Regia – Christopher Landon (2017)
Jason Blum è un genio e io voglio lavorare per lui, sia pure per andare a pulire i cessi alla Blumhouse, cosa per cui firmerei seduta stante, che poi magari finisco come Wes Craven: da fattorino a regista di Scream.
Non è questione di apprezzare tutto ciò che Blum ha prodotto. Sarebbe impossibile per chiunque sia dotato di buongusto e sanità mentale. Con la catena di montaggio messa in piedi dalla Blumhouse è difficile che tutto sia buono o anche solo decente. Ma è il sistema da lodare senza la minima reticenza, perché quest’uomo ha fatto risorgere il cinema dell’orrore nel lontano 2007 e lo ha portato a essere il genere di maggior profitto in quel di Hollywood. Se esiste un colosso come IT, lo dobbiamo alla filosofia di Jason Blum, se il 2017 è stato l’anno, in tutta la storia del cinema, in cui l’horror ha incassato di più, il merito è da ascrivere a quanto creato da Blum. C’è poco da fare, può non piacervi ma è così.
Happy Death Day (per una volta tanto, tuttavia, il titolo italiano non sfigura, anche se non coglie il concetto di loop temporale) è costato meno di cinque milioni di dollari e ne ha incassati quasi ottanta in tutto il mondo nell’arco di un mese.
In un momento storico come questo, in cui portare la gente in sala è un’impresa quasi disperata, l’horror riempie i cinema e fa numeri impressionanti.
Sabato sera sono andata al cinema e, ve lo assicuro, non ho mai visto una sala così piena negli ultimi, che so io, dieci anni, se si esclude l’unica e sventurata volta in cui ho avuto la pessima idea di mescolarmi alle folle belluine ai tempi dei mercoledì a due euro.
All’inizio ho avuto il timore che la visione si sarebbe trasformata in un inferno e invece è stata un’esperienza molto interessante: il pubblico era composto quasi interamente da ragazzini e si sono comportati in modo diverso rispetto al solito; hanno seguito il film con una partecipazione che ho trovato sbalorditiva e, a tratti, addirittura commovente. Hanno riso, si sono spaventati (di cosa non lo so, ma si sono spaventati), hanno applaudito. Sembrava di essere nella scena di apertura del secondo Scream o di essere tornati ai tempi in cui il cinema era un rito collettivo.
Insomma, è stato bello, forse più bello del film in sé, una commedia che fa il verso a Scream e a tutti i teen-slasher usciti nella sua scia. Non è un film fatto per intrattenere me e la mia fascia di età, ma è pensato e strutturato per un pubblico adolescenziale che ha dato prova di gradire e di divertirsi un mondo. Di horror, Happy Death Day ha poco o nulla, se si escludono le sequenze in cui appare il killer misterioso che uccide a ripetizione la nostra protagonista. C’è qualche scena con un po’ di tensione, anche ben orchestrata, ma la componente horror finisce lì e se va trovato un difetto al film è proprio questo: si poteva fare qualcosina di più, mostrare almeno un omicidio in campo, per esempio, perché l’assassino è abbastanza creativo e il giochino di staccare sempre all’ultimo secondo affinché non si veda niente alla lunga stanca un po’. Ma queste sono considerazioni oziose, da anziana appassionata di sbudellamenti, e lasciano il tempo che trovano.
Perché, proprio grazie a produzioni di questo tipo, c’è spazio per tutto l’horror del mondo e mi sono sempre ripromessa di non fare come quando ero adolescente io e io vecchi appassionati avevano fatto il funerale al genere dopo l’uscita di Scream: la storia ha dato loro torto, l’horror da Scream è uscito rivitalizzato, sono arrivati tanti film brutti, è vero, ma la storia del cinema dell’orrore nella sua interezza ci ha guadagnato, come ci sta guadagnando ora. Bisognerebbe cercare di non avere un atteggiamento di chiusura preventiva nei confronti di questo tipo di film e provare a inserirli in un contesto più ampio, che è quello in cui nella stessa Blumhouse coesistono in tutte tranquillità e armonia Happy Death Day e Get Out, o in cui è vero che dobbiamo sorbirci il quarto capitolo di Insidious, ma abbiamo la fortuna di vedere film come The Devil’s Candy o Raw.
Non significa apprezzare tutto: ho ancora gli occhi che mi sanguinano dopo Annabelle Creation. Però sapete che vi dico? Ben vengano ventordici Annabelle se sostengono l’industria e se invogliano le case di produzione a investire nell’horror.
E ben vengano, soprattutto, opere dignitosissime come Happy Death Day, che va bene, non è un horror propriamente detto, ma contribuisce al momento di estrema vitalità di tutto il filone che abbiamo la fortuna di vivere. E io vorrei tanto che non fossimo così ottusi da non accorgercene.
Doveva essere una recensione e invece questo post si è tramutato in un discorso sullo stato del genere che più amo. Forse perché, sul film in sé non c’è moltissimo da dire: ha lo stile di uno slasher anni ’90 alleggerito da dosi abbondanti di comicità anche demenziale. E sarebbe strano aspettarsi qualcosa di diverso dal regista di Manuale Scout per l’Apocalisse Zombie. Ma attenzione, perché Landon è un pupillo di Blum di vecchia data, avendo scritto le sceneggiature di tutti i Paranormal Activity dal secondo in poi e avendo diretto lo spin-off della fortunatissima saga. E questo è un altro dettaglio importante della Blumhouse, il fatto di crescersi i talenti in casa, di lavorare come una factory alla Roger Corman.
Landon è bravo, nel suo film, se lo si guarda con una certa attenzione, si posso trovare delle scelte interessanti e dei lampi di genio. Non è facile prendere la struttura di Ricomincio da Capo ed essere originali, tanto famoso e codificato è il meccanismo.
Eppure il film intrattiene senza mai essere ripetitivo, ha la fortuna di avere una protagonista eccezionale che non ho idea da dove abbiano tirato fuori, Jessica Rothe, che regge tranquilla tutto il film con ottimi tempi comici e la presenza scenica da final girl, una sceneggiatura meno banale di quanto si pensi (dopotutto, l’ha scritta Scott Lobdell) e delle soluzioni di montaggio (ne potete vedere una proprio nella gif qui sopra) entusiasmanti.
C’è qualche eccesso di commedia demenziale (di rutti e flatulenze si può fare a meno volentieri, nel 2017), ma è controbilanciato da un paio di scene in cui Landon riesce a creare tensione in spazi strettissimi avendo a disposizione il nulla cosmico. Alcune battute strappano a malapena un sorriso, mentre in altri momenti si ride proprio. Si avvale di ogni stereotipo possibile e immaginabile sulla faccia della terra, ma non è mai fastidioso nell’uso di questi cliché riconoscibili da quando Hollywood ha inventato il teen movie.
È, per essere sintetici al massimo, una gradevole sorpresa con cui passare un’oretta e mezza in allegria. Se lo avessi visto a diciotto anni, sarei impazzita, avrei fatto in modo di comprare il VHS e me lo sarei rivisto ogni estate da qui all’eternità.
Come faccio con Scream, ora che ci penso. Ovvio che Happy Death Day non possa essere lo Scream del XXI secolo, e neppure aspira a esserlo, ma in un certo senso ne condivide lo spirito, la capacità di parlare direttamente al suo pubblico, di essere un rito. Ed è di sicuro un film più generazionale di tanti blockbuster per adolescenti con maggiori pretese.
Una domanda ( il film l’ho visto e concordo su tutto, niente di trascendentale, ma molto divertente ):
Ma lo Scott Lobdell sceneggiatore è quello che scriveva fumetti per la Marvel Comics negli anni ’90?
Esattamente lui. Credo sia la prima volta che partecipa a un film, ma correggimi se sbaglio.
da “Furbetto” a “genio”, come sei volubile mamma mia…cerco il primo cesso per vomitarci dentro.
guarda, basta che fai la cronologia delle tue recensioni delle produzioni Blum,mio Dio,ma davvero la gente dimentica così facilmente??!
Dalle mie parti si dice che solo i cretini non cambiano mai idea 😉
No, andare a pulire i cessi alla Blumhouse però no, eh! Hai la tua bici, puoi sfruttare la cosa per proporti come fattorino… meglio seguire la trafila di Craven, no? 😉
Riguardo al film in sé, per quanto nemmeno io faccia parte del suo target ideale, ammetto che il suo personale uso di uno schema alla “Ricomincio da capo” perlomeno mi incuriosisce (tra l’altro di recente avevo letto un creepypasta basato proprio su di un loop temporale)…
Infatti hai ragione: fattorino in bici è perfetto.
Guarda, è un film per adolescenti, dignitoso e con cui passi un po’ di tempo in allegria e finisce lì.
Puoi anche vederlo con calma a casa, ma in sala, se becchi il pubblico giusto, il divertimento aumenta. 🙂
Mi fido molto delle tue recensioni e ho apprezzato molti prodotti della Blumhouse a tal punto che ogni volta che vedo il nome della casa di produzione mi si drizzano la antenne. Di certo Jason Blum ha fiuto per fare soldi facilmente, spesso con horrorini di poco conto, però ha prodotto anche delle perle assolute e chiamalo scemo se riesce a tirare avanti così!
Quand’è che metti su una scuola di horror tu?
Blum ha prodotto circa 50 film. Ovvio che parecchi di questi siano ciofeche, considerando anche che è il suo è un sistema a catena di montaggio. Ma ha anche fatto cose egregie e credo gli vada riconosciuto del genio.
Detto ciò, io non ho il suo stesso genio, farei un casino e perderei tutti i soldi che non ho 😀
Ma grazie per la fiducia 🙂
Assolutamente, concordo! Non so se si era capito dal commento precedente.
Con questi discorsi mi viene voglia di farmi lo scaffale di film Blumhouse
Che bello il racconto del pubblico di ragazzini.
Non sono tutti bimbiminkia come vogliono farci credere…
Il film non a caso me lo sono goduto proprio come fossi uno di loro.
O come se avessi rivissuto un giorno in cui ero (ancora) uno di loro. 🙂