1952: Sudden Fear

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Regia – David Miller
I was just wondering what I’d done to deserve you

Muoviamoci per una volta tanto fuori dal genere per affrontare un vero e proprio filmone, figlio dell’epoca d’oro del noir americano, diretto da un grande professionista e con un cast formato da tre leggende. Una, Joan Crawford, era già durante le riprese una leggenda vivente. Gli altri due, Jack Palance e Gloria Grahame, lo sarebbero diventate di lì a breve. Anzi, la Grahame, sebbene ancora non avesse neppure 30 anni, aveva già all’attivo ben 12 film, per una carriera iniziata nel 1944. Palance, invece, era al suo primo lungometraggio, dopo una serie di apparizioni televisive. Joan Crawford, in qualità di produttore esecutivo, scelse i suoi colleghi attori, il regista, lo sceneggiatore (Lenore J. Coffee), il compositore (Elmer Bernstein) e persino il direttore della fotografia (Charles Lang), azzeccando tutti i reparti. Con ogni probabilità, ebbe anche voce in capitolo sul set e in maniera piuttosto comprensibile: era una superpotenza hollywoodiana con un carisma strabordante e un carattere di merda. Ed era anche in grado di determinare la riuscita di un film con una sola occhiata.
Non che la Grahame fosse da meno. Restando sempre in ambiti leggendari, si narra di furiose litigate sul set tra le due dive. Secondo Palance, vennero addirittura alle mani, perché la giovane Grahame aveva succhiato rumorosamente un lecca lecca mentre si girava un primo piano della Crawford, mandandole a monte la concentrazione. Resta ancora da stabilire se l’abbia fatto apposta o no.

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E tuttavia, nonostante i battibecchi tra la star del momento (ma già in fase discendente, data l’età) e quella del futuro, Sudden Fear, oltre a essere un impressionante sfoggio di professionismo che lascia con la mascella slogata per l’estrema bravura di tutti (dai protagonisti a quello che si limitava a portare il caffè sul set), è il film di Joan Crawford, senza scuse. C’è solo un’inquadratura in cui la Grahame riesce a  rubarle la scena, ma in quel momento Joan non è neppure in campo e quindi non conta.

Sudden Fear (uscito da noi col titolo ammazza tensione di So che mi Ucciderai) ha trama e struttura classiche del noir d’annata: Joan Crawford interpreta Myra Hudson, una commediografa di successo, nonché estremamente ricca, che boccia, durante un provino per il suo ultimo spettacolo, il giovane attore Lester Blaine (Jack Palance). Il motivo è che non riesce a vedere un tipo con una faccia così dura e spigolosa nel ruolo del seduttore.
Poco tempo dopo però, lo incontra su un treno e si lascia sedurre da lui fino ad arrivare a sposarlo. Peccato che Lester, insieme alla sua amante Irene (la Grahame) stia complottando per uccidere Myra e intascare così la cospicua eredità.

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Il film è diviso in tre atti distinti: il primo sembra quasi una commedia romantica, ed è dedicata allo sviluppo della relazione, piuttosto anomala, tra Myra e Lester. Mentre la Crawford gioca a fare la donna innamorata e ingenua, Palance è bravissimo a costruire il suo personaggio con tanti piccoli tocchi di ambiguità. Lester è gioviale, appassionato, divertente, ma noi percepiamo i dettagli stonati nel suo comportamento, soprattutto grazie al modo in cui l’attore sfrutta la sua fisicità straordinaria, quel volto granitico tutto zigomi, quell’aspetto da gigante, quella violenza trattenuta a stento e sempre lì lì per esplodere che, in futuro, lo avrebbero reso un cattivo d’eccezione del grande schermo.
Con l’entrata a gamba tesa di Irene nella storia, il film cambia tono e atmosfera e porta alla rivelazione di chi sia veramente Lester. La scoperta del complotto da parte di Myra è una di quelle scene indimenticabili che da sole bastano a rendere qualunque spettatore dotato di raziocinio un nostalgico del silver screen e della vecchia Hollywood.
Miller prepara questa scena sin dall’inizio del film: il registratore a cui Myra detta i suoi appunti, e che aveva avuto un ruolo fondamentale nella nascita della storia d’amore con Lester, diventa ora latore di pessime notizie, con le voci registrate dei due amanti criminali che rivelano a Myra il tradimento e il pericolo che sta correndo.
La Crawford, da sola in scena, regge lunghissimi primi piani in cui sul suo volto passa tutto il tormento di una donna ferita, disillusa e terrorizzata. Ecco, il modo in cui Joan Crawford usava gli occhi andrebbe studiato nelle scuole. Miller, dal canto suo, sembra quasi voler entrare nella scatola cranica dell’attrice con la sua macchina da presa, mentre Lang sprofonda lo studio di Myra in una foresta di ombre ammonitrici. No, davvero, guardatela perché è una roba pazzesca.

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Si passa così al terzo atto del film. Myra, superato lo sconcerto iniziale, si ricompone e passa al contrattacco. Ora è Lester a essere ignaro delle intenzioni della moglie e la Crawford diventa una meravigliosa e gelida dissimulatrice, capace di architettare un piano diabolico per liberarsi del marito fedifrago e della di lui amante.
Peccato che Sudden Fear sia un noir e, si sa, nei noir i piani diabolici vanno spesso e volentieri a puttane nello spazio di un battito di ciglia.
La parte finale si svolge tra le mura di un minuscolo appartamento (o sarebbe meglio dire, all’interno del guardaroba di questo appartamento) e le strade di San Francisco, passando così da un ambiente claustrofobico agli spazi aperti di una metropoli dove inserire anche un inseguimento mozzafiato.
Tensione alle stelle, ma creata con pochissimo: un cane meccanico a molla, un telefono che squilla, i fari di un auto, la propria immagine riflessa in uno specchio.
Negli ultimi 20 minuti, Sudden Fear è quasi uno slasher, con Palance nel ruolo dell’Uomo Nero e la Crawford in quello della final girl braccata dall’assassino. E anche qui, i primissimi piani dell’attrice si sprecano e il dramma conclusivo di Sudden Fear si svolge interamente fuori campo. Sono gli occhi di Joan Crawford a raccontarcelo.
Classe pura, cristallina, inimitabile.
Un’epoca in cui gli dei camminavano tra noi.

Il 1962 si presenta con tre chicche mica da ridere: si parte con il Poe-film a episodi diretto da Corman e sceneggiato da Matheson, I Racconti del Terrore, si prosegue sempre con Joan Crawford, ma accompagnata dall’altra dea Bette Davis, nel classicone Che Fine ha Fatto Baby Jane? e si conclude col meno conosciuto ma comunque degno di nota Night of the Eagle, noto anche come Burn, Witch Burn! e, in Italia, La Notte delle Streghe, adattamento tra i più riusciti del romanzo di Leiber Conjure Wife.

8 commenti

  1. Giù il cappello davanti a Joan Crawford e a questa ottima recensione 😉 Cheers!

  2. Denis · ·

    In un film Larry Coen per fare dispetto a Bette Davis(nel film era uha strega sia di ruolo che di fatto) che aveva abbandonato il set,il regista oltre a modificare lo script mise la foto di Joan Crawford da giovane per farla passare come la strega da giovane.
    Il titolo non me lo ricordo.
    Un saluto Lucia.

  3. dinogargano · ·

    Gran film , visto più volte , uno dei pochi dove sono riusciti a far recitare davvero Jack Palance , condannato spesso a parti assurdamente uguali e stereotipate .. oddio , con quella faccia è vero che a Hollywood potevano solo stereotiparlo , però non gli hanno lasciato molte occasioni per dimostrare che sapesse anche recitare . Più o meno la stessa cosa successa più recentemente con Henry Silva . Ho votato per la notte dell’aquila , film poco considerato ma quasi perfetto , a mio modesto parere.

    1. NIght of the Eagle è anche la mia scelta. Bellissimo, poco conosciuto, e su cui ci sarebbe una quantità enorme di cose da dire 😉

  4. Quando per saper fare un horror/Noir bastava l’ATMOSFERA.
    Oggi difficilmente senza effetti i registi di oggi riescono a tenerti incollato alla sedia

  5. Il mio voto va a Night Of The Eagle

  6. Giuseppe · ·

    Grandi nomi (davvero, gli occhi della Crawford sapevano parlare allo spettatore), grande film e, come da prassi, grande recensione 😉
    Per il voto, vado anch’io su Night Of The Eagle…

  7. Capolavoro… lei poi è grandissima e umilmente segnalo la giusta OST per ricordarla…
    https://m.youtube.com/watch?v=ARzj2AblBWQ

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