Bad Day for the Cut

 Regia – Chris Baugh (2017)

Ci si lamenta spesso (e a ragione) dell’offerta cinematografica di Netflix, piuttosto carente se si escludono alcune produzioni originali, e neanche tutte. Sia per quanto riguarda le novità che i film di qualche anno fa, non c’è poi una scelta così ampia e c’è molta, troppa spazzatura. Tuttavia, a volte basta scavare un po’ e si trovano delle gradevoli sorprese (e a proposito, c’è Oltre il Guado, io ve l’ho detto), come questo piccolo film Irlandese di un regista esordiente, che racconta della disastrosa vendetta di un uomo tranquillo.
Donal (Nigel O’Neill) è un contadino di mezza età che vive con la madre, a cui è legatissimo. Quando la donna viene uccisa in quella che sembra una rapina, lui si imbarca in un viaggio alla ricerca degli assassini, per scoprire che dietro la morte della madre c’è una storiaccia brutta brutta, molto più complicata di un semplice furto finito male.

Tra i vari cani di paglia della storia del cinema, Donal occupa un posto a parte: è un ometto grassoccio,  all’apparenza inoffensivo, ed è comunque un buono che cade nella più classica spirale di violenza, quando un cadavere tira l’altro e fermarsi diventa impossibile, fino a quando non si arriva in cima alla catena che ha causato tutto.
Il punto di forza di Bad Day for the Cut è la rappresentazione di un processo irreversibile, che una volta messo in moto non ha una fine, quasi che la violenza diventi, non una droga che su questo concetto i film sono tanti, ma un’abitudine, un modo di essere, così come la vendetta stessa, quasi un marchio impresso nel sangue, una tara genetica, un impulso a proseguire anche quando ogni cosa intorno a te ti grida e ti supplica di smettere.

A differenza di molti film americani sullo stesso tema (uccisione del familiare e conseguente strage), Bad Day for the Cut non narra di un percorso di catarsi, non si esce dalla visione con un senso di trionfo, ma di desolazione. Il tono è dimesso e il fatalismo da noir pervade ogni sequenza. Anche se lo sviluppo della trama è convenzionale e lineare, sono i personaggi e l’atmosfera da dramma sociale a rendere questo film degno di essere visto.
Si entra in un regno fatto di gangster, prostitute schiave e terroristi e lo si vede attraverso lo sguardo ingenuo e morale di Donal, che cerca sempre di fare la cosa giusta e invece combina un disastro dietro l’altro.

La violenza è orribilmente realistica e per questo misurata. Non ci sono eccessi splatter o dettagli macabri dati in pasto allo spettatore guardone. Al contrario, anche nelle sequenze più feroci, Baugh riesce a essere molto efficace nell’uso del fuori campo, mostrando il giusto senza dare né l’impressione di indulgere nel compiacimento né quella di non voler andare fino in fondo. E, ve lo assicuro, le scene ad alto tasso di violenza non mancano, tra martellate sul cranio, ferri da stiro usati in maniera impropria, pentole bollenti sulla pelle, colpi di pistola che fanno saltare in aria teste e un body count molto, molto elevato.
Un’altra caratteristica interessante del film è l’incompetenza, non solo di Donal che è inesperto per forza di cose, ma anche e soprattutto dei vari scagnozzi che si trova ad affrontare nel corso del suo sentiero di vendetta. Siamo abituati a criminali infallibili e ad altrettanto infallibili giustizieri, tutti preparatissimi, lucidi, freddi fino in fondo, tanto che molto spesso i revenge movie sembrano più delle gare di abilità che delle storie sofferte come dovrebbero essere.
Bad Day for the Cut non è così: vediamo delinquenti che incutono terrore ai chi è più debole di loro piangere come bambini quando vengono raggiunti da una coltellata nello stomaco; una rete di gangster (con a capo una donna, Susan Lynch) formata da imbecilli disorganizzati, sciatti, incapaci di tenere testa a un contadino sovrappeso e coi capelli grigi.

Il che ci porta al delizioso uso dell’umorismo da parte di Baugh (anche sceneggiatore) che spesso fa sconfinare il suo film nei territori della commedia nera, come in una scena di combattimento, in cui si lotta per la vita e la morte, accompagnata da una musichetta da ascensore. Però non si perdono mai di vista il senso di urgenza o la tensione, come del resto rimane molto salda l’empatia nei confronti del povero Donal che, mentre la trama procede, scopre cose sempre meno piacevoli sulla madre, per cui ha letteralmente sacrificato la sua intera esistenza, ritrovandosi non proprio giovanissimo, solo, e con la vendetta come unico obiettivo.
C’è un equilibrio davvero ben gestito in questo film, nel sostenere anche le situazioni più paradossali senza mai scivolare nella farsa e mantenendo sempre bene al centro della scena il nucleo drammatico e doloroso della storia.

Non vorrei passare per il più trito cliché cinefilo, però devo dirlo: il film è davvero ben fotografato, soprattutto nei campi lunghi immersi nel grigiore piovoso dell’Irlanda rurale o nelle spiagge deserte e perennemente assediate dalle nubi dove si svolge tutta la parte finale. È, inoltre, un film dove il buio è davvero buio e quando scavi una fossa per seppellire un cadavere nella campagna priva di luci artificiali, sei solo un puntino a malapena visibile grazie a una torcia elettrica.
Lo stile di Baugh è ruvido ma non rozzo, molto essenziale, senza alcuna tentazione estetizzante: non ci sono mai un’inquadratura di troppo o un taglio di troppo, ogni cosa è perfettamente calibrata e al servizio del racconto. Insomma, non è un regista che vuole mettersi in mostra, ma un regista che ci tiene a essere prima di tutto un narratore. E non è una cosa frequente, di questi tempi. A tratti ricorda un po’ Jeremy Saulnier, soprattutto Blue Ruin, che aveva delle premesse simili.
Se vi va di vedere un revenge movie diverso dal solito o se state sfogliando il catalogo di Netflix in preda allo sconforto, cercate Bad Day for the Cut, perché una bella iniezione di cinema proletario irlandese può solo farvi bene.

 

4 commenti

  1. Un film con delle piccole sfumature che fanno la differenza, insomma. Mi piacciono i film così 😉

  2. Questo è nella mia lista. Io non trovo così disastroso il catalogo di Netflix, ho scoperto molti ottimi thriller indiani, film indipendenti americani e insomma secondo me col tempo può solo migliorare. Opinione mia eh ^_^ ciao

    1. No, disastroso no, però è un po’ povero e comunque le cose buone vanno cercate con attenzione e bisogna sapere che ci sono.

  3. Giuseppe · ·

    Sì, in effetti una storia di vendetta non stereotipata, non priva di umorismo, non catartica oltre che realisticamente violenta e paritaria (non è un professionista il vendicatore, non lo sono i criminali che affronta) e con motivazioni sempre meno “pure” man mano che si procede oltre è quello che ci vuole per rompere -almeno una volta ogni tanto- gli schemi fissi da revenge movie USA…

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: