrivano in anticipo e il miliardario non fa in tempo a lasciare sola Jen per un paio d’ore, che uno degli altri ospiti la stupra perché, ehi, è una proprietà del suo amichetto, ed è giusto che la condivida, no?
Jen vorrebbe solo tornare a casa, ma il suo amante non è d’accordo: le offre del denaro e un lavoro per farla stare zitta, lei non ci sta, cerca di scappare, viene inseguita, spinta giù da un dirupo e data per morta.
Come nella migliore tradizione del R&R, Jen non è affatto morta, ha una capacità di ripresa prodigiosa ed è, giustamente, incazzata nera per quello che le è stato fatto.

I punti di riferimento, dichiarati, di Fargeat sono Duel e Rambo. Siamo subito in un territorio molto distante dalle riflessioni su violenza e potere di M.F.A. Siamo, al contrario, all’interno di puro e semplice, più lineare di così non si può, cinema di genere, ma con la prospettiva cambiata, anzi, ribaltata completamente. Non bisogna avvicinarsi a Revenge cercando del realismo o della verosimiglianza, come non li si è mai cercati in certi film d’azione anni ’80 in cui l’eroe sopportava decine e decine di ferite e alla fine usciva fuori vittorioso. O come non li si cercava nella eploitation del decennio precedente. Revenge non è un’opera realista, è un violentissimo, estremo film d’azione pieno di sangue (ettolitri di sangue, raramente ne ho visto tanto nello spazio di così poco tempo) con una protagonista che pronuncerà sei parole in quasi due ore e che farà tutta una serie di cose volutamente impossibili per portare a termine la sua vendetta.

Revenge è un film spaccato in due: la prima parte è non solo preparatoria alla furia della seconda, ma ci presenta Jen filtrata attraverso lo sguardo maschile dei tre che a breve diventeranno i suoi carnefici. Fargeat la fa scendere dall’elicottero con tanto di lecca-lecca, mentre la macchina da presa ruota attorno al suo corpo magnifico con la stessa insistenza di un guardone. E sarà così fino alla scena della violenza, atroce perché lasciata quasi del tutto fuori campo e con un fattore shock affidato esclusivamente alla potenza del sonoro. Ma Revenge è, in generale, un film che poggia tantissimo sulla resa di sonoro e montaggio.
Da quel momento in poi, vero spartiacque nella storia, Jen cambia, perché cambia il modo in cui noi la vediamo, cambia quindi il punto di vista (aridaje), cambia la prospettiva e il personaggio assume una luce diversa, si trasforma, fisicamente (le cambia il colore dei capelli) e mentalmente: da giovanissima (poco più che una ragazzina) preda un po’ ingenua, in cacciatrice implacabile e spietata. Attraverso una rinascita dal fuoco, su cui non posso dire altro per non fare spoiler, Jen comincia una nuova vita. E saranno grossi problemi per chi oserà mettersi in mezzo.

La seconda parte del film è costituita da circa un’ora di azione senza un attimo di tregua o di respiro, e anche senza dialoghi che non siano meramente di servizio. Tutto il resto è movimento, fuga, spari e coltellate, girati da Dio, con un ritmo che non ti dà il tempo di respirare e un uso della violenza liberatorio, primitivo e viscerale.
Fargeat, al suo esordio, è già un mostro di bravura: gestisce le scene d’azione con fluidità e chiarezza, non si perde nella sindrome dei diecimila stacchi al secondo con macchina a mano, ma è morbida, elegante, ha in testa scandite con precisione le dinamiche della suspense, delle attese insostenibili e delle deflagrazioni nel sangue e nella polvere del deserto; tramuta la pacchianissima villa del miliardario in uno scannatoio, impiastricciando col sangue pareti e pavimenti; tiene il confronto finale tra Jen e il suo ormai molto ex amante nello spazio di un corridoio, con lui completamente nudo a scappare da lei e poi a inseguirla, anche qui, in un rovesciamento di ruoli, dove è, una volta tanto, il corpo maschile a essere esposto e vulnerabile.
Un gioiello, un trionfo, un film che non avrei mai pensato potesse essere così nuovo, raccontando una storia così vecchia.

E poi c’è lei, Matilda Lutz, che si prende un rischio enorme a interpretare un ruolo simile, come del resto se lo è preso Fargeat a scriverlo e dirigerlo, e lo affronta con invidiabile naturalezza, nonché con un pizzico di incoscienza. Una parte fisica, faticosa, impegnativa, con poco spazio dato alla riflessione, tutta incentrata sullo scontro, in una gestione del corpo femminile che mi ha ricordato molto quella di Neil Marshall in The Descent.
Matilda Lutz/Jen è la stella splendente del film: se non avesse funzionato lei, sarebbe crollato tutto. E invece ha avuto un gran coraggio (e una gran fiducia nella sua regista, credo) e il coraggio quasi sempre paga.
Non so come continuerà la carriera di Fargeat, dopo questo esordio coi fuochi d’artificio, non so se ha intenzione di dedicarsi all’horror o ad altri generi, ma io la vedo come uno dei futuri possibili del cinema action, a livello mondiale. E vorrei proprio sapere cosa combinerebbe alle prese con un filmone ad alto budget. Credo farebbe un casino tale da farsi ricordare per i prossimi vent’anni. Per il momento, correte tutti a vedere Revenge, perché ci meritiamo, ogni tanto, qualcosa di davvero bello.

18 commenti

  1. Film che mi incuriosisce, anche per certe reazioni sollevate negli USA, dove sostanzialmente c’è chi ha sostenuto “non è piaciuto ai critici maschi, quindi dev’essere bello per forza”. Si è anche detto che “fa sentire minacciati gli uomini”, che è una cosa che mi fa un po’ ridere, considerando che è un film, non uno sconosciuto che ti entra in casa e ti minaccia..
    La tua recensione mi tranquillizza perché temevo fosse una specie di tesi per immagini, mentre da quel che mi dici è prima di tutto un film d’azione.
    Dovrò cercare di vederlo.

    1. È un film con talmente pochi dialoghi che è difficile farne una cosa a tesi. È Rambo al femminile, se vogliamo proprio semplificare al massimo. Ma col peyote di mezzo😂
      Non ho letto troppe recensioni, ma ho visto quella di Chris Struckman che ne ha parlato benissimo, e lui è un maschio e non se ne è sentito affatto minacciato.

      1. Io credo che alla fine a sentirsi minacciati siano sempre i soliti, e a gongolare perché ci sono quelli minacciati siano sempre i soliti.
        È come se non ci fosse una guerra fra uomini e donne, ma tanti, su entrambi i “fronti” volessero davvero tanto che ci fosse.
        Sarebbe ridicolo se non fosse inquietante.

        1. Inquietante perché danneggia in primis chi vorrebbe fare un discorso femminista serio. Ricordando di sfuggita che femminismo non c’entra niente con l’odio nei confronti degli uomini.

  2. mi pare che i corpi di entrambi siano nudi o seminudi ed esposti ed è anche giusto così

    1. In realtà è un po’ diverso, ma va bene.

  3. SaulVerner · ·

    Ciao Lucia, parli di Shudder. Ma c’è modo di abbonarvisi regolarmente qui dall’Italia come per esempio si fa con Netflix?

    1. Purtroppo no… Dall’Italia ancora non è possibile abbonarsi.

      1. Giuseppe · ·

        Però, almeno in questo caso, dovremo poter riuscire a vedere Revenge anche senza aspettare l’approdo di Shutter dalle nostre parti, giusto? Voglio dire nelle sale: se non ho letto male, dopo l’anteprima al Torino Film Festival del novembre scorso è prevista l’uscita ufficiale a fine settembre (io cercherò comunque di vederlo prima, che dalla tua rece mi sembra davvero bello intrigante)…

        1. Non mi fido moltissimo dell’uscita italiana del film. Temo che in realtà sarà una fregatura, come la storia del film di Walter Hill che doveva arrivare a luglio e che invece è arrivato a dicembre distribuito in tre sale. 😦

  4. Recupero quanto prima

  5. Blissard · ·

    Normalmente considero abbastanza compatibili i nostri gusti, però in questo caso non ti seguo per niente.
    La regista è stilosa e i suoi movimenti di macchina sono fluidi, perfettamente d’accordo, e nel piano sequenza finale dimostra anche la sua padronanza della mdp, eppure tutto questo stile è al servizio del vuoto più assoluto.
    Tu, a mio parere troppo generosamente, sostieni che non si tratta di film “realista”, il problema è che dal mio punto di vista è un pastrocchio; non si tratta di qualche incongruenza o esagerazione, qui si tratta di un colabrodo di forzature e implausibilità (se sei curiosa di sapere a cosa mi riferisco, puoi guardare la pagina rym dedicata al film, https://rateyourmusic.com/film/revenge_f8/, nello spoiler della mia recensione).
    Poi vabbè che il femminismo (almeno nella sua versione annacquata e politically correct) è di moda di questi tempi, ma mi dà i brividi l’idea che se sto film non ti piace allora vuol dire che sei un maschilista fallocentrico estremista trumpiano.

    1. Mai detta una cosa del genere in vita mia, per la verità

      1. Blissard · ·

        No, no, non mi riferivo a te ma a certi commenti che ho letto in giro 😉

        1. Ma credo che siano commenti soprattutto americani, come è successo quando è uscito Black Panther che, se non ti piaceva, eri un razzista. E Black Panther è un film, a mio parere, di una bruttezza insostenibile. Ma questo non fa di me una razzista, come il fatto di non aver apprezzato Revenge non fa di te un maschilista, per carità.

          1. Blissard · ·

            E a conferma che i nostri gusti sono spesso compatibili anch’io non mi posso esimere dal gettare fango su Black panther, uno dei blockbuster più ingiustamente di successo della storia del cinema.
            Sì, mi riferivo a commenti a recensioni soprattutto statunitensi (come ad esempio quella apparsa sul sito di Ebert).
            Ad ogni modo, tanti oltre te parlano bene del film, per questo ci sono rimasto più male a notarne quelli che considero difetti.

          2. Sicuramente è un film dalla forte rilevanza culturale, Black Panther dico, però la rilevanza culturale non è sufficiente a fare un buon film. Non discuto il merito di aver creato il primo blockbuster con un cast tutto di colore e con un regista di colore, perché è un risultato comunque importante. Ma già che c’erano, potevano metterci anche un film dentro, non avrebbe guastato.

  6. Fantastico, questo film mi ha proprio rapito, saranno anni che non vedevo un gioiellino di questa portata, anche se all, inizio avevo qualche dubbio a vederlo, forse perche’ traviato dal titolo, pensavo fosse basato su una vendetta alla “Guerra dei Roses”
    Vi confesso che durante i primi 20 minuti credevo di star guardando un soft-sex movie ma poi la trama a incominciato a diventare interessante. Sangue ad ettroliti, i personaggi si provocano gravi ferite ma sembrano i protagonisti di un cartoon. La vendetta di Jen che da bambola sex diventa una spietata macchina di guerra e una rivincita per tutte le donne che hanno subito abusi durante la loro vita. Certo se stiamo a complicarci la vita e’ chiederci perche’ alcune cose assurde (che non dico, per non spoilerare) succedono, allora ci siamo persi il senso del film.
    Voto 10
    Aspetto Revenge 2

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