Ghost Bike

Quella che vedete in testa al post (la foto è di Catia Demonte) è una ghost bike, e non una qualunque, presa a caso: la vedo tutti i giorni andando e tornando dal lavoro e mi fa una certa impressione. Si trova sul Lungotevere Maresciallo Cadorna, proprio all’incrocio con Piazza Maresciallo Giardino, nel punto in cui la pista ciclabile torna in superficie dopo essere stata per un paio di chilometri all’altezza degli argini del fiume. È stata messa lì per ricordare la morte di Jonathan Campbell Bennet, cittadino canadese di 22 anni, investito da ben due auto nel novembre dell’anno scorso.
Pochi giorni fa un ciclista a Ciampino è stato preso in pieno dallo sportello di una macchina e ora è in condizioni molto gravi. In realtà, non c’è settimana senza che esca una notizia simile. Sulle strade italiane avviene quotidianamente una piccola guerra civile, capace di produrre un cospicuo numero di morti e feriti. Nel 2015, per fare un esempio, i morti sono stati 252, ovvero uno ogni 35 ore. Pensateci un istante a queste cifre, quando sbuffate perché una bici vi impedisce di premere l’acceleratore a tavoletta neanche vi trovaste su una pista di Formula 1 o quando condividete su un social a caso uno di quei simpatici meme sul “salvare il mondo un po’ più a destra” che è evidentemente frutto di enormi sagacia e senso dell’umorismo raffinatissimo.
Cercate di ricordare questa ghost bike e ripetetevi: un morto ogni 35 ore.

una ghost bike a Milano

Vedete, tutto viene più facile dalla prospettiva di un veicolo chiuso, isolato e padrone assoluto dello spazio urbano. Dobbiamo sembrarvi dei pazzi furiosi e incoscienti sulle nostre bici che, quando sono dei cancelli di ferro, arrivano a pesare al massimo una ventina di chili. Dobbiamo sembrarvi anche un po’ ridicoli, così leggeri, così fragili, mentre respiriamo i  gas di scarico che ci sparate dritti in faccia, mattina e sera.
Dalla nostra, di prospettiva, è un po’ più complicato. È complicato addirittura spiegare perché lo facciamo, dato che l’ordine delle cose ci vorrebbe tutti ogni mattina entrare in una scatola di latta e incolonnarci per un paio d’ore.
Non credo sia utile alla nostra (chiamiamola così) “causa” lamentarsi costantemente di come non veniamo presi proprio in considerazione in strada. È importante, come fanno centinaia di attivisti, segnalare la cronica mancanza di infrastrutture, le difficoltà enormi per un trasporto misto tra bici e mezzi pubblici, lo stato pietoso del manto stradale di molte città italiane (e le buche di Roma ormai sono entrate nella leggenda), ma frignare non è mai la soluzione, perché se si vuol far capire il motivo che sta dietro a certe scelte all’apparenza inusuali, bisogna che sia, prima di tutto, comprensibile la bellezza di queste scelte.

Noi ciclisti sappiamo che quando ci mettiamo il nostro bel caschetto e usciamo di casa potremmo non tornare più. O tornarci con mutilazioni varie e ossa rotte.
E allora perché, pur con questa consapevolezza, ci buttiamo nel traffico in maniera apparentemente suicida?
Non siamo dei fanatici tendenti al martirio, nonostante parecchia gente ci voglia far passare per tali. E non siamo tutti invasati (magari nazi-vegani, quanto vi piace questa definizione, eh?) che vorrebbero far sparire ogni veicolo a motore dalla faccia della terra con uno schiocco di dita (che poi non sarebbe questo scenario così apocalittico). Che ci crediate o no, una buona percentuale di noi possiede un’automobile, anche se cerchiamo di usarla il minimo indispensabile.
La realtà è che non abbiamo alcun interesse ad ammantarci di chissà quali eroismi: vorremmo solo fare quello che ci piace restando in vita.

Ghost bike a Roma, sulla Colombo

Ed è sul “quello che ci piace” che vorrei si concentrasse la vostra attenzione. Se non posso convincere un automobilista romano  a rispettarmi, e non solo in quanto ciclista, ma proprio in quanto essere umano (se non hai quattro ruote sotto al culo non esisti), magari posso fargli capire quanto sia bello, piacevole, divertente girare per la propria città su una bicicletta, in modo tale da rendere l’operazione anche un po’ più sicura, da creare un nuovo ciclista che sarà una macchina in meno sulla strada.
Io ho iniziato a usare la bici come mezzo principale di trasporto sei anni fa. Non ci avrei mai pensato se non mi avessero tolto la patente per sei mesi e oggi, a chi ha la pazienza di starmi a sentire, dico sempre che essere fermata dai carabinieri, quella sera del 2012, è stata la cosa migliore che mi potesse capitare.
Perché, ve lo assicuro, una volta che si è saliti in sella, non si ha più molta voglia di scendere. E diventi una specie di tossico che va in cerca della sua prossima dose.
A parte quel piccolo effetto collaterale che è il rimanerci secchi per colpa vostra. E, capitemi, morire è un pessimo inconveniente. Come si fa a smettere di morire come mosche spiaccicate sull’asfalto?
Sfasciarvi le carrozzerie a calci o bucarvi le gomme non possiamo, che poi diventiamo come voi; provare a educarvi al rispetto è del tutto inutile, perché da quell’orecchio non ci sentite, anzi, se poco poco decidono di fare una nuova pista ciclabile, eccovi tutti lì a protestare con veemenza perché vi tolgono i parcheggi, povere stelle; parlare con voi un’utopia, dato che sghignazzate e, con lo sguardo vacuo, ripetete le solite tre fesserie in croce: “I ciclisti non stanno abbastanza a destra (magari se cadessimo nelle voragini rasenti i marciapiedi sareste soddisfatti), i ciclisti passano col rosso (e certo, perché quando invece aspettiamo il verde, girate a destra, non ci vedete e ci travolgete); i ciclisti non rispettano il codice della strada (no, siete voi che non lo conoscete il codice della strada)”.

Cosa resta?
Cercare di farvi sentire come ci sentiamo noi, non nei momenti di pericolo o quando evitiamo per un soffio di diventare le vittime di un film splatter; nei momenti migliori, che superano di gran lunga quelli peggiori, altrimenti non ne varrebbe la pena. È uno dei motivi per cui ho scritto Nighbird, trasmettere un briciolo di questa passione che è nata in maniera spontanea, addirittura contro la mia stessa volontà, ma che, dal primo giorno in cui ho percorso la ciclabile sotto il Lungotevere un mattino di giugno di sei anni fa, non mi ha più lasciata andare. E, anzi, è aumentata. Dai piccoli tragitti con una pieghevole per arrivare alla metro più vicina sono passata a usare la bicicletta su tratte più lunghe, sempre più lunghe, fino ad arrivare al viaggio in bici di due anni fa, che spero di fare anche in questo 2018 a primavera.
E se il cambiamento, per me, è stato così forte e profondo, io che non schiodavo dal sedile della macchina neanche se cercavano di trascinarmi via con la forza, allora può davvero esserlo per chiunque.
Per quanto sia radicato in tutti voi imbottigliati quotidiani il potere della negazione, non si può far finta che nelle nostre città non ci sia un problema e le macchine non sono la soluzione, sono la parte principale di questo problema.

Posizionamento di una ghost bike sull’Aurelia

Giusto ieri, una ragazza svedese di 25 anni, Fredrika Ek (qui il suo blog), ha vinto il premio di “Avventuriero dell’anno” per aver completato in due anni e mezzo il giro del mondo in bicicletta. Che a me sembra un modo molto più intelligente di impiegare il tempo, invece di starsene seduti in macchina fissando gli stop di quello che vi sta davanti e aspettando di percorrere i prossimi venti metri di agonia. Ora, è logico che non tutti possiamo pretendere di passare due anni e mezzo in giro per il mondo, ma non è necessario essere così estremi.
Perché, usando la bici, anche un giro di pochi chilometri per andare a comprare il latte è un’avventura e io credo che un po’ di senso dell’avventura manchi molto in quest’epoca.
Penso sia preferibile rischiare l’osso del collo scendendo lungo una discesa piuttosto che passare due ore al giorno ferma in una coda di lamiere.
Sono scelte, ma le vostre scelte influenzano l’ambiente che vi circonda e prima o poi lo dovrete capire che può esistere un altro modo di spostarsi, di vivere la città, di vedere le cose.
Ecco, le ghost bike non devono solo servire a ricordare che in quel punto un ciclista è stato ucciso, devono anche celebrare quello in cui crede ogni persona che sale in bicicletta e sceglie di farne un mezzo di trasporto urbano. Molto spesso, quello che ci fa mettere il culo sul sellino la mattina quando usciamo di casa e la sera quando a casa proviamo a tornarci, è solo un gigantesco atto di fede.

22 commenti

  1. Ti adoro. Perdona l’ardire, ma da ciclista che ha più volte rischiato la vita per colpa degli automobilisti (in questi anni ho capito una cosa: l’essere umano, nel momento in cui si mette alla guida di un’automobile, diventa immediatamente un mentecatto, qualunque sia il suo Q.I. di partenza), sottoscrivo ogni parola. Grazie.

    1. Ne stavo parlando poco fa con un amico, ed è vero: salire su una macchina e mettersi al volante, ti fa scattare qualcosa in testa, difficile da tenere sotto controllo persino quando ti muovi in bici da anni.
      Lo so, perché capita persino a me e cerco di farci caso e fermarlo finché sono in tempo.
      Ma non so se è una che succede a tutte le latitudini o è più radicata qui da noi, dove all’automobilista è concesso di tutto.
      E comunque, grazie ❤

  2. Sai qual è la cosa strana? che dalle mie parti non ho mai visto queste ghost bike. Servirebbero a consapevolizzare di più la gente, secondo me, invece dei tanti (troppi) mazzi di fiori che si vedono lungo le nostre arterie sempre più trafficate. So bene cosa si prova a essere ciclisti, l’ho fatto per un periodo poi non ci sono più riuscita, ho rischiato troppe volte di non tornare a casa e alla fine la paura ha preso il sopravvento. Non posso che sottoscrivere ogni tuo pensiero, grazie per questo post e per avermi fatto conoscere qualcosa che non sapevo!

    1. Tu di che parte d’Italia sei? Qui a Roma la ghost bike è diventata un’usanza consolidata solo da qualche tempo. Magari tra poco anche da te sarà così. O almeno, io lo spero, perché a vedere queste bici bianche, si prova un certo sgomento e, come dici tu, sarebbero molto più utili dei soliti mazzi di fiori.

      1. Giuseppe · ·

        E se si diffondesse ulteriormente come usanza consolidata aumenterebbe anche la vigilanza nei confronti di chi, ovviamente, da perfetto sciacallo non si fa troppi scrupoli nei confronti di quello che stanno a significare… qui a Milano, infatti (ma penso che la situazione da te sia all’incirca la stessa), non contenti del “normale” furto di biciclette hanno già provato più volte a rubare e vandalizzare pure le bici bianche 😦

        1. Oddio, no, ti assicuro che il furto e la vandalizzazione delle ghost bike mi manca, ma non stento assolutamente a credere che, a MIlano come a Roma, accada di frequente. 😦

  3. Premetto che vivendo in una cittadina piccola alterno bicicletta e macchina a seconda del tempo e della temperatura, sono fortunato a potermelo permettere.
    Però trovo questo articolo molto fascista. Essere ciclista non fa di te automaticamente una maître à penser come essere automobilista non fa di te uno stronzo. Il fatto che tu divida il tutto in un noi/loro ti mette allo stesso livello di quello che usa l’auto e inveisce contro tutto e tutti. “No, siete voi che non lo conoscete il codice della strada”, giustamente lo dirai pure al ciclista che non ha mai aperto un libro di scuola guida no?

    1. Complimenti per non aver capito una parola dell’articolo.

      1. Sarà il modo supponente in cui è scritto che mi ha traviato. Provo a rileggerlo.

  4. Prima o poi dovevo fare outing con te: milioni di volte ho inveito contro i ciclisti. Sarà che vivo in paese e spesso mi ritrovo ciclisti sulle stradone statali tra un paese e l’altro, spesso privi di luci, spesso al buio, spesso ancora – giuro – ho conosciuto persone evitare l’ampia ciclabile del mio paese per antipatia verso il sindaco che l’ha commissionata.
    Da quando lavoro la mattina prestissimo, però, incontro persone che in pieno inverno alle 5 della mattina vanno al lavoro in bici e ho iniziato davvero ad avere paura di fare male a qualcuno. Ho iniziato ad andare più piano, stare più attenta, mettere la freccia quando sorpasso per avvisare chi sta dietro di me che c’è un ciclista davanti. La paura di prendere qualcuno mi sta ripagando abbondantemente di tutte quelle volte che ho fatto la grossa in auto.

    1. Il ciclista testa di cazzo non è che non esiste. Esiste come esistono le persone teste di cazzo. Di solito è un esemplare che si trova nei cosiddetti “ciclisti della domenica”, ovvero quelli che si comprano bici da diverse migliaia di euro che non si meritano per farsi dei giretti, rigorosamente in primavera che poi fa troppo freddo, fuori porta.
      I ciclisti che invece usano la bici per andare al lavoro sono un po’ diversi, perché sono molto consapevoli dei rischi.
      Ma se io sono un testa di cazzo, lo sono qualunque mezzo di trasporto utilizzi.
      Solo che, se sono un testa di cazzo al volante di un veicolo a 4 ruote, rischio non solo di ammazzare me stesso, ma anche altre persone.
      Se sono un testa di cazzo a piedi o in bici, al massimo faccio fuori me stesso.
      Per questo ti ringrazio di prestare attenzione 🙂

  5. Una ventina di anni fa passai un’estate a dare lezioni di inglese e coi soldi mi comprai una bici da Decathlon.
    L’andai a ritirare, la collaudai facendo un po’ di 8 sui parcheggi deserti della FIAT Mirafiori, e poi decisi di fare proprio il periplo della FIAT, per prendere la mano con la nuova bici lungo viali che, in una sera di settembre, erano pressoché deserti.
    Avevo percorso circa 800 metri, e stavo per svoltare il primo angolo, quando un’Ape Car svoltò stringendomi contro il marciapiede e facendomi finire con la ruota anteriore nella griglia di un tombino.
    Volo, capitombolo, ruopta anteriore piegata, polso destro lussato.
    Mai più andato in bici in città.
    E ora, qui in Astigianistan, ci sono metodi meno complicati per suicidarsi.

    1. Non ti vedono neanche. Per loro non esisti. La cosa che più spesso mi sento dire, quando rischiano di ammazzarmi è: “Scusa, non ti avevo visto”.
      E questo sia di giorno, in pieno sole, che di notte, quando sembro un albero di natale e sono pure catarifrangente.

      1. E usano la ciclabile come parcheggio o per portarci i cani a fare le loro cose.
        Poi vanno in Olanda e i ciclisti gli prendono a calci la macchina se invadono la corsia preferenziale, e quando chiamano la Legge, si beccano unamulta. E tornati a casa magnificano la civiltà dei paesi nordici.

        1. Però continuano a ripeterti che “qui da noi non si può fare”

          1. “Perché in Olanda sono più disciplinati, hanno un’altra civiltà…”

          2. E’ questione di cultura. Mia mamma è olandese e in Olanda ti insegnano alle elementari ad andare in bicicletta. Ti fanno lezione sul codice della strada e ti danno un patentino solo dopo aver superato una prova teorica e pratica. In Olanda ti insegnano la cultura della bicicletta. E’ chiaro che dopo diventa normale utilizzarla come mezzo di trasporto quotidiano.
            Pensate al fumo. Prima era normale firmare nei locali pubblici e quando introdussero la legge anti fumo tutti ci dicevamo che non avrebbe mai funzionato, che figurati se i fumatori la rispettano e così via. A distanza di anni, invece, ci siamo talmente abituati al divieto di fumo che, quando ci capita di vedere film degli anni 80 in cui vediamo le persone fumare al ristorante trasecoliamo!
            Per me è fattibilissimo anche in Italia diffondere la cultura della bicicletta. Basta educare i bambini, multare chi non rispetta i ciclisti ed incentivare le piste ciclabili. Non dico che in un anno cambierebbero le cose ma sono sicura che tra dieci anni tutto sarebbe diverso.

  6. Amo la bici, ma sto in un paese e girare in bici è facile e divertante.
    Per molto tempo non ho guidato e venivo presa in giro per il mio usare spesso la bici. Qui la gente va anche a fare pipì in macchina. -_-
    Nel periodo dell’università invece ero in una citta più grande, anche se non enorme come Roma, e mi spaventavo parecchio ad aggirarmi in bici, a parte che era tutto un saliscendi, ma era pesante….rotonde enormi piene di automobili pronte a schiacciarti, macchine che manco ti vedono (dovevo passare giornalmente davanti al policlinico, una caos senza regole come nelle migliori tradizioni italiche) , autobus in ogni dove, poi in centro sanpietrini, buche, semafori centenari a respirar di tutto e poi pronta a scattare, prima che ti investano!
    Il tutto con una bici scassona di qualche anziano parente.
    Poi ho imparato ad andare coi mezzi e a piedi e riuscivo benissimo perché alla fine non c’erano poi queste distanze. Però girare in bici nel traffico, senza piste ciclabili è pesante e pericoloso. Immagino cosa debba essere a Milano o Roma….sei da ammirare.
    Ah ultima cosa. Le piste ciclabili in Italia e in particolare nella zona dove vivo, sono strapiene di: interruzioni, sbarre, panettoni, cartelli, (e se non mettono questi dissuasori ci salgono col motorino!!!!), Si interrompono sul più bello, devi attraversare strade dove le auto vanno a 100 all’ora, poi riprendono per 200 metri , interrotti da qualunque cosa per altre 72 volte, e poi zac. Fine pista. Uno si stressa pure sulla pista ciclabile!

  7. Il punto fondamentale è che fino a che le amministrazioni non faranno qualcosa in termini di viabilità ciclabile molte delle nostre città resteranno praticamente interdette alle biciclette. Finché ci saranno più strade che piste ciclabili i ciclisti non saranno mai al sicuro ed è abbastanza comprensibile che solo pochi coraggiosi avranno il coraggio di affrontare il traffico per amore della bicicletta.
    Devo confessare che anche io, ultimamente, ho sempre più paura a prendere la bici. Mi sento molto più tranquilla a piedi perché, per fortuna, i marciapiedi continuano a costruirli!
    Quello che è certo è che ormai (e per fortuna!) l’auto passa la maggior parte del suo tempo parcheggiata! E io, tra piedi e mezzi pubblici, me la cavo egregiamente per gli spostamenti in città. E’ vero, ci metto quasi un’ora di più al giorno, rispetto a spostarmi in macchina ma la serenità che mi dona lasciare l’auto a casa è impareggiabile!

    1. Anche io ormai l’auto ho praticamente smesso di usarla. Abitando un po’ fuori mano, se però devo uscire la sera, sono obbligata a prenderla, perché non ho alternative di nessun tipo. Il mio sogno sarebbe proprio smettere di guidare e basta.

      1. Anche il mio. Per fortuna a Firenze i mezzi pubblici funzionano quasi tutta la notte e le distanze non sono tali da impedirti di utilizzare il mezzo di locomozione di cui tutti siamo forniti (leggi piedi) sia di giorno che di notte.

        1. Purtroppo a Roma è impossibile. Firenze ha una dimensione molto più umana, credo.
          Anche io sono convinta che sia necessario un cambio radicale di mentalità e una cultura differente da quella del mezzo a motore privato che è dominante. Ma deve esserci la volontà politica e io non la vedo da nessuna parte.

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