Ciclo Zia Tibia 2015: Waxwork

waxworkUna delle edizioni di Notte Horror che ricordo con più affetto è quella del 1993, l’estate dei miei 14 anni. Oltre ai classici come Cabal (di cui parleremo a breve) Italia 1 trasmise anche due piccoli film che, per me, hanno sempre rappresentato il simbolo degli horror estivi a cavallo tra anni ’80 e ’90. Pellicole sgangherate e piene di difetti, ma anche dotate di un fascino unico, suppongo dovuto in parte al filtro nostalgico e in parte a una prorompente e scatenata creatività posseduta da chi li realizzava. In poche parole, quei film traboccavano di idee, a volte geniali, altre dementi, altre ancora improponibili. Ma comunque erano tentativi di creare prodotti che fossero allo stesso tempo divertenti e originali. Il lato ludico dell’orrore, senza dimenticare lo splatter e i brividi.

Waxwork e, forse in misura maggiore, il suo seguito, Waxwork II: Lost in Time, sono l’esempio perfetto di quel modo di confezionare cinema, posto esattamente a metà tra artigianato  puro e catena di montaggio hollywoodiana. Prima che l’horror commerciale diventasse una sequenza interminabile di jump scares e spaventi citofonati, non esisteva una spaccatura così profonda come quella odierna con l’horror indipendente e più “d’autore”. Le due cose marciavano insieme in tutta tranquillità, si nutrivano a vicenda e si compenetravano. Il genere, oggi, è più in salute che mai. Ma soltanto chi si mette a scavare può rendersi conto di questo stato di salute. Al pubblico generico, toccano Annabelle e Insidious 3.

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Waxwork è l’esordio dietro la macchina da presa di Anthony Hickox, un regista che sarebbe diventato una presenza fissa nell’horror anni ’90, per poi (come quasi tutti i suoi coetanei) sparire dalla circolazione e languire in tv. A lui dobbiamo anche il miglior capitolo di Hellraiser dopo il primo. Il ragazzo aveva un certo stile, un gusto delirante nella composizione delle inquadrature e l’ambizione fare il meta horror prima che qualcuno lo inventasse. Suo era anche lo script di Waxwork e, parlando di idee bizzarre, la sceneggiatura ne traboccava. Se oggi arrivasse sulla scrivania di un produttore un soggetto del genere, penso sarebbe accolto a pernacchie. Oppure diventerebbe un film per ragazzi.
Quattro amici vanno ad assistere all’inaugurazione di un misterioso museo delle cere, comparso dal nulla nella loro città. Invitati a presentarsi a mezzanotte da un anfitrione che ha la faccia di David Warner, si ritrovano di fronte a un’esposizione piuttosto singolare: sono tutti brutali assassinii, compiuti da creature orrende.
Quando uno dei ragazzi lascia cadere un accendino in uno degli espositori e supera il cordoncino per recuperarlo, si ritrova proiettato in un’altra realtà e in un’altra epoca. Ogni scena riprodotta con le statue di cera è infatti un portale e, se si compie il tragico errore di superarlo, ci si ritrova a tu per tu con licantropi, vampiri, mummie uscite dai sarcofagi, zombie e  personaggi come il Marchese de Sade. E si fa quasi sempre una pessima fine.

Quello che a prima vista appare come un semplice slasher, cambia pelle in corso d’opera e diventa un fanta horror che spesso la butta in farsa e spesso si diletta a ricostruire ambientazioni e set degli horror storici, condendo il tutto con dosi massicce di gore artigianale. La versione che passava in tv quando ero ragazzina era infatti pesantemente sforbiciata. Rivisto ora, si gustano cose come corpi strappati a metà, teste spappolate, geyser di sangue e gambe rosicchiate dai topi.
Ogni passaggio attraverso i vari portali apre tanti piccoli film nei film, con costumi, ambientazioni e colori diversi. Waxwork diventa così una sarabanda nella storia del cinema dell’orrore e della cultura horror in generale, dove si fa fatica a contare le citazioni. Si va dagli scontati Uomo Lupo e Dracula, a L’Invasione degli Ultracorpi e It’s Alive.
Hickox tiene sempre elevato il ritmo, dosa le esplosioni di violenza con i momenti comici e sfrutta alla grande un cast di volti noti agli appassionati: i ruoli principali sono occupati da Zach Galligan e Deborah Foreman, mentre ci sono due deliziosi camei di John Rhys-Davies e del compianto (scomparso pochi giorni fa) Patrick Macnee, con tanto di sedia a rotelle mimetica corazzata.

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Il risultato è uno spasso. Waxwork è un film in anticipo sui tempi, che richiama gli horror antologici molto in voga in quel periodo, ma riesce a inserire i vari episodi in una cornice coerente e coesa. La regia di Hickox si distingue dall’anonimato grazie alla capacità di ricreare uno stile diverso per ogni segmento nella realtà parallela e grazie alle impennate splatter dove la macchina da presa non risparmia alcun dettaglio.
Waxwork uscì tagliato in sala e non si comportò molto bene al botteghino. Qualche anno dopo la sua release cinematografica, datata 1988, venne pubblicato il VHS uncut che vendette uno sproposito di copie, tanto da far diventare questo piccolo film un cult delle visioni casalinghe. E da rendere necessario un seguito.

Che arriva nel 1992, sempre con Hickox saldo al timone di regia e sceneggiatura e sempre con Galligan come protagonista. A interpretare il personaggio femminile del primo film, Sara, troviamo invece Monica Schnarre al posto della Foreman, di cui si sente un po’ la mancanza.
Waxwork II: Lost in Time, si rivela un film ancora più folle, sconclusionato e citazionista del suo predecessore. Hickox abbandona qualunque pretesa di credibilità e getta i suoi protagonisti in una serie di viaggi nel tempo (e nella storia del cinema) alla ricerca di una prova che dimostri l’innocenza di Sara.
Il film comincia esattamente dove si era interrotto Waxwork: il museo maledetto è stato raso al suolo e si pensa che tutte le creature siano state distrutte. Ma sopravvive ancora una mano mozzata a uno zombie, che segue Sara fino a casa e uccide il suo patrigno alcolizzato e manesco (prima lo strangola e poi lo prende a martellate in faccia, concludendo la sua gloriosa carriera in un tritarifiuti).
Sara viene accusata dell’omicidio e tocca riprendere a viaggiare nel tempo, grazie a una specie di bussola che apre portali un po’ dove capita.

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Tra il primo e il secondo Waxwork, Hickox è maturato e il film fila così liscio che gli si perdona ogni possibile incongruenza. A differenza del film del 1988, che aveva una parte finale con duecento personaggi in campo contemporaneamente davvero tragica per quanto riguarda la messa in scena, e rabberciata alla speriamo che nessuno ci faccia caso in sede di montaggio, questa volta Hickox gestisce una massa di situazioni, personaggi di contorno, scene d’azione con centinaia di comparse, duelli all’arma bianca e cambi repentini di registro, come un consumato professionista.
L’impianto generale di Waxwork II è decisamente più fantasy che horror e i toni sono quelli della commedia, eppure Hickox non si smentisce e ci delizia comunque con i suoi soliti schiaffoni gore, comprensivi di occhi che saltano fuori dalle orbite, toraci aperti e divorati dagli uccelli e persino un bel parto alieno per via orale che riesce a citare, allo stesso tempo, Alien e La Cosa. Non si può non volergli bene.
L’unica regola fissa in un film che nasce sregolato e mattacchione è quella di spararla sempre più grossa: più ambientazioni, più camei, più caciara, più cavalieri medievali e nobili sadici e incestuosi, più riti satanici, più botte, più citazioni.
E soprattutto, c’è Bruce Campbell che fa il cacciatori di fantasmi a Hill House.
Lo ripeto, per chi non lo avesse ben compreso: Bruce Campbell cacciatore di fantasmi a Hill House, per una delle scene più esilaranti di tutto il film.

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E se Campbell non vi dovesse bastare, che dire di Dawn of the Dead mischiato a La Febbre del Sabato Sera?
Idee, dicevamo prima: nei due Waxwork di idee ce ne sono talmente tante da poterci riempire almeno sei film. E ne avanzerebbero ancora da tenere in dispensa per i momenti magra.
Sono film sicuramente sguaiati e grossolani. Ma nel Ciclo Zia Tibia non siamo affatto in vena di raffinatezze, anche se…
Anche se la conoscenza enciclopedica dimostrata da Hickox del cinema horror è merce rara e la capacità di giocare con un’infinità di modi diversi di intendere la paura (e il suo rovescio della medaglia, che è la risata liberatoria) fa sospettare un grado di consapevolezza e intelligenza più profondo rispetto a quanto si potrebbe pensare dopo una visione superficiale delle due pellicole.
Ma era anche la fine degli anni ’80 e questa creatività cazzeggiona era all’ordine del giorno e la si ritrovava anche in registi che poi non avrebbero mantenuto le promesse dei loro primi lavori.
Che questo sia accaduto per mancanza di talento o perché, a un certo punto, la concezione di cinema di intrattenimento è radicalmente mutata, non è un quesito a cui si possa dar risposta in questa sede.
Ma dà comunque da pensare.
O forse da rimpiangere.

20 commenti

  1. Questa rubrica è meravigliosa, sei andata a ripescare uno (anzi due) classici della mie estati “Notti Horroriane” infantili 😉 Bellissimo pezzo come sempre, concordo in pieno con te, i film analoghi odierni non possono che prendere sonore scoppole 😉 Cheers!

    1. Perché non hanno le palle, secondo me. Si basano sempre su formulette preconfezionate e non osano mai, non rischiano mai il ridicolo. E quindi annoiano.

  2. Lacrimuccia di nostalgia sorellina e si, Waxwork era un adorabile pastice che non si può non portare nel cuore

    1. Ha questa capacità di saltare con disinvoltura da un genere all’altro, da una situazione all’altra, da Alien a Hill House senza neanche farti avvertire la cesura. Bisogna essere bravi per fare una cosa simile 😉

      1. Una specie di Helzappopping dell’horror. Impazzisco per queste cose.

      2. Ti ricordi, più o meno dello stesso periodo, Chi è sepolto in quella casa con William Katt?

        1. Ah, quello era un piccolo gioiellino… Ne parlai l’anno scorso, quando dedicai uno specialone a Steve Miner ❤

          1. Non poteva esserti sfuggito… a volte sono ovvio!

  3. pirkaf76 · ·

    Splendida annata, il primo Waxwork era adorabile, ma il secondo me lo sono perso.
    Chissà se è trovabile in streaming.

    1. Si trova, ma solo in lingua originale e senza sottotitoli 😉

  4. E vabbe’, andiamoci a cercare questo film… 🙂

    1. Imperativo categorico!

  5. Denis · ·

    Ha me lo ricordo era li che l’uomo lupo stracciava la testa al vecchio sulla sedia a rotelle, e c’era la scena del vampiro che staccava pezzi di carne da una gamba scarnificata ,e Bruce Campbell nel 2 a cui veniva buttato il sale nello sterno aperto.
    Peccato che poi nel ’95 Scream ha creato l’horror pg 13……….

    1. Non è proprio un’invenzione di Craven, anche perché Scream non ci andava giù leggerino con il sangue e gli omicidi. Si tratta più di una tendenza che si è affermata nel periodo post Scream.

  6. Denis · ·

    A grazie per la precisazione se vi interessa i 2 film insieme e unrated ci sono su Amazon inglese a 7 euro,penso che ci sia anche la traccia italiana perchè sono regione 2 (pal) .

    1. Daniele Volpi · ·

      Su amazon.it c’è l’edizione 2003 in italiano (ad un prezzo improponibile) e poi il cofanetto I&II in inglese…

      Pace profonda nell’onda che corre.

  7. Ho un vago ricordo del primo, forse intravisto in una notte di zapping

  8. Giuseppe · ·

    Notti horror che meritano ampiamente il ricordo – con quel pizzico di nostalgia – da parte di ogni buon appassionato che si rispetti 🙂 E, infatti, chi se li potrebbe mai dimenticare i due Waxwork: paura, azione, realtà multiple/scorribande temporali, horror (citazionista nel miglior senso possibile, con le sue belle punte di splatter e gore), commedia, caciaronaggine, fantasy e il tutto senza soluzione di continuità! Rimpiango assai che, da esperto quale aveva dimostrato di essere, Hickox non ne abbia poi girato pure un terzo…

    1. Il terzo è dato “in development” da secoli, ormai…E lo stesso Hickox ha dichiarato che se ne parla sempre, ma non si è mai riusciti a mettere in piedi un progetto concreto 😦

      1. Giuseppe · ·

        E purtroppo, più passa il tempo, meno si troveranno produttori disposti a rischiare 😦 tenendo conto anche del fatto che a Hickox, oggi, difficilmente verrebbe lasciata tutta quella libertà creativa che ha reso i due Waxwork memorabili…

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