Regia – Sam Raimi
“You work for the American Dream. You don’t steal it.”
Tra il grande successo della trilogia di Evil Dead e la resurrezione con Spiderman nel 2002, Raimi passa un periodo complesso, in cui diventa un autore maturo, ma non sempre incontra il favore del suo pubblico. Sono gli anni tra il 1995 e il 2000, quelli in cui pare abbandonare il cinema fantastico (ripreso con The Gift, che è un film molto sottovalutato, ma non è questa la sede per parlarne) e gira tre film del tutto privi di elementi soprannaturali: il western di Pronti a Morire, il romance di Gioco d’Amore e, nel mezzo, questo noir che pare anche più estraneo degli altri alla sua filmografia.
A Simple Plan (il titolo italiano è Soldi Sporchi e a me ha sempre fatto pietà) è, innanzitutto, un film su commissione, capitato a Raimi dopo che ben tre registi, tra cui Sidney Pollack e Ben Stiller, avevano abbandonato il progetto. È tratto da un romanzo del 1993, scritto dallo stesso autore di Rovine, Scott Smith, di cui una casa di produzione indipendente, la Savoy Pictures, si era assicurata i diritti ancora prima che uscisse nelle librerie.
Ma poi, dopo che la sceneggiatura era rimbalzata tra le mani di diversi registi, dopo che si era pensato a Nicola Cage per il ruolo di protagonista, dopo che la stessa Savoy era andata in fallimento, ecco che la sceneggiatura finisce nel famigerato development hell per anni, fino a quando la Paramount non acquista i diritti e assume John Boorman per dirigere il film.
Il regista se ne va in giro a cercare le location migliori in Minnesota, scrittura Bill Paxton (ci manchi) e Billy Bob Thornton per i due ruoli principali e poi se ne va, perché la preparazione del film stava durando troppo a lungo e c’erano degli impegni pregressi.
Soltanto allora, la Paramount si rivolge a Raimi.
Raimi accetta l’incarico perché dirigere il film gli avrebbe permesso di affrontare la regia da un punto di vista inedito, per uno come lui: A Simple Plan era una storia complessa, basata sui personaggi, le relazioni tra loro e tutta una serie di bivi di carattere morali di fronte ai quali bisogna compiere delle scelte. Una vicenda simile richiedeva un approccio diverso rispetto a quello solito di Raimi, quell’about the camera che ha da sempre condizionato i film del regista, sia che si trattasse di presenze demoniache sia di supereroi o vigilanti con il volto sfigurato. Per una volta, la macchina da presa non basta a se stessa, ma deve mettersi al servizio del racconto.
Raimi il funambolo, il tarantolato, quello dei movimenti di macchina impossibili, quello del cinema come otto volante, deve farsi da parte, o meglio, deve crescere. Una sceneggiatura come A Simple Plan è perfetta per un obiettivo del genere, perché è classica, è un noir puro, con gli eventi che seguono un’implacabile successione causa-effetto e scandiscono il destino dei personaggi, trascinandoli sempre di più verso il punto di non ritorno.
I due fratelli Hank e Jacob che, insieme all’amico del secondo Lou, trovano un aereo precipitato con un borsone pieno di soldi (quattro milioni di dollari e spicci), sono vittime di un caso fortuito, ma scelgono, molto umanamente, di tenersi il denaro che potrebbe cambiare per sempre le loro vite. E le cambierà, ma in peggio.
Ultimamente, pare che parlare bene di Raimi sia passato di moda. Con tutta la paccottiglia del post-horror (lo abbiamo stabilito mesi fa che non esiste alcun post-horror), ovvero di horror un po’ più statici della media con ritmi dilatatissimi e piani sequenza di svariati minuti a macchina fissa, un regista come Raimi passa per un superficiale, uno che a girare i film si diverte (ovvove!), uno che bada più alla forma e alla messa in scena che alla sostanza. Tornare sull’annosa questione per la ventordicesima volta è stancante, ma sappiamo tutti che, su questo blog, non si fa una grossa distinzione tra forma e sostanza e che ogni storia possiede il suo stile, e ogni regista sceglie quale stile adattare a un racconto. Nel caso di Raimi, l’accusa di superficialità può essere rispedita al mittente per varie ragioni, di cui non è ora il caso di parlare, ma solo per mancanza di spazio, e soprattutto per due film come The Gift e A Simple Plan, che invece nei personaggi vanno a scavare in profondità e non lasciano molto spazio alle evoluzioni circensi della MdP.
A Simple Plan è un film molto sobrio, quasi sottotono, dove Raimi elimina consapevolmente tutto ciò che non è racconto, un po’ come si faceva nel cinema americano classico: “This is a change of pace for me because the film is not about shots, but the performance within the frame. I wanted the camera work to be invisible and just allow the actors to tell this very thrilling story“.
Non l’inquadratura in sé, ma ciò che avviene all’interno di essa è il centro del film, quindi storia e personaggi. Non è un caso se i tre attori principali regalano le migliori interpretazioni delle loro carriere: Paxton, l’uomo comune che si scopre capace delle peggiori nefandezze, Thornton, il povero derelitto, il rifiuto della società che fa il burattino per tre quarti di film e poi diventa l’unico dotato di un vero senso morale (“Vorrei che qualcun altro avesse trovato quei soldi”), e Fonda, la mogliettina tutta sorrisi e cene pronte che vede finalmente un’occasione per fuggire dalla monotonia di una vita di giorni tutti uguali ed è disposta a tutto pur di non lasciarsela sfuggire.
Personaggi che sembrano scolpiti nella pietra all’inizio del film, inamovibili dai loro ruoli, e che vengono modificati e corrotti da un destino che pare, una volta tanto, benevolo, e invece si rivela spietato.
L’atmosfera del film è tetra e austera, come la sua regia: girato quasi interamente in esterni veri in Wisconsin, con l’unica eccezione dell’interno dell’aereo, ricostruito in un teatro di posa, A Simple Plan si svolge sempre d’inverno e sotto la neve e sotto un cielo plumbeo, addirittura modificato in post-produzione per le scene in cui capitava che, durante le riprese, ci fosse una bella giornata di sole. Il direttore della fotografia Alar Kivilo scelse di usare sempre la luce naturale, dando quasi un tocco documentaristico alle sequenze ambientate nei boschi innevati, mentre Raimi si attenne a uno scrupoloso realismo, a un’invisibilità elegantissima, che sembra quasi lasciare alla storia la possibilità di raccontarsi da sola.
A Simple Plan è un’opera così bella da sembrare spontanea, un film la cui severità nella messa in scena è direttamente proporzionale all’intensità della storia narrata, alla violenza che si scatena improvvisa, alla distruzione di quella felicità non percepita come tale da Hank e che sarà rimpianta per sempre dopo i titoli di coda.
Un noir in piena regola, dicevamo, con i personaggi (quelli così fortunati da essere rimasti in vita) che, dopo lo sconquasso subito dalla loro vita di brave persone, si ritrovano esattamente al punto di partenza, ma con qualcosa in meno e con tante cicatrici in più.
Se volete darmi retta, A Simple Plan, oltre a essere uno dei film meglio riusciti di Raimi, è un capolavoro del cinema americano anni ’90; non so se sia il più bello del decennio, ma poco ci manca, e anche se di certo non appartiene al genere horror, si muove in territori a esso contigui e un posto in questa piccola carrellata gli spetta di diritto.
Il 2008 è stato un gran bell’anno per il cinema horror, quindi abbiamo una scelta più ampia del solito, con ben quattro film: Pontypool, particolarissimo punto di vista sugli zombie, di Bruce McDonald; Splinter, quando la serie B è meravigliosa, di Toby Wilkins; Eden Lake, il survival secondo il cinema britannico, di James Watkins; per finire, Lake Mungo, di Joel Anderson, di cui posso soltanto dire: mortacci tua, Australia, mortacci tua.
Il monologo di Billy Bob in macchina col fratello è di uno straziante e commovente! Amo questo film. Per il 2008 famo Pontypool va!
Come dicono i cinefili, è devastante. Ma davvero. Io sto male tutte le volte.
“…quell’about the camera che ha da sempre condizionato i film del regista..” Scusa l’ignoranza ma cosa si intende per about the camera?
Quando un film è “about the camera” significa che più che sulla storia e sui personaggi, si basa sulla composizione dell’inquadratura e sui movimenti di macchina. Come accade nella trilogia di Evil Dead, per esempio.
Grazie!
Bella recensione ^^ mi ha incuriosito la presentazione di Pontypool, il mio voto va a lui
Pontypool è un film tanto particolare quanto bello.
Ciao Lucia, come sempre una splendida analisi di un gioiello forse un poco sottovalutato..per il 2008 ho votato Splinter..avercene di film così!
Credo sia tra i film di Raimi più sottovalutati, insieme a The Gift che è un mio pallino da anni.
Splinter è delizioso!
Un capolavoro senza se e senza ma questo “A simple plan”, premiato meno di quanto avrebbe meritato da un pubblico molto probabilmente spiazzato da quella fase di transizione “realistica” che Raimi stava attraversando (ricordo pareri tiepidi pure riguardo al precedente “Pronti a morire”, da me invece assai apprezzato)…
Il voto stavolta lo do a Lake Mungo (mortacci tua, Australia, quanto m’hai fatto paura!) 😉
Pronti a Morire è un gioiellino. Mi diverte tantissimo ogni volta che lo vedo!
Lake Mungo è terrore puro. Non so se avrei il coraggio di rivederlo un’altra volta.
Ti dirò: io l’ho visto in tutto un paio di volte, ma la seconda NON è certo stata meno da brividi rispetto alla prima…
Sicuramente il film in cui Raimi dimostra senza ombra di dubbio di essere anche un ottimo “regista di attori”, perché oltre a soffermarci sui personaggi dei protagonisti, perfettamente definiti in tutta la loro umanità (se non ricordo male Bob Torton ricevette una candidatura all’Oscar come miglior attore non protagonista), anche i personaggi secondari, vedi la moglie di Lou o lo sceriffo, non sono meno curati. Mi ricordo che quando lo vidi all’epoca il finale mi mise addosso una tristezza mischiata ad amarezza come pochi altri film sono riusciti.
Concordo pienamente sul fatto che sia uno dei film migliori, ma anche purtroppo più sottovalutati degli anni ’90 e di Raimi. Poi certo gli appassionati di genere si fermano a considerare Raimi solo per gli horror, e quindi questo film manco se lo vedono, ma anche Pronti a Morire non è (a torto) molto considerato solo perché è un western…