Mega-Infornata di roba vista durante le vacanze, per la vostra gioia

Dopo il post necessario, e purtroppo fuori programma di lunedì, riprendiamo il palinsesto del blog con un articolo che in teoria doveva andare online due giorni fa. Ora posso chiedervi come sono andate le vostre vacanze, se le avete fatte e mi posso anche lamentare per il ritorno in ufficio dopo aver assaporato un effimero anelito di libertà. Neanche troppa, a dirla tutta: ho passato l’ultima settimana di ferie chiusa in casa per colpa dell’otite. Neanche avessi otto anni. Ma va bene così, perché ho visto un sacco di film e una serie niente male (grazie, Netflix, per il bene che ci vuoi) di cui posso rendervi edotti con un unico post cumulativo che, spero, aiuti anche voi a superare il trauma del rientro. Mettetevi comodi perché abbiamo tante cose di cui parlare e ben tornati a tutti quanti.


Cominciamo con quella che, per il momento, è la locandina più bella del 2017. E anche il film si difende alla grande. Tonight She Comes è il secondo lungometraggio di un giovanissimo regista britannico, Matt Stuertz, ed è un pregevole bagno di sangue di un’ora e mezza. Comincia come uno slasher classico, con giovinastri in vacanza nella solita baita in mezzo ai boschi, ma prende delle direzioni inaspettate e parte per la tangente del delirio, della follia e dell’occultismo, imbastendo un festino di gore davvero sfrenato. Non è per tutti i gusti e in un paio di sequenze ho avuto lo stomaco in gola persino io, ma per tutti gli affezionati delle secchiate di liquido rosso, è un film da non perdere neanche per sbaglio, possibilmente superando con stoicismo i primi venti minuti introduttivi, in cui ci presentano dei personaggi anche più insopportabili della media. Ma è voluto, è tutto voluto e progettato per portarci dove il regista ha deciso e, da quando appare una strana famiglia di bifolchi in odore di satanismo, Tonight She Comes decolla e non si ferma di fronte a niente, impostando dei nuovi parametri per il cinema del disgusto.
È anche scritto con intelligenza e, nonostante gran parte del budget se ne sia andato via in caramello e corolante vermiglio, è anche ben diretto e ben recitato. Insomma, non avete scuse: procuratevelo a ogni costo e mi ringrazierete.

Credetemi, non c’è nessuno che sia stufo degli zombie quanto me. Seriamente, faccio fatica a sopportarli e lo so che il nome del blog è in controtendenza con la mia stanchezza, ma a forza di film tutti con lo stesso, identico approccio al tema, sono arrivata a evitare con cura qualunque cosa che non sia Z-Nation. Eppure, It Stains the Sands Red me lo hanno consigliato in tanti e, in un pomeriggio estivo con 42 gradi fuori di me e 38 dentro di me, ho iniziato a vederlo quasi per inerzia. C’è da dire che il regista, Colin Minihan, è un brutto ceffo responsabile, in coppia con un suo sodale, di tante brutture. In questo caso, dirige da solo, mentre l’altro Vicious Brother si limita alla sceneggiatura. Non so cosa sia accaduto, ma ha sfornato un film che si prende di forza un posto nella mia personale top ten dei film dedicati agli zombi, utilizzando un approccio di un’originalità e di una semplicità sconcertanti: una donna in fuga nel deserto, uno zombie solitario che la segue passo dopo passo e tonnellate di introspezione psicologica, ma gestite con coraggio, empatia, umanità.
La protagonista, Brittany Allen, è un altro nome da segnarsi sul taccuino delle attrici da tenere d’occhio, perché, com’è ovvio, essendo da sola in scena per una buona percentuale del minutaggio, rappresenta l’anima e il corpo del film e ci regala un personaggio femminile indimenticabile.

Parliamo un po’ di rapimenti alieni, che ne dite? Per quanto mi riguarda, gli unici due film decenti sull’argomento sono Altered e Bagliori nel Buio, e non è che la visione di Phoenix Forgotten abbia poi spostato molto la mia opinione.
Eppure questo ibrido tra il classico found footage (filmato ritrovato in seguito alla sparizione di chi lo ha realizzato) e falso documentario (ricostruzione di eventi a posteriori) ha qualche motivo di interesse, soprattutto di natura linguistica, ovvero legato a dove si stia dirigendo un sotto-genere molto in voga fino a qualche anno fa e che di recente ha perso molta dell’attrazione che esercitava sul pubblico.
Phoenix Forgotten funziona (fino a un certo punto) proprio perché riesce a mischiare le caratteristiche primordiali che hanno reso The Blair Witch Project una pietra miliare con la manipolazione meditata e sofferta del materiale originale, che è per forza di cose filtrata attraverso un punto di vista (un po’ come nel capolavoro Lake Mungo).
A un certo punto svacca clamorosamente e ricade nei cliché delle telecamerine traballanti e della gente che corre nel buio, ma finché regge, è una visione di un certo peso, almeno nel panorama sempre più striminzito dei mockumentary.
E, in alcuni punti, mette anche addosso una discreta strizza. Produce Ridley Scott e dirige l’esordiente Justin Barber, che ha anche una discreta capacità di scrittura dei personaggi e dei rapporti e conflitti tra loro. Se proprio non potete rinunciare al vostro film falso amatoriale mensile e se siete degli appassionati di rapimenti alieni, dategli un’occhiata.

Per concludere con il cinema, ecco a voi un horror musical polacco sulle sirene carnivore. Un film che è una deliziosa follia. Diretto da Agnieszka Smoczynska, The Lure è l’ennesima variazione sul tema de La Sirenetta, solo che qui le sirene sono due e, oltre a essere entrambe splendide, sono anche due mostri con zanne e artigli che squarciano la carne che è un piacere.
Vengono raccolte su una spiaggia da un gruppo di musicisti che si esibisce in un locale di spogliarelliste e da loro adottate. Il progetto delle due donne-pesce è di restare per un po’ in compagnia degli esseri umani per poi nuotare fino in America, ma una delle due finisce per innamorarsi del chitarrista della band, mandando all’aria i loro piani, mentre l’altra se ne va in giro nottetempo a uccidere e a divorare un po’ a casaccio.
Il risultato di questa trama strampalata è un film con un gran ritmo, sequenze surreali, numeri musicali in grado divertire persino me che, lo sapete, con il musical ho un pessimo rapporto, e dei momenti horror tanto inaspettati quanto cruenti. È tutto molto sopra le righe e, in alcuni frangenti, addirittura caricaturale, ma la regista riesce a tenere in equilibrio vari registri, comico, drammatico, romantico, con leggerezza. Considerando che anche questo si tratta di un esordio e che la Smoczynska sta lavorando al progetto di un horror a episodi insieme a gente come Carl Evrenol e Katrin Gebbe, forse abbiamo trovato una nuova voce, originalissima, del cinema fantastico europeo.

Che estate sarebbe, senza slasher? Purtroppo, il cinema ci ha solo regalato ciofeche innominabili (anzi, ne nomino una, WTF. State alla larga da questo film, voi che siete in tempo) in questi mesi di calura opprimente. Ci ha pensato Netflix, con una serie non di sua produzione (viene dritta da Chiller) e dell’anno scorso, a illuminarmi le giornate.
Slasher è una serie antologica, e quindi autoconclusiva, di soli otto episodi e di nazionalità canadese. Come si evince senza sforzarsi troppo dal titolo, Slasher è esattamente quello che vi aspettate: un whodunit di otto ore in cui un assassino mascherato impazza nelle strade di un piccolo centro.
Se il modus operandi (ogni vittima viene fatta fuori seguendo uno schema basato sui sette peccati capitali) non è proprio il massimo dell’originalità, è invece molto ben strutturato il meccanismo che ci condurrà, nell’ultimo episodio, a scoprire l’identità del killer. Gli omicidi sono una meraviglia di sadismo e inventiva: uno in particolare è così atroce, non tanto come gore, ma per come viene concepito ed eseguito, che mi ha fatto saltare sulla sedia.
Un po’ Seven (ma dai!), un po’ Saw, ma senza alcun moralismo d’accatto, un po’ Scream, ma senza citazionismi di sorta, Slasher è una serie che va giù come un bicchierone di birra fresca. Come bonus, ha una final girl di una bellezza che toglie il fiato, Katie McGrath, nota ai più come la Lena Luthor di Supergirl.
La seconda stagione di Slasher è in lavorazione e sarà pronta per l’anno prossimo. Intanto potete recuperare questa su Netflix.

E per oggi è tutto. Ci sono alcuni film che non ho inserito in questa lista, perché vorrei parlarne a parte, per approfondire un po’ il discorso. Ci sentiamo nel corso della settimana e, come sempre quando si rientra dalle vacanze, vi beccate questa canzone.

18 commenti

  1. Il film di zombie mi ha ricordato una storia Disney: zio Paperone ha raso al suolo un villaggio africano (credo) per questioni finanziarie, quindi viene maledetto dal capovillaggio, che lo fa inseguire in ogni dove da uno zombie con la sveglia al collo.
    Non sembra nemmeno una storia Disney 😛

    1. Mio Dio, che impressione!
      Ma è una storia recente, vecchia? Dimmi di più che ora sono curiosa!

      1. Io l’ho letta una decina d’anni fa, in una raccolta di storie a tema su zio Paperone.
        Una cosa che non mi sarei mai aspettato, considerando la percezione media delle storie Disney. A parte l’innesco cattivo e l’elemento inquietante, non aveva nulla di scabroso – lo zombie era una persona con lo sguardo vuoto, non un mostro antropofago ferito o marcio e non faceva altro che seguire Paperone finché lui trova il modo di liberarsene, non ricordo come.
        Un horror psicologico Disney!

      2. http://it.paperpedia.wikia.com/wiki/Gongoro

        Qui ci sono più informazioni. Sono certo di non aver letto la storia originale e mi chiedo se la storia della sveglia al collo io me la sia sognata… sono un narratore inaffidabile 😛

        1. Grazie! Probabilmente è un “falso ricordo”. Magari ti ha confuso l’anello al naso! 😀

          1. Di nulla 🙂 e sì, magari è per quello XD

  2. Bentornata Lucia e grazie!!
    Io ho segnato tutto, It stains the Sands Red potrei propinarlo anche al Bolluomo se trovo sottotitoli italiani, il resto temo lo dovrò guardare da sola, tra l’altro The Lure lo punto da un po’.
    (E perché quell’avviso su WTF??? Sai che io ora ho una voglia matta di vederlo, vero??)
    Aspetto poi gli approfondimenti *__*

    P.S. La storia Disney mi sa che l’ho letta anche io… o__O

    1. ❤ So per certo che esistono i sottotitoli italiani di The Lure 😀
      Ma sugli altri ho i miei dubbi.
      Intanto, però, con Netflix c'è Slasher che è carino carino carino 😀

  3. Alberto · ·

    Non sapevo nulla di Slasher, comincio da lì (in attesa di recuperare l’horror-musical polacco). Comunque bentornata, anche se non ti ci vedo a lavorare in ufficio 🙂

    1. Noi, per nobilitarle, queste stanze le chiamiamo ancora moviole, ma ovviamente sono delle stanze con una scrivania e un computer. Ufficio a tutti gli effetti.
      Grazie!

  4. Dubbi su alcuni di questi ma se capita li vedo, anche se senza Netflix sarà dura…in ogni caso bentornata 😉

  5. Alberto · ·

    Ah, ufficio, ma sempre di cinema si tratta. Allora va bene.

  6. The Lure è davvero notevole, a differenza di altri musical che vorrebbero essere “dark”, possiede anche una certa “ruvidità” di fondo, una grimness che di solito viene evitata, anche quando si sceglie un’ambientazione gotica.

    1. Perché è molto grezzo, credo. Non in senso dispregiativo: è proprio un film privo di orpelli estetici. Ed è anche un film povero. Tutto questo si riflette nel suo essere estremamente dark, con alcuni inserti così grotteschi che ti lasciano per qualche minuto a chiederti cosa diavolo hai appena visto.

  7. Giuseppe · ·

    Bentornata, allora, signora mia! E quanta roba interessante ci proponi per attenuare il trauma del rientro (io poi sono partito tardi, quindi ancora per poco almeno posso posticiparlo… ma non mi preoccupo più di tanto, visto che seguirò la terapia di titoli che ci hai prescritto) 😉
    P.S. Peccato per quella dannata otite che ha rotto i coglioni nel periodo sbagliato…

  8. Mi piace il trasporto con cui scrivi. Vera.

  9. Alberto · ·

    Ho visto Slasher e pur se non tutto il cast mi è parso all’altezza, nel complesso mi è piaciuto. The Lure è ancora in stand by, ma soprattutto: It Stains the sands red è delizioso e commovente. Nel mio cuore avrei voluto che ci fosse un posto anche per Smalldick nel ricongiungimento finale, ma non importa, mi ha conquistato.

    1. Sì, è vero, protagonista a parte, il cast è un po’ il punto debole di Slasher.
      It Stains the Sands Red è davvero commovente. Io l’ho anche rivisto perché è uno di quei film che fanno bene all’anima.

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