Come ogni mese che si rispetti, arriva il giorno dell’imbarazzo. Dopotutto, ci occupiamo sempre di cose belle. Una volta ogni trenta giorni, ci dobbiamo ricordare che al mondo esistono persone orribili, come Marcus Nispel, Oren Peli e Jason Blum, quest’ultimo orribile solo fino a un certo punto, perché alterna, nella sua carriera di produttore, meraviglie da Oscar con sordidi filmetti che farebbero vergognare anche il più spregevole dei pornografi, pronto a rivendicare la propria dignità artistica in paragone a Il Segnato o a Oujia.
Quasi mi dispiace scrivere questi post, ogni volta. A giugno mi dispiace anche di più, perché comincia ufficialmente l’estate, fa caldo, c’è il sole, si sta tanto bene all’aperto, pedalando in libertà. E invece perdo tempo a guardare questa monnezza. Dovrei essere pagata. O almeno dovreste farmi la solenne promessa di non avvicinarvi ai tre film che mi accingo ad analizzare. Ma non dovete toccarli neanche con un bastone, neanche per assicurarvi che siano morti. Ve lo dico io: sono morti. Non c’è bisogno di sperimentarlo sulla vostra pelle.
Cominciamo proprio da Nispel che, vi sembrerà strano, non è neanche il peggiore del trittico. Non illudetevi, siamo lontani anni luce persino dalla definizione di film mediocre, ma almeno si fa apprezzare il tentativo di allontanarsi dalla zona confortevole a base di remake che ha caratterizzato la carriera del regista sin dagli albori e di rischiare con un progetto originale. Oddio, anche la parola originale non si adatta più di tanto a Exeter (o The Asylum, o Backmask. Un film che ancora non si capisce quale titolo abbia), dato che racconta la storia del solito gruppo di amici festaioli (con il bonus del fratellino minore piattola del protagonista) che sanno come divertirsi e quindi organizzano un party in un ex manicomio abbandonato e fatiscente. Anzi, cade proprio a pezzi ed è lurido da fare schifo. Da farsi sette o otto vaccinazioni prima di entrare, perché non si sa mai quali germi potrebbero nascondersi da quelle parti.
Insieme ai germi, c’è anche un qualche tipo di demone che prende possesso del fratellino piattola.
Sì, Nispel, per il suo primo, vero progetto indipendente e originale, infila sei studenti in un luogo chiuso (c’è il muscoloso scemo, il nerd cicciottello, il fattone, la bella misteriosa e la bionda un po’ sgualdrina, perché si sa che noi donne apparteniamo o all’una o all’altra categoria), li fa sbronzare, li fa giocare ai piccoli satanisti e, in un’impennata di ispirazione e profonda conoscenza delle forme di comunicazione digitale dell’era moderna, fa praticare a tutti loro un esorcismo preso da un tutorial su youtube.
C’è un prete che viene investito da una macchina e cinque minuti dopo se ne va in giro tutto ringalluzzito per l’edificio.
Il protagonista fa di tutto per salvare la piattola, ma nel momento in cui il demone passa a impossessarsi dei suoi amici, non esista un istante a sterminarli uno dietro l’altro senza pietà alcuna.
Ogni tanto qualche tocco di splatter d’annata riesce persino a catturare l’attenzione, ma dura tutto troppo poco, in quanto Nispel non è cambiato di una virgola dai tempi di Conan e monta il suo film come se fosse tarantolato. L’ovvio risultato è una confusione incomprensibile che coinvolge non solo le scene d’azione, ma anche quelle che vorrebbero tanto essere d’atmosfera.
Bravo Marcus, resta sempre te stesso. Non deluderci mai, mi raccomando.
E veniamo ora a The Lazarus Effect, ultimo cucciolo della nidiata di prodotti che la Blumhouse riversa con frequenza impressionante nelle sale e sulle piattaforme on demand di tutto il mondo. La chiave del successo di una compagnia come quella di Jason Blum è il produrre tanto, spendere il meno possibile, rientrare sempre dei costi. Non è una filosofia sbagliata in sé per chi sceglie di fare serie B, con sporadiche incursioni nei territori del cinema di serie A, quando capita e se si annusa l’eventualità di guadagnarci comunque qualcosa. Questo per dire che io, contro la Blumhouse non ho proprio niente. Hanno i loro sistemi, un buon 80% delle cose che mandano in giro mi fanno venir voglia di convertirmi al neorealismo, ma non smetterò mai ringraziarli per Sinister e The Town that Dreaded Sundown.
Quello che mi lascia vagamente perplessa è la motivazione dietro alle decisioni dei nostri illuminati distributori. The Lazarus Effect è uscito in sala, qui in Italia, quasi in contemporanea con la sua release estera. E quindi, se per The Babadook e Wolf Creek 2 ci tocca attendere un anno, le schifezze patinate di Blum arrivano da noi in men che non si dica. E più schifezze sono, prima arrivano.
Credo che bisognerebbe vietare per legge agli sceneggiatori di usare alcune battute nei loro copioni. Andrebbe stesa una carta apposita, con una lista di dialoghi da evitare, pena qualche mese di galera, così poi la prossima volta uno ci pensa bene. In cima alla lista, ci metterei senza alcun dubbio: “Stai giocando a fare Dio”, che ha rotto le palle più o meno negli anni ’30, quando se ne prendeva gioco quel genio di James Whale ne La Moglie di Frankestein. E The Lazarus Effect è un film che pasticcia con tematiche affini a Frankenstein, aggiungendo un pizzico di Linea Mortale e appesantendo il tutto con qualche martellata di pistolotto morale, tanto per dare insegnamenti di spessore ai giovani. E così, un gruppo di scienziati sperimenta un siero capace di riportare in vita i morti. Prima ci provano con un cane e l’esperimento riesce, portandoli però a essere sbattuti fuori dall’università per aver infranto qualche centinaio di regolamenti etici. E così, la direttrice dell’istituto lancia l’anatema contro il ricercatore capo: “Tu stai giocando a fare Dio!”
Tempo sei secondi e il film è collassato su se stesso.
Il cane è aggressivo e agisce in maniera strana. I nostri eroi vanno di notte nel laboratorio, eludendo la sorveglianza, per effettuare un altro esperimento e raccogliere da capo i dati che gli sono stati sequestrati. Olivia Wilde ci lascia le penne e, invece di un altro cane, diventa lei l’oggetto dell’esperimento. Con conseguenze, ovviamente, nefaste.
Non si gioca a fare Dio, capito scemi?
In realtà le idee, in The Lazarus Effect, non mancherebbero. Il problema è che regista (esordiente, ex documentarista, David Gelb) e sceneggiatori le tirano in faccia allo spettatore neanche fossero macigni. E, se non vi irrita la semplicistica e forzata dicotomia scienza/fede, ostentata in quasi ogni scambio di battute, per circa un quarto d’ora il film regge e si lascia guardare.
Poi scoppia la caciara e si ha l’impressione che tutti volessero solo farla finita il prima possibile, incassare l’assegno e tornare a casa a occuparsi d’altro. E così, tra esperienze pre-morte, cervelli potenziati, omicidi esangui, The Lazarus Effect arranca fino a una conclusione che addirittura lascia presagire un seguito.
Ridateci, subito, Re-Animator, per cortesia.
Peccato solo per l’ottimo cast sprecatissimo. Compare persino Ray Wise di sfuggita, oramai abbonati ai ruoli inutili in film inutili.
Il fondo lo tocchiamo, neanche a dirlo, con Oren Peli. Area 51 è il suo secondo film da regista, pronto dal 2009 e rimasto parcheggiato in attesa di distribuzione fino al 2015. E dico io, ci sarà pure un motivo se per quattro anni nessuno si è sognato di farlo vedere al mondo. Anche qui c’è di mezzo la Blumhouse, in veste di produttore. Se persino Blum si è vergognato di distribuire questo film, ci si dovrebbe porre qualche domanda.
All’epoca, Peli era anche un personaggio molto quotato, era fresco del successo sbalorditivo dei primi Paranormal Activity, ancora non era inciampato nei flop consecutivi della serie tv The River e di Chernobyl Diaries. Dopo aver diretto (si fa per dire) Area 51, Peli si sarebbe dedicato solo alla produzione e alla sceneggiatura, lasciando ad altri la macchina da presa, con risultati altalenanti ma quasi sempre tendenti al brutto.
Possiamo dire che Area 51 rappresenti la fine della sua carriera da regista.
Carriera del tutto priva di una qualsiasi ragion d’essere, dato che al tizio in questione mancano le basi linguistiche del narrare per immagini e, non appena si tratta di uscire da un appartamento con telecamere fisse montate per ogni dove e far muovere i propri personaggi in ambienti diversi, e quindi con un raggio d’azione più ampio e variegato, Peli va nel panico e sforna un’ora e mezza di gente che cammina al buio.
Tre amici (accomunati dal fatto di essere imbecilli) partono alla volta dell’Area 51 perché uno di loro, dal giorno alla notte, è diventato un complottista ufologo e, nel giro di tre mesi, trova il modo di eludere le misure di sicurezza di una zona militare per arrivare dove nessun uomo è arrivato prima.
Ovvero portarsi una telecamerina all’interno dell’Area 51.
Sì, lo so: certa gente non ha una vita.
I tre camminano nel deserto di giorno, camminano nel deserto di notte, camminano nella base e camminano fuori dalla base.
Nel frattempo parlano, ma ciò che si dicono è un susseguirsi di “fuck” e “shit”, perché lo sapete com’è Oren Peli, il realismo minimalista prima di tutto. Un integralista del found footage, quella branca del cinema che si rifiuta categoricamente di compiere la missione stessa del cinema: tagliare le parti inutili.
Area 51 è il manifesto dell’irrilevanza. Personaggi irrilevanti compiono azioni irrilevanti in un contesto irrilevante. Il fascino dell’Area 51 e dei suoi misteri (per chi lo subisce) annega in questo oceano di irrilevanza.
Forse a un adepto all’ultimo stadio dei found footage potrà addirittura sembrare un capolavoro. Come impostazione è in effetti molto simile a Paranormal Activity. Procede sfrontato nel non voler far accadere nulla e poi, negli ultimi minuti, proprio quando il povero spettatore si era assopito, la shacky-cam prende il controllo e la concitazione degli eventi (alieni feroci e militari idioti) fa si’ che tutti, invece di camminare, si mettano a correre.
Sempre al buio, sempre gridando “fuck” e “shit” e sempre con Peli che si impegna al massimo nella sua sacra missione di rendere ogni elemento presente sulla scena del tutto irrilevante.
quello di Nispel non l’ho visto , gli altri due purtroppo si…
E quello di Nispel, ti giuro, non è neanche il peggio. Quindi parti già corazzato.
Area 51 l’ho saltato a piè pari stile canguro, Lazzarus invece lo commenterò a breve, volevo vedere lo status dell’Horror commerciale americano… Messi proprio male… Cheers! 😉
Stanno messi con le pezze al culo 😀
Lazarus avevo iniziato a vederlo poi ammetto di essermi addormentata…volevo riprenderlo ma a questo punto lascerò perdere. Nispel e Peli ormai mi basta leggere i nomi per evitarli come la peste…vado off topic: ma quanto è bello “Maggie” e con che merdoso titolo (“Contagious”) uscirà da noi…
Sì, sulla storia del titolo di Maggie stendiamo un velo pietoso o mi parte l’embolo
Ero quasi (QUASI) tentata di andare al cinema per Lazarus, grazie al Dio che i personaggi non sono non sono andata. Se davvero questa è la volta che di Peli ce ne liberiamo, sono quasi contenta che sto film l’abbia fatto.
Ma come produttore non ce ne libereremo mai e poi mai 😀
Non penso che le sue intenzioni iniziali fossero quelle di fare il regista. Anche perché è evidente che non gli interessi proprio il linguaggio cinematografico.
Lui voleva sfondare e lo ha fatto.
Confermi la mia idea che per certa gente il pregiudizio è certezza. Peli e Nispel sono ormai famigerati, l’altro non lo conoscevo…e continuerò a non conoscerlo!
Il bello di questi personaggi è che spariscono nel nulla per anni, pensi di essertene liberato e poi all’improvviso te li ritrovi sul groppone con il loro ultimo “capolavoro”
A volte ritornano… ciapèisa àn’acidènt! Come si dice nella mia lingua!
Quando sento nominare Nispel ho automaticamente una reazione allergica (sarà psicosomatica, ormai), e se il suo pastrocchio – complimenti per l’abusata somma di stereotipi, Marcus – è il meno peggio, allora ho davvero paura ad immaginarmi cosa possano essere gli altri due… Un po’ mi dispiace a dire il vero, perché, se davo ormai per scontato che quel pirla di Peli sarebbe riuscito a rovinarmi pure l’Area 51, qualche moderata speranza nei confronti di The Lazarus Effect l’avevo riposta. Se solo fossero riusciti a tenere a bada il catto-moralismo accattone e, di conseguenza, quel fallace e riduzionistico accostamento fra scienza e fede (che sembrava quasi essere un punto d’onore, nelle varie interviste e speciali dedicati) avrebbe sì potuto essere un buon film… derivativo, certo, ma sicuramente vedibile. E invece hanno scelto di buttar le idee azzeccate nel cesso… Bah! 😦
Su The Lazarus Effect ci avevo sperato anche io, lo sai?
Però mi sono dovuta arrendere all’evidenza dello schifo.
Riuscire a vederlo tutto è stata un’impresa vera e propria. Già alla mezz’ora ero stanca 😀
Peccato per la grave mancanza nel film di Nispel, ovvero la ragazza saccente. Poteva coprire così il 100% dello spettro adolescenziale che tanto bene fa al nostro lavoro d’accetta nel suddividere il mondo in categorie.
Eh, però c’è il protagonista del film che è saccente, quindi il ruolo è coperto, anche se il genere è cambiato.
tutto il mio sostegno morale per Lazarus effect: ormai ho imparato con il teleguidato dai trailer a scansare lo schifo, per fortuna
Di solito anche io riconosco i film pessimi lontano un miglio. Lazarus mi ha fregato.
Su Peli e Nispel, li ho visti consapevolmente: avevo la rubrica delle porcherie di giugno che si approssimava e non sapevo che film buttarci dentro 😀