Regia – Roxanne Benjamin, Annie Clark, Karyn Kusama, Jovanka Vuckovic (2017)
Febbraio (ormai dovreste saperlo tutti) è il Women in Horror Month, ovvero quel mese dell’anno in cui si cerca di dare spazio e visibilità al lavoro delle donne nel nostro genere preferito, per poi farle tornare nell’oscurità lungo i successivi undici mesi. Solo che, ultimamente, l’operazione di nullificare il lavoro femminile in ambito horror diventa sempre più difficile, dati i successi di personaggi come Ana Lily Amirpour, Jennifer Kent, Leigh Janiak e, appunto, Karyn Kusama, che dirige il quarto e ultimo segmento di questa antologia firmata interamente da donne. E al quartetto va aggiunta Sofia Carrillo, autrice delle splendide animazioni in stop-motion inserite in apertura, in chiusura e tra un episodio e l’altro.
Horror antologico, abbiamo detto. Più che un revival, questo particolare genere sta vivendo il suo momento di massima forma. Non se ne producevano così tanti neppure negli anni ’80, di horror a episodi e, anche allora, non avevano il significato che hanno oggi, quello di proporre al grande pubblico nuovi talenti a costi contenuti. Anche in questo caso, l’unica regista in qualche modo affermata è proprio Kusama.
Per quelli che, l’anno scorso, hanno visto e apprezzato Southbound, forse non sarà nuovissimo il nome di Roxanne Benjamin, già all’opera in quel piccolo gioiellino, dietro la macchina da presa del segmento dedicato al gruppo in tour. Le altre due sono delle illustri sconosciute. O meglio, una di loro lo è, Jovanka Vuckovic, mentre dietro al nome di Annie Clark si nasconde la musicista St. Vincent, che è comunque una totale esordiente al cinema.
Vi conviene cominciare a segnarvi questi nomi sul taccuino, perché le ragazze promettono davvero bene.

The Box, di Jovanka Vuckovic
Uno degli aspetti più singolari della produzione di XX è che ogni regista ha lavorato completamente all’oscuro di di quello che stavano combinando le sue colleghe. Persino la Carrillo ha realizzato le animazioni senza sapere di cosa parlassero i quattro cortometraggi.
A differenza quindi del già citato Southbound, dotato di un filo conduttore che unisce tutti gli episodi e di una continuità anche stilistica, XX è un’opera composta da tanti frammenti diversissimi tra loro, priva di qualsivoglia coesione interna, anche la più flebile o vaga, di solito presente in questo tipo di operazioni: in VHS era la tecnica del found footage, in Holidays il dedicare ogni episodio a una festività, in Tales of Halloween il titolo parlava da sé e anche nei vecchi Creepshow c’era almeno una cornice a unire il tutto.
In XX, se ci sono delle somiglianze tematiche tra i vari segmenti, queste sono involontarie. Ed è qui che le cose si fanno interessanti: tre episodi su quattro (più le animazioni, se vogliamo contarle come episodio a se stante, quindi quattro episodi su cinque) hanno in qualche a modo a che fare con la maternità; tutti, pur nel breve spazio a disposizione, presentano personaggi femminili molto distanti dallo stereotipo tipico del cinema horror: si tratta di figure problematiche, non necessariamente forti e positive. Anzi, l’esatto opposto. E, al di là della riuscita dei singoli corti, credo sia questo il maggior punto di forza del film, la presenza di un punto di vista che sia differente da quello a cui siamo abituati da sempre.
Nel primo episodio, The Box, diretto da Jovanka Vuckovic, c’è lo zampino nientemeno che di Jack Ketchum: il film è infatti tratto da un suo racconto, vincitore del Bram Stoker Award nel 1994, che si può trovare, in inglese, a un prezzo decisamente ragionevole su Amazon (io l’ho subito comprato). Non è un caso se, da un punto di vista narrativo, questo è il migliore dei quattro cortometraggi, il più compiuto, il più “rotondo”, l’unico che mette in scena una vera e propria storia e non una situazione, come del resto è facile che accada quando non si può superare la durata di una ventina di minuti.
Dopo una giornata di shopping natalizio, Susan (Natalie Brown) sta tornando a casa in metropolitana con i suoi due figli, Danny e Jenny. Seduto accanto a loro c’è un uomo con in mano un pacco regalo, la scatola del titolo. Danny è curioso, gli chiede cosa ci sia nella scatola e l’uomo gli fa dare una sbirciata.
Da quel momento, Danny smetterà di mangiare, dicendo di non avere più fame e, col passare dei giorni, contagerà sua sorella e suo padre, dopo aver loro sussurrato all’orecchio qualcosa che non sapremo mai.
Tne Box sembra uscito dritto da The Twilight Zone: è sottile, inquietante, affilato come un rasoio e molto, molto avaro di spiegazioni. La Vuckovic sceglie di adottare il punto di vista di Susan, la madre, l’unica in tutta la famiglia ad avere ancora lo stimolo della fame, quella esclusa dal segreto che invece condividono marito e figli.
Le giornate sono scandite dal passaggio di cibi sulla tavola, destinati a rimanere intonsi, da cene sempre più solitarie e silenziose, da medici incapaci di capire cosa stia accadendo, dalla consunzione che comincia ad affiorare su volti e corpi. Un orrore che la regista ci mostra tramite la reiterazione di scene di vita quotidiana a cui viene sottratto sempre qualche pezzo, fino a quando la vita quotidiana smette di esistere.

Birthday Cake, di St. Vincent
Dopo tanta angoscia, XX si alleggerisce con la coloratissima follia diretta da St. Vincent, Birthday Cake, dove una madre deve a tutti i costi nascondere il suicidio di suo marito alla figlia, per non rovinarle la festa di compleanno. Se The Box è l’episodio più corposo, questo è il più frivolo e divertente. Le due attrici protagoniste, Melanie Lynskey e la sempre divina Sheila Vand, nel ruolo di una stramba governante, sono bravissime a interpretare questo teatrino dell’assurdo tutto sopra le righe e St. Vincent dimostra di avere un occhio di un certo livello, soprattutto quando gioca coi cambi di fuoco, e un talento puro per la composizione dell’inquadratura. Come esordio, dire che ci siamo. Speriamo non si fermi qui, perché sarebbe interessante vedere cosa combina con una sceneggiatura di più ampio respiro.
Il segmento di Roxanne Benjamin è invece un horror molto classico, che però adotta una prospettiva inedita nella caratterizzazione dei personaggi. Proprio per questo, mi piacerebbe che lo espandesse in lungometraggio, per dare spazio a dei protagonisti che, per ovvi motivi, qui sono soltanto abbozzati e che meriterebbero un approfondimento maggiore. Don’t Fall, questo è il titolo dell’episodio, vede l’apparentemente consueto gruppetto di amici campeggiatori passare un brutto quarto d’ora dopo aver scoperto dei graffiti su una parete rocciosa. La Benjamin è a suo agio nel muoversi all’interno di una struttura risaputa e punta tutto sulla rapidità di esecuzione e sull’adrenalina, nonché su un ottimo reparto trucco, per il design della creatura che attaccherà i nostri morituri. È a suo agio anche con la violenza, le fratture esposte e le secchiate di sangue. Ma, al netto di tutti questi elementi pur validissimi, riesce a dire qualcosa di nuovo sulle dinamiche e le relazioni tra i personaggi. Non vi dico niente, perché sono piccoli, piacevoli dettagli che dovete scoprire da soli guardando il film. Voi cercate di farci caso.
Karyn Kusama fa invece un qualcosa di straordinario e molto coraggioso: firma una sorta di seguito di Rosemary’s Baby diciotto anni dopo, con il suo stile gelido, spoglio, essenziale, quello che tutti abbiamo apprezzato e amato follemente in The Invitation. C’è poco da aggiungere a proposito di Her Only Living Son, non perché non meriti di essere ampiamente analizzato, ma perché rischierei di rovinarvelo e sarebbe un delitto rovinarvi la visione di quello che è diventato uno dei miei cortometraggi horror preferiti, per la densità di tematiche e significati, per la capacità, da parte della Kusama, di creare una relazione tesa e credibile tra madre e figlio con pochissimi dialoghi, poco tempo a disposizione, due attori e un appartamento come quasi unica location, per come riesce a caricare il suo corto di una forza emotiva magistrale senza tuttavia essere mai ricattatoria, e per la sua bravura nel dirigere gli attori.
Her Only Living Son è la degna chiusura di un lavoro collettivo di grande efficacia.

Don’t Fall di Roxanne Benjamin
Concludo questo lungo post con una considerazione sulla necessità di produrre un’antologia di questo tipo. Non si tratta di rinchiudere le registe in un ghetto e non si tratta di “quote rosa” nel cinema horror. Da qualche parte ho persino letto che XX sarebbe un film discriminatorio e mi sono domandata, scorrendo i nomi alla regia dei vari horror a episodi degli ultimi anni, cosa sia davvero la discriminazione. Discriminazione è dover festeggiare come un evento ogni horror diretto da una donna, ecco cos’è. Ma è, allo stesso tempo, giusto festeggiarlo, soprattutto quando è riuscito, come in questo caso. È giusto festeggiarlo perché è un altro passo verso un futuro in cui antologie come XX non saranno più necessarie. Per il momento lo sono e dobbiamo tutti farcene una ragione. Come è necessaria un’iniziativa come il WiHM, tenendo però presente che si tratta di iniziative il cui fine ultimo è la loro stessa scomparsa.
Mi interessa terribilmente
Davvero stuzzicante quest’antologia girata alla reciproca insaputa (film discriminatorio? I professionisti del ribaltamento della realtà non si stancano mai, vedo)! Mi affascinano in modo particolare The Box, per le sue ascendenze alla Rod Serling (non sfigurerebbe né in The Twilight Zone né in Night Gallery), ed Her Only Living Son per il personale approccio/omaggio di Karyn Kusama nei confronti del classico di Polanski…
The Box è davvero bellissimo. E no, ci starebbe alla perfezione in The Twilight Zone. Sembra uscito dritto da lì.
Come al solito vorrei vederlo e non posso. Bisognerà che faccia un corso accelerato di comprensione dei film in inglese, anzi nel caso americano. Ti è piaciuto il libro di Ed Wood?
Ancora non l’ho letto! Ho una coda di roba da leggere infinita. Prometto che entro la primavera lo finisco, parola d’onore!
il 21 giugno sarò lì a chiederne conto 🙂
Uscito su Netflix, in questi giorni me lo guardo. 🙂
Se non sbaglio dovrebbe uscire in DVD e Blu-ray in questi giorni. Me lo compro prima di subito visto che ho apprezzato tutti i corti delle registe.
Guarda, di sicuro è approdato di recente su Netflix!
Ho appena visto e sì, c’è su Netflix. Però il DVD me lo compro lo stesso. Meglio date soldi a questi progetti.