1957: La Notte del Demonio

 Regia – Jacques Tourneur
“It’s in the trees! It’s coming!”

Dei tre grandi registi lanciati da Val Lewton e dal suo ciclo di horror di serie B alla RKO, quello dalla carriera più brillante e hollywoodiana è stato Robert Wise, seguito a ruota da Mark Robson, che aveva con il suo produttore e mentore una quasi totale identità di vedute, ed è anche il responsabile del vero capolavoro del ciclo RKO, La Settima Vittima; per quanto riguarda Tourneur, è dei tre il più legato, nell’immaginario collettivo, ai film prodotti da Lewton, forse perché ha diretto il primo di essi, nonché quello con cui si tende a identificare l’intera parabola di Lewton, Il Bacio della Pantera.
In realtà, la filmografia di Tourneur è varia e anche molto lunga, tra cinema e televisione (che però lui giustamente detestava), e ha spaziato in lungo e in largo tra quasi ogni genere cinematografico. Lo si lega molto all’horror, ma è l’autore di uno dei noir più importanti della storia, Le Catene della Colpa, ha diretto western, film d’avventura, cappa e spada, melodrammi e war movie.
E poi, senza la produzione di Lewton (morto troppo presto, ad appena 46 anni, nel ’51), è tornato all’horror con La Notte del Demonio e, tanto per cambiare, ha regalato agli appassionati un’altra opera fondamentale.

La storia produttiva de La Notte del Demonio è abbastanza nota, quindi cercherò di farvela il più breve possibile: la sceneggiatura, scritta dall’hitchcockiano Charles Bennet, è liberamente ispirata al racconto di M.R. James L’Incatesimo delle Rune, che si trova in quasi ogni raccolta di racconti dello scrittore. Bennet la vende all’ex attore bambino e produttore Hal E. Chester, che assume Tourneur per dirigere il film. Bennet e Tourneur (cui poi si aggiunge anche l’attore protagonista Dana Andrews) non vanno d’accordo con Chester. Troppe divergenze creative, e la discutibile abitudine di Chester di ingerire nelle scelte artistiche di Tourneur.
La leggenda vuole che lo scontro tra i due schieramenti fosse soprattutto relativo alla decisione di far apparire il demone all’inizio e alla fine del film. Tourner avrebbe voluto che non venisse mostrato mai, mentre Chester voleva che l’essere venisse ben messo in campo, per inserire nel minutaggio un paio di scene shock.
Il produttore, come dovreste sapere se avete visto la locandina del film, impone la sua volontà ed è complicato, oggi, stabilire da che parte fosse la ragione. Visto con gli occhi di uno spettatore del 2017, quel mostro in stop motion è decisamente datato, ma la sua apparizione è efficace per stabilire subito l’oggettiva presenza del soprannaturale nella vicenda. E basta calarsi un istante nel pubblico degli anni ’50 per capire quanto dovesse essere spaventoso sullo schermo. Oltretutto, non è neanche detto che la controversia sia stata reale. Pare, al contrario, che l’idea di far vedere il demone fosse già presente in sceneggiatura e che se ne parlasse sin dalla pre-produzione del film.
Credo che il vero motivo dei contrasti sia stata la distribuzione de La Notte del Demonio in due versioni, una integrale per il mercato inglese e l’altra, tagliata di circa dieci minuti, per il mercato americano. Si spiega allora perché Bennet abbia affermato di voler prendere Chester a pugni.

Demone o non demone, La Notte del Demonio fa parte di quel ristretto gruppo di titoli indispensabili per l’evoluzione e la comprensione del genere, ed è anche una sorta di compendio per avvicinarsi allo stile e alle tematiche tipiche del cinema di Tourneur, uno dei primi registi a svecchiare il gotico e a inserirlo in contesti contemporanei. Come abbiamo già detto tante volte, è il 1960 l’anno della svolta, quello in cui il cinema dell’orrore esce dai castelli e dalle brughiere e arriva negli appartamenti e nelle moderne città. Ma, prima di quell’anno che si usa come linea di demarcazione per comodità, Tourneur aveva preso gli elementi del gotico, li aveva strappati da quella che era considerata la loro collocazione naturale e li aveva trasferiti in un mondo dominato da razionalità e scienza, rendendoli di fatto più pericolosi perché apparentemente fuori posto. Ricordiamo tutti il ruolo dello psichiatra ne Il Bacio della Pantera, rappresentante del raziocinio contro le sciocche superstizioni di Irena. E ricordiamo tutti la fine che fa.
La stessa cosa si può dire di John Holden, che arriva in Inghilterra dagli Stati Uniti per smascherare una setta ed esporre il suo capo, il Dottor Karswell, al pubblico ludibrio durante una conferenza, e finisce per credere nelle maledizioni e nella stregoneria.

La Notte del Demonio non è una storia ambigua e paranoica: la questione del soprannaturale è archiviata sin dalle prime inquadrature, nel senso che esiste e basta e non credervi non sarà sufficiente a salvarvi la vita. Lo scetticismo di Holden è così incrollabile da risultare irritante e la sua cocciutaggine a non arrendersi all’evidenza fino agli ultimi minuti di film, quando dovrà piegarsi alla logica della maledizione, fa di lui un personaggio molto particolare; da un lato è infatti l’eroe del film, dall’altro rappresenta proprio quel mondo moderno che rifiuta di accettare la presenza di forze oscure.
Per il cinema horror degli anni successivi, questa dicotomia è di importanza capitale, perché il progresso scientifico e tecnologico, per ovvi motivi, toglie sempre più spazio ai terrori gotici del passato. E infatti molti horror saranno destinati a basarsi sul contrasto tra un personaggio scettico, di solito il protagonista, e la graduale intrusione dell’inesplicabile nella sua vita. Un esempio, che ha poi tanto in comune nella trama con La Notte del Demonio, potrebbe essere Drag me to Hell, di Sam Raimi. In entrambi i casi il messaggio è molto semplice: il conforto e la sicurezza delle vostre convinzioni e delle vostre vite basate sulla ragione, sono come castelli di carta pronti a crollare. Che crediate o no è del tutto irrilevante e la modernità è uno scudo molto fragile.

Spaventare è un lavoro difficile ed è anche un lavoro sporco; l’horror non è il genere degli sbalzi di volume, del sangue a litri e degli sbudellamenti. Queste sono tutte cose che si possono aggiungere a posteriori, ma l’horror, quello di ambientazione urbana e contemporanea soprattutto, è il genere che deve mettere in discussione le certezze e le sicurezze dello spettatore. E non importa se, com’è auspicabile, tali certezze e sicurezze ritornano nel momento in cui si accendono le luci, non importa se nella vita di tutti i giorni siamo individui razionali. L’horror solletica quella parte di noi che non lo è e, nel farlo, si assume anche una valenza sociale non da poco: fa in modo che queste paure inconsce e primitive rimangano al di là dello schermo, nel regno che a loro compete, quello della finzione.

Applicando all’horror l’estetica tipica del noir, Tourneur confeziona un film visivamente affascinante, dove il terrore è derivato non tanto dalle apparizioni mostruose in testa e in coda, quanto dalle ombre, dall’ambiente che è sempre troppo grande e opprimente in confronto alle persone che in esso si muovono, dal concetto che in ogni angolo ci sia qualcosa che non quadra. Se ci pensate, questa tecnica è mutuata dal ciclo di horror della RKO e Tourneur, spesso e volentieri, richiama quelle atmosfere e ama citare se stesso e il suo produttore. Impossibile non pensare alla fobia dei felini che aveva Val Lewton nella scena in cui Holden viene attaccato da un gatto che si trasforma in un leopardo, come è impossibile non pensare al Bacio della Pantera e a L’Uomo Leopardo, appunto, entrambi diretti da Tourneur.
Il continuo ricorso a “bus” di ogni tipo, dal bambino con la maschera da clown (IT, da qualche parte ci sei anche tu, in questo film) che sbuca da dietro un albero, al treno che passa sferragliando per un ultimo spavento quando il film è ormai giunto alla conclusione. Un vezzo stilistico inventato da Tourneur, che poi sarebbe stato ripreso da altri registi, sia della scuola RKO che di generazioni future, e rielaborato negli odierni jump scares, spesso ridotti a spaventi meccanici.
La capacità di inserire malvagità e soprannaturale in circostanze leggere, come tutta la sequenza della festa per bambini organizzata da Karswell, un personaggio che non incute un briciolo di timore e che è descritto come un bonario riccastro viziato e dipendente dall’anziana madre. Perché gli indizi della presenza del male non vanno cercati nelle persone, ma nelle forze che, anche inconsapevolmente, scatenano, nella natura stessa che di quelle forze è portatrice.
Una società che ha rigettato e ridotto a mere attrazioni turistiche le vestigia del suo passato (la scena, slegata dal resto della trama, ma molto evocativa, a Stonehenge) e che è comunque infestata da qualcosa di antico e di sinistro. Un male che non viene sconfitto, ma solo trasferito, e continua ad aleggiare anche dopo la fine del film. Questo è il cinema dell’orrore per Tourneur. E forse questo è il cinema dell’orrore in generale.

Per il 1967 ho preso in considerazione tre film: il primo horror dell’Unione Sovietica, Viy, il punto di vista di Polanski sul vampirismo, Perfavore, non Mordermi sul Collo, e la follia exploitation di Jack Hill, Spider Baby.

7 commenti

  1. l’ho rivisto giusto qualche giorno fa! trovo che, rispetto ad altri horror di quegli anni, sia invecchiato molto bene e provochi ancora una discreta strizza; ad esempio, nella scena della prima foto che hai postato: non succede nulla, ma da quel corridoio ti aspetti venga fuori chissà che cosa. l’unica nota dolente (secondo me) é proprio la creatura, che sicuramente all’epoca ha fatto il suo dovere, ma oggi risulta parecchio datata. a parte questo, un classico 🙂

    1. Sì, credo anche io che il pupazzone del demonio sia invecchiato maluccio, però è anche vero che, soprattutto nella scena finale, fa ancora la sua figura, per come sbatacchia il povero Karswell 😀
      A parte questo piccolo neo, è un film che non risente affatto del tempo passato!

      1. Giuseppe · ·

        Ah, io sono affezionato a quel demoniaccio old-style che se ne sbatte alla grande della razionale ostinazione di John Holden (“Trance un corno!” e altre scetticherie assortite, fino all’inevitabile resa finale con quel “Meglio non sapere”)! 😉 Le sue uniche apparizioni -com’è giusto che sia in un film che sa benissimo come sottintendere in modo costante la minaccia soprannaturale senza mostrarla chiaramente- mirate ed efficaci ben si sposano con quella patina assai vintage (non è una creatura di Ray Harryhausen, certo, ma comunque ci può stare)…
        Per il voto stavolta vado di horror sovietico, che Viy lo vidi e mi piacque davvero molto…

        1. Se ci fosse stato Harryhausen…
          Ma sono affezionata a quel demone anche io, da bambina mi faceva paura e anche oggi, mi fa effetto quando fa a pezzi il “cattivo”.
          A posteriori è facile parlare, perché all’epoca doveva essere davvero impressionante vedere il demone in sala. Siamo spettatori viziati del 2017 😀

  2. Bellissimo film La notte del demonio! ottimo post. Ovviamente ho votato il primo horror sovietico, una mia mancanza visto che amo molto il cinema targato urss ^_^

  3. Il mio voto a Viy, VOGLIO leggere la tua recensione

  4. Daniele "Nemo" Volpi · ·

    Come dice il Re (S. King), se il mostro non lo vedi, ti spaventi di più.
    “Gli Invasati” docet.

    Il DVD è nella pole position di quelli da recuperare!

    Pace profonda nell’onda che corre

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