Regia – Stewart Sparke (2016)
Due cose, prima di cominciare:
1) la locandina in pieno stile Asylum potrebbe trarre in inganno molti di voi ed è bene che lo sappiate subito: non ci azzecca un beneamato nulla con il film.
2) direttamente collegato al punto 1, The Creature Below non è un prodotto a base di improbabili mostri giganti ibridi, tipo un terzo squali, un terzo piranha e un terzo capitoni, che pasteggiano con giovani vacanzieri in un tripudio di orrida CGI per il sollazzo degli amanti del cinema brutto e imbecille, ma è quasi un horror da camera.
Ora che abbiamo stabilito le premesse, bisogna anche aggiungere che i primi dieci minuti del film sembrano proprio andare in direzione Asylum, stabilendo delle aspettative completamente sbagliate, in positivo e in negativo. Se vi dovesse venire la tentazione di spegnere per delle sequenze subacquee che sarebbero state più credibili se girate in una tinozza con dei pupazzi, fate lo sforzo di proseguire perché quegli effetti speciali da “è inutile che chiamiamo un professionista, tanto lo fa mio cuggino gratis”, cessano di esistere dopo il prologo ambientato in mare. Se, al contrario, quella roba dovesse esaltarvi, spegnete subito perché The Creature Below è un film molto serio, ai limiti del serioso, nonché l’opera più genuinamente lovecraftiana che mi sia capitato di vedere in almeno una decina d’anni. Anzi, forse pure da più tempo, se si calcola che Dagon è di 16 (sì, avete capito bene sedici) anni fa.
Ho sufficiente pietà di me stessa e di voi per non attaccarvi il solito pippone su quanto sia complicato trasporre Lovecraft in immagini, anche quando, come in questo caso, non parliamo di cinema tratto da qualche racconto di Lovecraft, ma di cinema lovecraftiano in un senso più ampio. Eppure, al netto di tutte le sfide concettuali che l’immaginario dello scrittore di Providence pone al mezzo cinematografico, Stuart Gordon ci insegna che il budget è una faccenda secondaria. E che, anzi, a volte disporre di cifre importanti per un film derivato (in qualunque modo) da Lovecraft potrebbe essere addirittura controproducente, perché esporrebbe il regista di turno a voler mostrare troppo, tradendo così il senso ultimo della narrativa lovecraftiana.
Diciamo che questo problema non riguarda Stewart Sparke, inglese al suo primo lungometraggio dopo una nutrita serie di corti: ha girato The Creature Below con il nulla. Davvero, se il film di cui abbiamo parlato lunedì, The Bornless Ones, era un prodotto di serie B a budget ridotto, qui siamo di fronte alla serie Z a budget zero.
E, non ve lo nascondo, la cosa pesa tantissimo sul risultato finale, si sente per tutta la durata del film ed è quasi dolorosa, perché si percepisce questo contrasto insanabile tra le ambizioni sfrenate di Sparke e i mezzi a disposizione. Ve lo dico perché, se volete sottoporvi a The Creature Below, lo dovete fare a vostro rischio e pericolo, sapendo a cosa andate incontro. Non si tratta neppure di cinema indie, che ultimamente è sempre più ricco, ma proprio di cinema ai limiti della sussistenza, quello dove se finisci la cartapesta non hai i soldi per comprarne altra e rischi di non chiudere la scena. Quel tipo di cinema lì, molto più vicino quello che combinavano Craven e Raimi agli albori della loro carriera che all’immagine che abbiamo oggi noi di cinema indipendente.
The Creature Below comincia con una gradevole musica di stampo carpenteriano (quasi un plagio da Il Signore del Male) e con una biologa marina, Olive, che deve scendere a elevata profondità per sperimentare una nuova muta che, in teoria, dovrebbe essere in grado di reggere parecchia pressione e quindi permettere all’uomo di esplorare l’oceano a un nuovo livello e con una libertà di movimento impensabile: la exosuite (questo il nome originale della muta) è, per la nostra Olive, una vera e propria ossessione. Quando arriva finalmente il momento di provarla, lei va subito oltre i limiti, scendendo quasi a 500 metri. Perdonate il mio tocco pedante da sub, ma si nota che, se non altro, Sparke ha studiato: il record di immersione con le bombole è del 2014 ed è fermo a 332 metri. Più in là, ancora non siamo riusciti ad andare, non in quel modo.
Nonostante dalla barca dicano a Olive di fermarsi prima, lei non li sta neanche a sentire e continua a scendere fino a quando viene attaccata da una creatura tentacolare; le comunicazioni con la superficie si interrompono, lo schermo va a nero e ritroviamo Olive sul ponte, mentre cercano di rianimarla. Lei non ricorda nulla dell’immersione, il suo capo la licenzia perché ha sfasciato la muta e non le rimane che tornarsene a casa con la coda tra le gambe, da quel noioso del suo fidanzato. Non prima, però, di aver trafugato dai resti della exosuite danneggiata, una specie di uovo, senza ovviamente dirlo a nessuno.
Il film comincia qui. Tutto quello che avete visto prima potete anche dimenticarlo e, anzi, fareste meglio a dimenticarlo perché è una poracciata senza un minimo di senso. Nonostante sia sempre ottima l’idea di andare a pescare gli Antichi negli abissi, non avere una lira per rappresentarli, questi abissi, e volerli lo stesso mettere in scena, è una follia. Persino i tre campi lunghi della nave in mezzo alle onde fanno digrignare i denti, tanto l’animazione è squallida. A quel punto, tanto valeva acquistare qualche immagine in stock. Sarebbe costato meno e la resa sarebbe stata migliore.
Ma non bisogna disperarsi, perché quando Olive e l’uovo alieno arrivano nell’appartamento la musica cambia e si entra in una zona a metà tra il body horror, gli stati di allucinazione e la paura cosmica in agguato dietro ogni angolo. The Creature Below, pur mantenendo per tutta la sua (breve) durata una patina appiccicosa di miseria e disperazione, diventa in una maniera molto strana, quasi involontaria, un bel film, in grado di suscitare quel terrore dell’ignoto che ogni opera ispirata a Lovecraft dovrebbe indurre nei suoi spettatori.
Sparke (e il suo sceneggiatore Butler) non solo conosce bene Lovecraft, ma lo ama con un trasporto che proprio solo dei cultisti. Ed è un amore da prendere sul serio, non una posa da fan boy. Alle spalle di The Creature Below c’è uno studio serissimo delle tematiche, dei personaggi, delle creature e della cosmogonia lovecraftiani, tanto che quando, verso la fine, Olive comincia a esprimersi per citazioni dirette dai racconti di H.P., la cosa non suscita alcuna ilarità, ma solo orrore.
Olive stessa è caratterizzata in maniera perfetta. Nonostante i protagonisti di Lovecraft siano sempre uomini, Olive potrebbe benissimo essere confusa con uno di loro: poco gradevole, ossessionata ai limiti della monomania, ogni secondo che passa sempre più distante dalla realtà che la circonda, con la mente fatta letteralmente a brandelli dall’incontro con quelle creature millenarie, lo sguardo che si perde in chissà quali visioni. In più Sparke inserisce un elemento tipicamente femminile, quello della maternità. dato che Olive sviluppa con l’adorabile tentacoloide che tiene nascosto in cantina un rapporto molto simile a quello tra una madre e un bambino appena nato. C’è persino una sequenza di “allattamento” da brividi.
La creatura stessa è realizzata molto bene, forse perché si vede poco, mai nella sua interezza e solo attraverso i dettagli strettissimi di un occhio, di un tentacolo, di un artiglio. Un po’ è a causa della necessità dovuta alla pezzenteria ammorbante dell’operazione, un po’ è a causa della passione sfrenata per Lovecraft di cui sopra: Sparke non fa vedere il mostro non solo perché non può farlo vedere, ma soprattutto perché non vuole farlo vedere. E, a mio modesto parere, è una scelta che si rivela vincente. È spaventoso a sufficienza sentire i versi che la creatura emette e assistere alla progressiva degenerazione di Olive, al suo estraniarsi dagli affetti, il suo compiere azioni riprovevoli per dare da mangiare al “figlio”, il suo diventare sempre meno umana.
Certo, il ritmo del film è di una lentezza esasperante, la recitazione spesso non è all’altezza (se si esclude Anna Dawson, ovvero Olive), il montaggio esiste solo per coprire magagne su magagne e non è che si possa dire poi tanto di movimenti di macchina o bellezza delle inquadrature. Ma, non so neanche spiegarvi totalmente perché, The Creature Below ha qualcosa, un’atmosfera malata e ammorbante, un senso di sventura incombente, una percezione dell’apocalisse alle porte che me lo hanno fatto apprezzare persino contro la mia stessa volontà. O forse è uno di quei film che esistono solo in funzione dei lovecraftiani irriducibili. Per cui, fate attenzione se decidete di sottoporvi all’esperienza: potrebbe essere frustrante. Non prendetevela con me. Io vi ho avvertito.
Non so dove scovi queste piccole perle ma complimenti, riesci sempre a instillare curiosità è un piacere leggerti.Sicuramente sarà una visione impegnativa, ma intanto il titolo me lo segno…
Sì, in parte è impegnativo, in parte ti sanguinano gli occhi perché, soprattutto all’inizio, è davvero brutto 😀
Però, lo ripeto, ha un qualcosa di indefinibile.
Scovare queste cose è la mia missione 😉
A me già piace ma è un riflesso pavloviano per il nostro amato solitario!
Infatti il rischio di essere troppo legati ad H.P. per essere obiettivi è grosso!
minchia, sono combattuto tra la CGI orribile e le atmosfere grevi di minaccia incombente… cmq verissimo, a parte Gordon, la poetica di Lovecraft rende bene coi piccoli budget.
Se ripenso a The Banshee Chapter ho ancora paura di accendere la radio
Ecco, anche The Banshee Chapter era fatto con tre lire e metteva addosso una paura bestiale.
Ma pure Gordon girava in miseria.
Lovecraft viene bene quando sei disperato e non hai una lira 😀
Francamente, è già da un po’ che ronzavo attorno a questo titolo senza aver ancora preso una decisione… e il tuo post esprime bene sia le mie aspettative che le mie paure. Ma si tratta pur sempre di un’opera sapientemente legata all’universo di zio H.P., che diamine, e quindi è tempo che me la veda al di là dei suoi comprensibili limiti per via del budget (la storia mi fa venire alla mente pure vaghi echi de L’Acquario di Carl Jacobi) 😉
P.S. Limiti di budget che non hanno impedito a Bornless Ones di essere un cabin in the woods movie degno di nota, dove la sciatteria tecnica (interni e gore escluso) certo non si riscontra a livello di scrittura: si può veramente stare in pena per i protagonisti perché sono individui autentici (non i soliti stereotipati autentici coglioni) e per questa caratteristica i beffardi demoni che li assediano e li possiedono diventano ancora più efficaci nella loro bastardaggine… A proposito di cose fatte con la biro, i demoni sanno come lasciare il segno. Per prendere meglio la mira 😉
Visto ieri sera, poco da dire se non che quoto ogni singola tua parola. Malsano e disturbante, più vicino a Possession che ai prodotti Asylum; se non mi avessi avvertito, avrei abbandonato dopo la prima sequenza, che fa sembrare Sharknado un kolossal.
La prima sequenza fa sanguinare gli occhi. Io ho resistito solo perché le storie con creature marine mostruose sono, per me, irresistibili. Però è vero, ha qualcosa di Possession, che mi sono dimenticata di segnalare nella recensione.
E alcune sequenze sono da star male. Viene la curiosità di vederne un remake più ricco.
Film che ho visto e che grazie al cielo non ho abbandonato dopo i primi 10 minuti (davvero lì la mancanza di budget si fa sentire parecchio). Ha molti difetti, non lo si può negare, ma è riuscito a colpirmi appunto per come abbiano inserito bene tematiche lovercraftiane per nulla semplici. La protagonista è ottima mentre il resto dei personaggi abbastanza dimenticabili.
Da lovecraftiano accanito, quoto in pieno la recensione. Piacevoli rimandi all’opera del nostro H. P. come il diploma di laurea da una sconosciuta Miskatonic University ( si ricordi la felpa del protagonista del da te citato Dagon ) non fanno che arricchire l’amosfera cult che permea tutto il film. Unica pecca che mi ha fatto storcere il naso – e che non hai menzionato – è la scena finale: proprio seguendo la poetica lovecraftiana del ” non mostrare ” penso sarebbe stata preferibile una chiusura sull’urlo angosciato della ragazza, piuttosto che su quel mostro mezzo fuor d’acqua che – complici gli effetti speciali pessimi – non può non lasciar perplessi.
Vero, quell’inquadratura con il mostrazzo stona parecchio ed è realizzata malissimo. In compenso, il pre-finale è davvero bello. Le cose si bilanciano, credo 😉
Grazie per il commento!