Raccontare il cinema: Tropic Thunder

 Regia – Ben Stiller (2008)

Il mondo si divide in due categorie di persone: quelle a cui piace Tropic Thunder e quelle che non hanno un’anima. È una linea di demarcazione nettissima, in base alla quale tendo a scegliere le mie amicizie. Se non sai citare a memoria almeno metà del copione di Tropic Thunder, sei fuori, a prescindere. E, se non capisci l’intelligenza enorme che si nasconde dietro questa apparentemente volgare e pecoreccia commedia d’azione, mi dispiace, ma io e te non abbiamo niente da dirci.
Forse soltanto Edgar Wright è riuscito, un anno prima con Hot Fuzz, a portare sul grande schermo una così ispirata satira sul cinema action hollywoodiano, ma senza il bonus del meta-cinema che invece caratterizza Tropic Thunder. Non è soltanto una presa in giro dei war movie (sconfinante a tratti nella parodia), ma una riflessione in forma di sberleffo su Hollywood in quanto tale e i suoi meccanismi produttivi, sulla composizione degli ingredienti per creare un perfetto film da Oscar, sul mestiere dell’attore e, in generale, su tutta la follia che sta alla base delle riprese, della distribuzione e della promozione di un film ad alto budget.


Sono cose che Stiller, avendo iniziato a recitare giovanissimo, conosce alla perfezione. E infatti, l’idea di Tropic Thunder è molto antica, risale addirittura al 1987, quando Stiller era sul set de L’Impero del Sole e ascoltava i colleghi più  famosi di lui parlare di campi di addestramento militare dove gli attori andavano a prepararsi per i film di guerra e per sentirsi dei soldati “veri”. Stiller trovò questo atteggiamento piuttosto ridicolo e gli venne in mente di scrivere una sceneggiatura in cui un gruppo di attori si ritrovavano in uno di questi campi di addestramento e ne uscivano tutti con la sindrome da stress post traumatico.
Col passare degli anni, quella che era solo una bozza per uno script diventa un progetto via via sempre più grosso, ma il suo nucleo fondamentale rimane intatto: fare il verso al dramma bellico più serioso e, allo stesso tempo, colpire al cuore ogni stereotipo hollywoodiano.

Tropic Thunder è il titolo di un film sulla guerra in Vietnam, tratto dal libro di un veterano, e quindi “da una storia viera”; ha un cast di superstar assemblato malissimo,  un regista giovane, britannico e dal tocco indie che si rivela del tutto incapace di gestire un mostro cinematografico simile, un gran dispiego di effetti speciali e, alla prima settimana di riprese, è già in ritardo di un mese sul piano di lavorazione. Il produttore (interpretato da Tom Cruise nel ruolo migliore della sua carriera) minaccia di far chiudere il set e di licenziare tutti. Ma al reduce del Vietnam che ha scritto il libro (Nick Nolte) viene un’idea: portare quei bambocci viziati e capricciosi nella giunga, riprenderli con telecamere nascoste e farli sentire come se fossero davvero in guerra. Il regista, un po’ per disperazione, un po’ perché a un veterano senza mani non si può dir di no, accetta e, com’è ovvio, tutto va a puttane nello spazio di un battito di ciglia. La guerra (anzi, la guerriglia) diventa reale e va combattuta con gli oggetti di scena e sfoderando tutti i trucchi del mestiere.

Ma il gioco di Tropic Thunder va oltre quello classico della commistione tra realtà e finzione, ed è più un manipolare lo spettatore tramite l’esposizione e la conseguente messa alla berlina dei cliché, non solo quelli legati al film d’azione di guerra, ma all’industria dell’intrattenimento presa nella sua totalità. Il vero bersaglio di Tropic Thunder non è infatti la retorica militarista (o antimilitarista. Sempre di retorica si tratta) di tanto cinema bellico, è la struttura stessa del film in quanto prodotto per le masse e, di conseguenza, chi ci lavora, siano essi attori, registi, produttori agenti o tecnici degli effetti speciali.
Il divo che ha vinto cinque premi Oscar e non esce dal personaggio se non dopo aver fatto gli extra del dvd; l’eroe d’azione in decadenza che tenta di riciclarsi come attore “serio”, il comico che ha fatto i soldi con una serie di film a base di conclamata idiozia, ma pretende rispetto; il rapper al testosterone che inserisce il product placement della sua bibita in tutte le inquadrature; il produttore senza scrupoli; l’agente cinico e bastardo. Tutto quello che per anni ha nutrito lo star system diventa, in questo film, oggetto di una satira così feroce e spietata da essere stata, in molte occasioni, addirittura fraintesa.

Prendiamo, per esempio, la controversia legata all’altro film nel film presente in Tropic Thunder, quel Simple Jack a causa del quale il personaggio di Ben Stiller (vagamente ispirato a Stallone) si è giocato la reputazione: alla prima di Tropic Thunder ci furono addirittura dei picchetti fuori dal cinema, allo scopo di denunciare il trattamento riservato ai disabili nel film. Ma l’intento di Tropic Thunder non è mai stato quello di fare dell’ironia sui disabili. Si voleva sbertucciare il modo in cui alcune categorie vengono rappresentate dal cinema e l’ironia non era sui problemi mentali del personaggio fittizio di Simple Jack, ma su come Hollywood faccia becera pornografia dei sentimenti.
La stessa cosa si può dire per il vero colpo di genio del film: Robert Downey Jr. che si sottopone a un’operazione chirurgica per scurirsi la pelle e interpretare un soldato di colore. Un’intuizione narrativa che, da sola, è più significativa di centinaia di tweet indignati contro il  whitewashing.
Non credo che, oggi, un film come Tropic Thunder potrebbe essere girato e distribuito senza scatenare polemiche infinite. Anzi, nessuno avrebbe il coraggio di finanziare una sceneggiatura simile, e questo non fa altro che accrescere il valore quasi profetico del film, che resta uno dei ritratti più fedeli della fabbrica dei sogni realizzati di recente. Cosa altro è la satira, se non questo? Mostrare come realmente sono le cose attraverso l’esasperazione, l’eccesso, il contrasto. Tropic Thunder è un film dall’intelligenza sopraffina mascherata da una comicità sopra le righe, a volte volgare, spesso addirittura demenziale, di sicuro di grana grossa. Ma se le gag che si susseguono a un ritmo frenetico sono di facile presa e scatenano la risata tipicamente “di pancia”, senza mediazione intellettuale, non lo è l’impianto concettuale del film, al contrario molto più sottile di quanto si possa pensare dopo una visione superficiale.


Certo che fa morire dal ridere, su questo non si discute. Non c’è un momento, in Tropic Thunder, in cui non ci si ritrovi piegati in due sulla poltrona. E poi c’è quell’atmosfera tipica di molti film diretti da Ben Stiller che ti fa pensare a un ritrovo tra amici scalmanati, quasi capitati sul set per caso e lì rimasti perché era troppo divertente, con la solita parata di facce note, anche in ruoli marginali e cammeo a stento visibili.

Ma, al di là di tutto, Tropic Thunder è anche un grande film d’azione ed è questa peculiarità che lo distingue da varie parodie uscite nel corso degli anni. Ancora una volta, si notano dei tratti in comune con Hot Fuzz, ovvero il non usare l’azione come un pretesto, ma come il veicolo principale per far progredire la storia e scatenare la risata. Perché è da lì che scaturisce la comicità ed è tanto efficace quanto lo è la messa in scena. Stiller infatti cura in maniera particolare le sequenze ad alto tasso di adrenalina, come quella d’apertura o la fuga finale dal covo dei narcotrafficanti. Non si tratta solo di fare le citazioni giuste al momento giusto, ma di avere ben chiaro in mente che Tropic Thunder è prima un action e solo in seconda battuta una commedia. Non per altro, ma perché senza l’azione, la commedia non fa ridere.
Per questo motivo, Tropic Thunder non è una parodia, anche se in alcune circostanze si muove sul confine sottile con la parodia, ma uno di quei film dove si può imparare tantissimo su cosa significhi materialmente fare cinema. E, se dopo averlo visto, continuate nonostante tutto a volerlo fare, allora siete spacciati e per voi non c’è più speranza. Siete come me, insomma.

16 commenti

  1. Blissard · ·

    Anch’io è da una vita che non capisco come mai tanta gente consideri TT un film mediocre (o peggio): l’operazione di Stiller è raffinata e ambiziosissima, ovvero dare al cinema comico-demenziale una dimensione da kolossal, una cosa che praticamente non aveva provato più nessuno in USA dai tempi di Billy Wilder. Se vogliamo trovargli un difetto, TT, è troppo concettuale e troppo poco epidermico, con le gag che vengono “raffreddate” dalla serietà dell’operazione; però cazzo che film!

    1. Ecco, hai ragione, forse è un’operazione troppe “cerebrale” per sfondare davvero. Ma è un film enorme.

  2. Posso stare tranquillo allora, la tua amicizia è al sicuro, perché mi piace tantissimo 😉

    1. Alla fine, mi sa che siamo la maggioranza!

  3. Io spero che prima o poi girino Satan’s Alley! 🙂

    1. Io voglio tutti gli Scorcher!

  4. Giuseppe · ·

    Mi pongo una domanda: non è che, per caso, tutti quelli aventi una bassa considerazione della grana grossa -e già il vederci solo o principalmente quella è un errore grande come un grattacielo- di Tropic Thunder poi magari li sorprendiamo a divertirsi da matti con robe come “3ciento – Chi l’ha duro… la vince” o “Quel nano infame”, vero? Perché allora il fare a meno di questo tipo di pubblico è un’altra cosa di cui TT ha pieno diritto di vantarsi, oltre ad essere un’ulteriore dimostrazione di quanto non sia -nel senso migliore del termine- un film per tutti…

    1. Infatti è proprio contro quel tipo di parodie o, che il Signore ce ne scampi, una robaccia inguardabile come i vari Scary Movie, che Tropic Thunder vince a mani basse. Dà una nuova dimensione alla satira, la fa diventare, come diceva Blissard più giù, una faccenda colossale.

      1. Giuseppe · ·

        Esattamente (e sono d’accordo sul fatto che, meta-cinema a parte, Hot Fuzz sia con tutta probabilità il titolo che gli si avvicina di più). Quando invece in altri casi si manca del tutto la dimensione satirica e, al limite, si riesce “solo” ad essere demenziali, se tutto va bene… a dire il vero, parlando dei vari Scary Movie, fino ad un certo punto quel grezzissimo e per nulla pretenzioso livello di sberleffo cinematografico di genere non è che l’ho poi disprezzato, anzi, ma ormai per me la loro corsa si è definitivamente fermata da più di dieci anni per lasciar spazio a una “concorrenza” (come i due titoli-fogna che ho citato) e delle sotto-imitazioni di puro sterco, capaci di farli passare quasi per dei capolavori a confronto 😦

  5. Provato a vedere due volte. Non lo sopporto a pelle. Peccato, volevo offrirti cena… 😛 😛

    1. Ma sarebbe finita con me che citavo a ripetizione Tropic Thunder 😀

  6. Che poi, qui lo dico pubblicamente, sono un fan sfegatato di Ben Stiller, anche nei suoi film più grezzi e di cassetta. C’è quel sottofondo di ironia feroce e sempre parodistica che fa la differenza

    1. Sì, anche a me piace moltissimo Stiller. Fa sempre le cose con intelligenza.

  7. Io ricordo solo che l’ho visto al cinema e alla fine della visione volevo cavare gli occhi al tizio che mi aveva convinto ad accompagnarlo. Ti giuro che ho riso sì e no un paio di volte durante tutto il film. E non sono certo uno dal palato raffinato.
    Però vabbè, ti stimo lo stesso anche se a volte ci troviamo in cotanto disaccordo 🙂
    Di solito però è sempre quando c’è la comicità di mezzo, quindi evidentemente ridiamo per una comicità diametralmente opposta.

    1. Ma sai, non è tanto la comicità che, l’ho anche detto, è molto sguaiata, a volte addirittura pecoreccia: è quel che c’è dietro la comicità, questo prendersi gioco di tutti i cliché hollywoodiani facendo un film hollywoodiano che ho sempre trovato geniale.

  8. The Butcher · ·

    Seriamente non saprei cosa aggiungere. Hai detto tutto quello che c’era da dire su una pellicola a dir poco geniale. I miei complimenti!

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