Jawbone

 Regia – Thomas Napper (2017)

Cosa succederebbe se un regista come Ken Loach decidesse di dirigere un film sul pugilato? Molto probabilmente qualcosa di molto simile a questo Jawbone, che è invece l’esordio del regista di seconda unità di parecchi film hollywoodiani recenti e di produzione Disney, tra le altre cose. Attualmente sta lavorando sul reboot di Aladdin di Guy Ritchie e ha appena finito con Mary Poppins Returns. Mel mentre, è riuscito a girare il suo film e, per l’occasione, è tornato a casa, a Londra, per raccontare una storia che più distante non si può dai film cui normalmente partecipa.
Jawbone è un raro caso di film sportivo in cui ai personaggi non è concesso alcun riscatto, non si insegue nessun sogno e non vi è l’ombra di retorica. È una vicenda triste e sporca, che racconta di gente arrabbiata e sconfitta, un film dove se speranza deve esserci, essa non è affidata al futuro luminoso del protagonista che anzi, a stento ce l’ha un futuro, ma risiede nel contesto, sta sullo sfondo, è fuori fuoco ed è anche fortemente compromessa dalla stessa parabola umana di Jimmy (Johnny Harris), il pugile fallito che è al centro del film.

Jimmy è un ex campione giovanile, ha vinto ad appena 16 anni un titolo importante e poi deve essergli successo qualcosa (non sappiamo cosa), perché lo ritroviamo a quasi 40 alcolizzato, disoccupato e anche cacciato dall’appartamento in cui vive, che apparteneva alla madre defunta e tra poco sarà demolito. Torna ad allenarsi nella palestra dove da ragazzo, sotto la guida di due allenatori con la faccia di Ray Winstone e Michael Smiley, era quasi diventato un grande pugile. Lì allenano ragazzi di tutte le età, bambini quasi, allo scopo di toglierli dalla strada e dar loro qualche tipo di prospettiva, o se non altro un minimo di autodisciplina. Jimmy non è poi così ben visto, perché è stato una delusione, ha tradito chi lo aveva cresciuto. Ma comunque lo accolgono lo stesso.
Ora, in un film americano, ci si aspetterebbe la rinascita di Jimmy, il suo rientro, anche se tardivo, nel circuito dei professionisti e la sua rivincita, sulla vita e sul ring.
Ecco, no. Proprio no.
Io non ho niente contro il tipo di parabola descritta poc’anzi, al contrario. Mi diverte sempre molto, mi appassiona e mi commuove persino. Tuttavia apprezzo chi riesce ad allontanarsi dalle certezze di una strada percorsa migliaia di volte e prova a impostare la tematica in un modo del tutto diverso. In fin dei conti, si tratta sempre di boxe e si tratta sempre di resistere e allenarsi per un incontro. Ma modificando in maniera sostanziale il significato di questo incontro, l’intero film può permettersi di tradire le aspettative dello spettatore, quelle che poggiano su anni e anni di visioni.

Jawbone le aspettative le tradisce tutte, in primis quella della “seconda occasione che non si nega a nessuno”. Per Jimmy non c’è nessuna seconda occasione, solo un incontro clandestino (ha perso la licenza) dal quale spera di ricavare quel tanto che gli basta per sopravvivere, e di recuperare uno straccio di dignità, per trovare la forza di presentarsi a una riunione degli Alcolisti Anonimi. A ruota, crolla così l’aspettativa de “L’Incontro della Vita”, perché quello è già stato disputato, tanti anni prima dell’inizio del film, e tutte le possibilità scaturite da quell’incontro sono andate in fumo. L’effetto straniante di un film come Jawbone è che non c’è molto a cui aggrapparsi, eppure ti tiene sulla corda, a sperare e a fare il tifo per questo reietto e i due allenatori che lo seguono.
Certo, con quelle facce da attoroni britannici che ti spaccano la macchina da presa con uno sguardo, Napper ha anche gioco facile a conquistare lo spettatore. Quando ti puoi permettere il lusso di avere Ian McShane in un piccolissimo ruolo, giusto per insegnare al mondo come si recita e come si divora un film in cinque minuti di presenza sullo schermo, gran parte del lavoro è compiuto in partenza.

Ma queste mie parole non devono trarvi in inganno: Jawbone non è un film che guardi solo per la presenza degli attori; è un’opera che possiede una solidità granitica ed è anche molto coerente nel voler mettere in scena la storia di un perdente che rimane sempre tale, nell’estrapolare dal film sportivo la dimensione del sogno, della gloria, della vittoria sulle avversità e attenersi così al più stringente realismo proletario. Macchina a mano, quindi; poca musica e messa solo nei punti giusti; emotività prosciugata, perché i rapporti tra i protagonisti sono ruvidi, non c’è spazio per i sentimentalismi (ma per i sentimenti ce n’è abbastanza) e anche i dialoghi tendono a essere scarni e a dispensare poche informazioni; quando però si tratta di colpire al cuore Jawbone non si tira indietro e basta un ringraziamento pronunciato a mezza voce per farti scoppiare in lacrime come un coglione.
Perché la vera forza di un film di questo tipo sta nella disarmante umanità dei personaggi, persino di quello che procura a Jimmy l’incontro senza licenza da cui non è neppure detto che uscirà sulle sue gambe, visto com’è ridotto, nella loro ostinazione, nel non volersi rassegnare.

Però io lo so cosa vi state chiedendo, dato che pur sempre di film sulla boxe si tratta: le sequenze dedicate all’azione ci sono? E soprattutto, hanno il loro peso specifico o stanno lì solo come un pedaggio da pagare per raccontare altro?
La scena dell’incontro è l’anima di Jawbone, il suo centro, il momento fondante del film, come sempre accade nel cinema sul pugilato e in quello sportivo in generale. Si tratta di una sola scena, di un solo incontro, ma è diretto con un carico emotivo, una potenza e una capacità di far percepire fisicamente la fatica e il dolore che sono davvero rare, se si considera che i film contemporanei ambientati sul ring mirano più a mostrare il gesto atletico che a raccontare una storia. Ecco, in Jawbone, i pugni raccontano una storia e la faccia di Jimmy, sempre più rotta dai cazzotti ricevuti, ricoperta di sangue, sfigurata da tagli e ferite, è una storia che val la pena di raccontare.
Se vi piace un certo tipo di cinema, duro e spietato, ma mai cinico, allora sono sicura che resterete folgorati da Jawbone come è successo a me.

5 commenti

  1. Finito giusto ora. Ecco, al di là del fatto che io sono di parte, amando molto il cinema britannico, questo film mi ha dato proprio ciò che cercavo in una storia di boxe, perché la parabola che citi tu, al contrario di te, non riesco più a digerila. Sarà che in pochi mesi, dopo anni di film che usavano lo stesso espediente, uscirono Southpaw e Creed.
    Vedere che non è la vittoria dell’incontro della vita l’arrivo del protagonista, ma il motore che lo porterà alla sfida più grande, quella con l’alcool (una sfida appena aperta, tra l’altro) mi ha stimolato più di qualsiasi riscatto da vittoria sul ring.

    1. Ti avevo detto che ti sarebbe piaciuto davvero.
      Appena ho finito di vederlo ho pensato subito a te. 😀

  2. Estiqatsi · ·

    Ian Mcshane. La parola magica per convincere alla visione….😝

    1. Eh, però appare una quindicina di minuti in tutto!

  3. brevi, ma intesi… immagino
    XD

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