Considerazioni (a freddo) su Gone Girl

gonegNe avevamo accennato nel post sui film migliori del 2014, dove l’opera di Fincher è segnalata come film dell’anno, sbaragliando in extremis una concorrenza molto agguerrita. Su Gone Girl ci sarebbe da scrivere un trattato. Non spetta a me farlo ché non ho questa ambizione, ma comunque una recensione mi sembrava troppo poco per un prodotto simile. Anche questo l’ho già detto, ma se vivessimo in un’epoca in cui ai film venissero dati più respiro e più tempo, la portata di Gone Girl sarebbe gigantesca. Purtroppo, oggi, la vita di una pellicola è breve e passa in sala a ritmi serratissimi per essere subito dimenticata e sostituita. Quando ci lamentiamo del fatto che non escono più i capolavori del passato, riflettiamo qualche istante su quanto spazio viene effettivamente concesso a un film, su quanto dura la sua presenza, e nei cinema, e negli angolini che la critica gli riserva, e facciamoci un paio di domande sulla nostra coscienza di fruitori e appassionati.
Ecco, Gone Girl è un caso esemplare del tritacarne mediatico che è diventata la distribuzione. Qui da noi non è stato quasi cagato di striscio. All’estero, invece, è stato ammazzato dalle polemiche su una presunta (e non pervenuta, ma ci torneremo) misoginia contro cui gli indignati di professione si sono scagliati, senza aver compreso una virgola né del film di Fincher né del romanzo di Gillian Flynn da cui è tratto.

David-Fincher-Rosamund-PikePoco male, in fin dei conti: Gone Girl ha comunque incassato 166 milioni di dollari e, se il mondo non è proprio da buttare al cesso, farà probabilmente incetta di premi Oscar a marzo. Avrà anche il merito di consacrare definitivamente un’attrice straordinaria, Rosamund Pike che, nel ruolo di Amy, si è quasi trasfigurata, rappresentando sullo schermo un personaggio complesso e, per molti aspetti, poco gradevole, con un trasporto e una dedizione assoluti.
Ma molti hanno trovato il film “difettoso”. C’è chi parla di un finale poco soddisfacente, chi di una interpretazione, quella di Ben Affleck, non all’altezza del ruolo (come se Fincher fosse così coglione da affidare a un pessimo attore la parte del protagonista maschile), chi il personaggio della Pike poco verosimile. C’è stato persino chi ha accusato il regista di aver normalizzato il suo cinema. In fondo, siamo già alla seconda trasposizione consecutiva di un best seller. E non è cosa da farsi, signor Fincher, tu sei poco rivoluzionario, tu ti normalizzi.

Partiamo dalle cose facili: per chi ha letto il romanzo (ma anche per chi ha fatto il minimo sforzo di entrare nel meccanismo del film) il modo di recitare di Ben Affleck non può che essere perfetto. Purtroppo accade spesso che un attore si ritrovi con un’etichetta appiccicata addosso senza alcun motivo. E ad Affleck è toccata quella di cane maledetto. In realtà, se ben diretto, è un bravo attore, adatto a determinati tipi di ruoli, meno adatto ad altri, non particolarmente versatile e con una gamma espressiva certamente limitata ma spesso efficace.
In Gone Girl, il suo personaggio è quello di un ragazzotto di provincia ripulito, dotato di una certa dose di fascino, non particolarmente sveglio e parecchio imbambolato. E sì, il più delle volte, la sua incapacità di esprimere emozioni lo mette nei guai. Perché è inespressivo, cosa di cui viene a più riprese accusato sia nel libro che nel film. Quindi, se imputate ad Affleck qualcosa, prima magari accertatevi che questo qualcosa non sia richiesto dal ruolo. Tanto per non dover poi fare figure di palta. Fosse mai che il film non lo avete visto e vi siete messi a scrivere la recensione così, alla cieca.
Chiusa la questione Affleck, ora occupiamoci degli altri aspetti di Gone Girl, quello cinematografico, prima di tutto, quello narrativo poi, e infine andiamo a toccare la tremenda diatriba su misoginia sì, misoginia no.
Abbonderanno gli spoiler, che è poi il motivo per cui questo post esce quando il film è già considerato “vecchio”.

866adee9b42e6e060115324a230b98f4844db626Normalizzazione. Fincher, che passava per regista rivoluzionario quando girava i videoclipponi come Fight Club, ora che ha finalmente acquisito uno stile maturo, non bisognoso di trucchetti dozzinali, ragionato e geometrico, diventa un normalizzato. Fincher, di film in film, ha dimostrato di essere uno dei pochi autori “commerciali” rimasti in circolazione. E per autore commerciale intendo un professionista con i controcoglioni, ma anche con una visione personale del cinema, visione che ha sempre imposto al pubblico, anche con la forza e anche contro il pubblico stesso (mi viene in mente Zodiac, considerato da più parti noiosetto, quando è invece uno dei più importanti pezzi di cinema del decennio scorso). Qualunque cosa racconti, in qualunque modo scelga di raccontarla, che sia la storia della nascita di un social network, o quella di un’indagine su un delitto vecchio di mezzo secolo, Fincher si appropria della storia ed esercita un dominio assoluto su di essa. È un superbo narratore per immagini, uno che sfrutta il mezzo cinematografico come pochissimi sanno ancora fare, uno che ti fa capire tutto con un’inquadratura, con la disposizione degli oggetti al suo interno e con la direzione degli attori.
E no, perdonatemi, ma non vedo alcuna normalizzazione nella messa in scena, perfetta da far male al cuore, di Gone Girl. Guardate le scelte compiute da Fincher, il modo in cui convince gli spettatori di una cosa e poi rimescola tutte le carte con uno stacco di montaggio. Guardate solo la scena in cui Nick chiede ad Amy di sposarla e poi, a posteriori, interrogatevi se non sia tutta lì, la soluzione del film. Soffermatevi sui dettagli, porca miseria, su sguardi e intenzioni.
Nessuno poteva portare sullo schermo il rompicapo intricatissimo scritto dalla Flynn. Nessuno tranne lui. Nessuno è in grado di giocare in questo modo coi punti di vista. Di farti, letteralmente, esplodere il cervello.

Gone-Girl-underwater-effectsIl che ci porta dritti all’eccellenza narrativa di un film come Gone Girl. L’adattamento di un romanzo così potente, radicale e, al tempo stesso, dall’enorme forza commerciale, non era semplice. Gillian Flynn stessa ha curato la sceneggiatura, apportando tagli necessari, ma lasciando pressoché invariata la struttura a due facce. L’idea per cui il più grande plot twist della storia si trova a metà libro, momento in cui comincia un altro racconto ancora (o meglio, lo stesso, ma da una diversa prospettiva) è destabilizzante sia su carta che su schermo. E va gestita con consapevolezza.
In fin dei conti, Gone Girl consta di tre film in uno: il primo è tutto dedicato a Nick Dunne e ai suoi tentativi di apparire innocente agli occhi di un sistema che ha già emesso una sentenza di condanna nei suoi confronti. Questa prima porzione è quella più classica e hitchcockiana del film. Un thriller dove un uomo viene “incastrato” e tenta, malgrado tutti gli indizi portino a lui, di salvarsi la faccia (e la pelle, dato che in Missouri c’è la pena di morte). Ma anche qui, con l’uso dei flashback riguardanti gli inizi della storia d’amore tra Amy e Nick, il loro matrimonio prima felice e poi sempre più scricchiolante, le zampate che tolgono il terreno sotto i piedi allo spettatore, da parte della Flynn e di Fincher non mancano. È qui che lo spettatore comincia a farsi domande. Ed è qui che cade con tutte le scarpe nella rete tessuta da Amy.

Il secondo film è quello di Amy. La mitica, doppia, tripla, quadrupla Amy. Una proiezione dei bisogni altrui, uno specchio deformante atto a far sentire migliore chi a lei si rapporta, una psicopatica pura. Ma, attenzione, nella sua lucida follia, Amy ci fa sentire dei perfetti idioti. Noi, così intenti a credere che la nostra identità (e con essa quella delle persone che amiamo) sia un punto fisso e determinato. Quando è invece manipolabile. La manipoliamo noi cercando di apparire più belli, più onesti, più intelligenti e piacenti di ciò che siamo. Anche se persino il verbo essere qui andrebbe messo in discussione.
La manipolano la stampa, i mezzi di informazione, la tv, tutto il circo che si scatena intorno a un qualunque evento tragico, e che costruisce identità fittizie, a uso e consumo del pubblico pagante.
E la manipolano Fincher e Flynn, in un’opera che è una gigantesca manipolazione cinematografica dell’identità individuale, mai messa così in discussione come in questo film.

E poi c’è il terzo segmento. Il famoso finale che a tanti ha fatto storcere il naso, quello dove si accetta passivamente di non possedere un’identità vera e propria e si prende quella che dall’esterno ci viene gentilmente offerta.
Ed è forse troppo dura da mandare giù una fine così. Priva di catarsi, priva di una vera e propria risoluzione.
“Si chiama matrimonio, tesoro” dice Amy a Nick.
Si chiamano rapporti umani, si chiama società in cui abbiamo scelto di vivere. Può essere frustrante non avere un cattivo finale su cui accanirsi. Ed è poco consolatorio vedere che siamo tutti coinvolti.

tumblr_ndhtgvhZrx1rupgj7o6_r1_1280A volte ho il timore che le buone cause siano delle potentissime calamite per imbecilli. Ora, è un’ottima causa quella di voler cercare, attraverso il cinema, di dare una rappresentazione meno stereotipata e più equilibrata dei personaggi femminili. Me ne occupo spesso anche io. Peccato che questi nobili intenti vadano a scontrarsi contro muraglie di idiozia. Per un sunto rapido delle polemiche, potete leggere qui.
Il dibattito sta tutto nella domanda: Gone Girl è un’opera femminista o un’opera misogina? Se la risposta fosse “nessuna delle due cose”, qualcuno avrebbe da ridire? Forse sì.
Per come la vedo io, Gone Girl è una storia che si fa beffe degli stereotipi di genere, maschili o femminili che siano. E li mostra come il deleterio parto di una società che campa e prospera su stereotipi simili.
Amy è un prodotto. Prima dei suoi genitori (parlavamo prima della scena della proposta di matrimonio, fatta da Nick proprio durante la presentazione di uno dei libri della Mitica Amy), poi di ciò che una donna è obbligata ad apparire per soddisfare un ideale tutto maschile. Amy  si comprime e alla fine si incastra in un ruolo (il discorso sulla strafiga, coolgirl nella versione originale) che non solo la forza a modificarsi costantemente, fino a non avere più un’identità (ci risiamo), ma spinge Nick stesso ad apparire migliore di quello che in realtà è.
E quando questo gioco delle parti si spezza, Amy esplode. Ed esplode la sua furia vendicatrice.
Siamo sicuri che Amy sia un personaggio negativo? E siamo sicuri che il finale rappresenti il trionfo dell’ipocrisia e del male, di una stronza psicopatica che, dopo aver calpestato tutto e tutti, vince? Non è forse, invece il momento in cui la verità di un inferno privato a cui entrambi i protagonisti sono legati per sempre, può essere vissuta e accettata?
Io vi lascio con queste domande. A cui Gone Girl non dà risposte certe (ne offre più il romanzo del film, a voler essere pignoli). Ma un film che pone domande così violente non può essere incasellato in misere categorie. È un film di cui, al contrario, si dovrebbe discutere per anni.
Ma questo non accadrà. Nel frattempo ci saranno altre polemiche, altri strepiti, altre identità compromesse. E il circo andrà avanti. E con esso l’oblio.

Link vari, di chi ha già scritto sul film:
Recensione di Book & Negative
Recensione del Bollalmanacco
Recensione di Ulteriorità Precedente
Recensione del Bradipo

Questo articolo è dedicato a Silvia.

42 commenti

  1. Ho sempre pensato che Fincher difficilmente delude e mai banalizza i suoi lavori, tanto che rientra fra i miei preferiti…

    1. È uno dei registi più personali rimasti. E si muove indipendentemente da certe logiche. Anche all’interno di un contesto commerciale.

      1. Con Fincher al di la’ del pluri celebrato Fight Club ho sempre amato il suo Alien…

        1. Tu pensa che io lo odiavo. Poi comprai un cofanetto con l’intera saga e vidi il director’s cut. Un’altra storia.
          E immagina se davvero Fincher fosse riuscito a girare il film che voleva, che splendida cosa ne sarebbe uscita.

          1. Mi era sembrato il solo che avesse ripreso le atmosfere di Scott, perchè Cameron l’ha fatto splendidamente suo e Jeunet se ne era ulteriormente distaccato…

  2. Non ho ancora visto il film purtroppo, ma ho avuto modo di leggere il bellissimo libro e credo che Affleck sia oggettivamente perfetto per la parte di Nick. Spero di riuscire a colmare la mia mancanza presto…

    1. Affleck è Nick Dunne. Non riesco a immaginare un altro attore in un ruolo simile, davvero.
      E spero ti piaccia, il film, quando lo vedrai. Poi fammi sapere 😉

  3. Intanto grazie di avermi dedicato questo articolone incredibbole.
    Ricordi quando parlai del romanzo della Fynn? Il film di Fincher sarebbe uscito dopo un paio di mesi e io fremevo all’idea. Mi aspettavo un’accoglienza e, come dire, una pubblicità maggiori. Invece il gelo. Le aspettative sono il Male, questo ormai è un dato di fatto. E tutto quello che hai scritto lo condivido pienamente, su Gone Girl si dovrebbe davvero scrivere un trattato. È un’opera (letteraria e cinematografica) potentissima, che parla di noi più di quanto vorremmo ammettere. Una mia amica, dopo la visione del film, mi ha detto che il finale non l’ha sconcertata, anzi, che addirittura se l’aspettava. Perché della miserabile ineluttabilità dell’uomo c’è poco da stupirsi. E io questo lo trovo molto giusto, ma anche spaventoso.
    Su Fincher stesso ci sarebbe da disquisire, non capisco come possa essere così sottovalutato dalla massa. Io credo sia un regista immenso e hai fatto bene a nominare proprio Zodiac: film che non si è cagato praticamente nessuno, quando in realtà è un filmone straordinario (col merito, tra le altre cose, di aver gentilmente concesso un ruolo grandioso a Robert Downey Jr.).

    1. Ma io sono una stupida perché non ho inserito il tuo articolo tra i link e vado subito a rimediare.
      Fincher non si sa cosa scateni nellagggente.
      Per molti il suo contributo al cinema si ferma a Seven e Fight Club, che secondo me sono ancora film immaturi. E infatti sono anche quelli più facili da recepire. Paragona Seven a questo e vedi come Seven ne esce con tutte le ossicine rotte.
      E io ti lovvo imperituramente.

      1. Calcola che Seven al tempo mi piacque abbastanza e Fight Club è uno dei miei film del corasòn (film per il quale ho letteralmente perso la capoccia per Norton). Ma indubbiamente ciò che Fincher ha prodotto in seguito è il risultato di una maturazione artistica e anche personale. Ha trovato la sua chiave narrativa e io vado matta per la sua regia “pulita”. Un film di Fincher lo si riconosce immediatamente e alla prima inquadratura io sbavo.

      2. Giuseppe · ·

        In effetti da Seven e Fight Club (più il primo del secondo ma son gusti personali, ovvio) si può dire che sia stato un sentiero in salita e, a quanto hai dettagliatamente riportato, che la vetta – almeno per il momento – sia stata raggiunta. Il fatto di non essere quasi stato cagato di striscio dalle nostre parti non mi stupisce più di tanto, purtroppo, quando anche solo a partire dal titolo italiano (quell’ “amore bugiardo” appiccicato con lo sputo a Gone Girl, tipico da commediola sentimentale nostrana/d’importazione o – a scelta – drammone caramelloso) ci si mette di buzzo buono nell’intento non far capire di cosa il film realmente parli… sulla questione Affleck, poi, sarò brevissimo: non ci vedo nulla di scandaloso nel suo essere più adatto a determinati ruoli che non ad altri (come se la cosa fosse applicabile solo a lui, ma per favore), e Fincher sa il fatto suo se lo ha messo lì. Quanto alla stupenda Rosamund, so che non mi deluderà nemmeno in questa difficile performance… tra l’altro, viste le ipotesi di Moffat riguardo a un futuro post – Capaldi, c’è anche chi vorrebbe vederla nientemeno che nei panni del prossimo Dottore 😉

        1. Sono decenni che si vocifera di un Dottore donna. E sarebbe una bella sterzata per la serie, almeno secondo me.
          Preferisco anche io Seven a Fight club, e di gran lunga. E vedo davvero un’evoluzione molto precisa nel cinema di Fincher, che è uno dei registi più seminali degli ultimi 20 anni o giù di lì.
          Il titolo italiano è una bestemmia, davvero. E non ci azzecca niente.

          1. Giuseppe · ·

            La solita, amara questione del titolismo italico di merda 😦
            Quanto alla sterzata direi che ci sono ottime probabilità, se solo consideriamo qual è l’importantissimo ruolo antagonista affidato a Michelle Gomez nell’ultima stagione, tale da farmi fa pensare all’arrivo di un Dottore donna – capace di far durare la serie ancora per molto, molto tempo – in tempi relativamente brevi…

  4. Ricordo un libro, che ho adorato, un noir perfetto, politicamente scorretto al massimo, [il lui della situazione tradiva la moglie con una ragazza molto più giovane], ora disponibile solo su Ebay, si intitolava “Io ti voglio” di Gary Devon e racchiudeva un finale esattamente definibile con le parole che tu proponi per questo.

    1. E ora devo recuperarlo con tutti i mezzi, leciti e illeciti 😉

      1. Non spoilero ma racchiude davvero un meccanismo perfetto. Non capisco perchè non l’abbiano più ripubblicato. Nè mi pare ne abbiano mai tratto un film. Forse perchè la ragazzina è davvero molto più giovane. ma davvero, leggilo, e vedrai come è raggelante il finale.

        1. Lo sto cercando usato… Lo prendo su ebay e lo leggo di sicuro. Grazie per la segnalazione, preziosissima!

  5. Applausi per te Lucia. Io uscita dalla sala ero frastornata, vittima di un’impulsività che gridava “film misogino!”. A caldo mi sentivo male, tanto da non riuscire a valutare quanto visto sullo schermo, poi è venuto fuori il film in tutto il suo terrificante splendore. 😉

    1. Ciao e benvenuta! Io in sala ci sono andata preparata dalla lettura del libro, quindi ero abbastanza consapevole di cosa avrei visto. Però capisco lo spiazzamento che può causare una storia del genere.
      Grazie del commento!

  6. Daniele Volpi · ·

    E’ per questo che, carissima Lucia (auguri di buon anno, arrivo solo ora delle ferie…) che ho imparato che non esistono film (e libri e dischi) nuovi o vecchi; esistono solo pellicole per cui vale la pena di fare un poco di lavoro in più, non solo guardarle, ma anche capirle, “interpretarle” e metabolizzarle… Il tempo di passaggio in sala è l’ultimo dei miei pensieri [stò valutando attentamente l’idea di fare un investimento per una stazione TV capace di rendere al meglio la visione di un film in DVD/BR].

    Gone Girl, probabilmente, sarà una di queste opere.
    La vita è troppo breve per sprecarla con cose mediocri (e mediocri critiche)…

    Pace profonda nell’onda che corre

    1. Ma noi (e mi ci metto anche io, che guardo tantissimi film, anche più di uno al giorno) andiamo sempre molto di corsa e non siamo più in grado di soffermarci sulle opere davvero importanti. Il risultato è che abbiamo l’impressione che di opere importanti non ne facciano più

  7. Stimolanti riflessioni le tue, soprattutto quelle relative all’obbligo che caratterizza la fruizione cinematografica. Io penso però che questo sia un problema molto più vasto, e antropologico e tipico degli anni che viviamo. Viviamo infatti in un mondo in cui ormai tutto è fruito attraverso modalitá usa e getta, modalitá “liquide”, direbbe Zygmut Bauman, modalitá in cui domina l’impermanenza, oppure la permanenza del dileguamento continuo. Siamo diventati la societá dell”immagine narcisistica riflessa in un’acqua corrente che porta via tutto. Stiamo correndo verso il bordo di una cascata? Non lo so. Ma so che il rischio maggiore di quella cascata è proprio l’oblio.

    1. E io penso anche che una delle tematiche del film di Fincher sia proprio questa condanna all’oblio. Prima si crea il caso, il panico mediatico e, cinque minuti dopo, si dimentica tutto ciò che è accaduto. È un film pieno di strati, significati, messaggi nascosti. E ci vogliono pazienza e concentrazione per coglierli tutti.

  8. Non “obbligo”, ovviamente, ma oblio, nel commento precedente ( è la maledetta correzione automatica dell’iPad!

  9. Violento, coinvolgente, triste, angosciante e necessario, lo specchio dei nostri tempi orrendi.
    E il tuo articolo gli rende incredibilmente giustizia, brava! 😀

    1. Grazie Bollina ❤

  10. Non sono riuscito ad amarlo. Certo Fincher sa come catturarti, lo script è acuto, Affleck ci sta a pennello, e andava bene anche la suspence negata all’improvviso a un terzo del film, non avendo letto il romanzo è stato un bel colpo e ho ammirato lo sprezzo delle convenzioni, ma dopo un po’ il gioco di mascheramenti svelamenti identità controidentità eccetera mi ha appallato. E come descrizione di un supremo inferno di coppia funziona fino all’ultimo secondo, ma lì si ferma. Il tuo pezzo però è molto bello.

    1. Grazie 😉
      Però non capisco una cosa, in che senso si ferma all’ultimo secondo?

  11. Nel senso che, dopo, non ci ho più ripensato, come invece mi càpita con i film che mi colpiscono sul serio (vedi Zodiac, per rimanere a Fincher). Mi ero spiegato maluccio 🙂

    1. Ah, ok, ora ho capito 🙂
      Invece io non riesco a smettere di pensarci, come non riuscivo a smettere dopo aver letto il libro.
      Ma credo sia un fatto puramente emotivo, se ci sono elementi che colpiscono bene, altrimenti non ha lo stesso effetto.

  12. il film non è nè femminista nè anti-femminista. Le polemiche intorno a questo film dimostrano quanto spesso queste etichette socio-politiche sull’arte lasciano il tempo che trovano.
    Detto questo, non mi ha conquistato nemmeno questa presunta riflessione sull’ipocrisia dei rapporti uomo-donna e del matrimonio borghese..ci ho visto solo tanto, troppo nichilismo fine a se stesso (anche nel celebrato monologo della “Strafiga”, sinceramente non credo che i rapporti uomo-donna siano tutti così ineluttabilmente basati sull’imbroglio reciproco).
    Kubrick aveva parlato del rapporto di coppia in Eyes Wide Shut in maniera molto più profonda e un filo di speranza (tenue) lo lasciava alla fine. Questo è un bel thrillerone di uno che ha imparato la lezione hitchcockiana (senza superarla, ovviamente)

  13. (c’è uno spoiler verso metà commento)

    Ogni volta che un personaggio femminile esce dagli schemi rassicuranti della donna-vittima o della donna-eroina (cioè forte, indipendente MA pura di cuore e di morale), ecco che si tira fuori la misoginia. Esattamente come la detective Stella Gibson in the Fall: non donna libera e molto più tosta di tutti i vari maschietti della serie ma mangiatrice di uomini. Mi fanno di un incazzare questi stereotipi…
    Detto questo, stavolta vado all’opposizione e dico che il film non mi è piaciuto. Ma proprio per nulla. Forse perché avevo aspettative troppo alte, ma sono arrivata alla fine incazzata e delusa.
    So che, nelle trasposizioni, sono sempre antipatici i raffronti fra libro e film, e a volte sono proprio inutili perché non si può pretendere che scrittura e cinema utilizzino gli stessi meccanismi narrativi, e “coerenza” vuol dire di prendere la storia e sbatterla sullo schermo pari pari (tipo chi si lamenta che i peli della barba di Ned Stark nella serie Game of Thrones sono di meno rispetto a quelli del libro). Nel caso di Gone Girl, poi, non posso dire che il film non sia stato coerente con la storia narrata nel libro, anzi.
    Quello che a me personalmente è mancata è l’atmosfera generale del libro, il nichilismo, il provincialismo, il crescendo di disagio, di distorsione, di imprevedibilità che mi avevano tenuti inchiodata al libro, e questo non ha nulla a che vedere con il fatto che sapevo già cosa sarebbe successo; i libri e i film che ne vengono tratti per me sono prodotti diversi e, se i secondi sono realizzati bene – sempre secondo il mio gusto – la trama mi interessa fino ad un certo punto.
    I miei problemi con Gone Girl il film sono stati sostanzialmente due: il primo, la mancanza di fluidità narrativa (mamma mia, spero di non usare paroloni a sproposito…), per cui ho avuto l’impressione di vedere una sequenza di scene con ritmi completamente diversi e con troppo “salti”, troppe parti spiegate invece che suggerite, con la conseguente perdita di suspense e pathos di cui dicevo sopra.
    La mia impressione addirittura è che abbiano dato per scontato che tutti gli spettatori avessero letto il libro: mancano alcune informazioni fondamentali (soprattutto nel finale, che è poi la cosa più bella e più devastante nel suo NON essere risolutivo) che non permettono, a chi non conosce la storia, di capire nel profondo quando malata e manipolatrice ma anche intelligente e strategica sia la protagonista. Infatti la persona che ha visto il film con me e il libro non l’ha letto, è rimasta molto, molto perplessa e molte cose non è riuscita a coglierle.

    Il secondo problema, che mi ha disturbato forse di più, è che nel film è venuta meno – per me – la totale assenza di empatia con i personaggi, una delle cose che più avevo adorato del libro: che bello, finalmente una storia dove tutti i protagonisti sono odiosi, non suscitano un minimo di compassione, sono pieni di difetti, non se ne salva uno, e quindi molto più vicini alla realtà.
    Durante il film mi sono accorta con sgomento che parteggiavo per Amy! L’Amy che tanto ho odiato nel libro, nel film mi è quasi stata simpatica: con dei genitori così amorali e vampirizzanti, un marito così pirla e bugiardo, un ex fidanzato psicopatico, una vita di provincia imposta e senza prospettive; di contro, un cervello così superiore… insomma, fra tutti è l’unica che merita un po’ rispetto. L’Amy del film è lontana anni luce dall’Amy del libro, quasi più vittima che artefice. E questo mi ha spiazzato.

    Sono invece assolutamente d’accordo sulla scelta degli attori, la Pike è stupenda e Affleck è perfetto… ma lo è per noi che sappiamo già chi è Nick Dunne. Per chi lo conosce, può sembrare un imbecille sovrappeso di cui non si capiscono i sorrisi fuori luogo.

    (pensa che volevo essere breve…)

    1. Io non so se entrambe le nostre visioni del film siano state viziate (in positivo e in negativo) dalla lettura del libro.
      Ho parteggiato per Amy mentre leggevo e ho continuato a farlo durante la visione, quindi per me non c’è stato questo salto. Nonostante sia un personaggio negativo, non ho potuto fare a meno di simpatizzare con lei, proprio per quei genitori e per il contesto provinciale di merda in cui si è ritrovata senza colpe.
      Per quanto riguarda Affleck, il fatto che sia un povero provincialotto sovrappeso che sbaglia ogni mossa relativa alla sua immagine pubblica, mi è parso evidente anche nel film. Ma qui, forse, è dovuto a quello che dici tu: conoscevo Nick Dunne e mi è parso evidente che fosse rappresentato in questo modo.
      Ho empatizzato con la sorella di Nick molto più nel film che nel libro, tanto per fare un esempio. Nel libro, filtrata dallo sguardo di Nick, mi era parsa scialba e percepita dal fratello come una sua copia benevola e accondiscendente. Nel film ha una sua personalità e un suo spessore.
      Come vedi, sono percezioni differenti della stessa cosa. E un film piace o non piace anche per questa serie di motivi.
      Oggettivamente parlando, Fincher ha diretto in modo quasi sovrumano, da un punto di vista tecnico. Anche Zodiac, per alcuni, aveva questa frammentarietà che riscontri in Gone Girl. Ma io non l’ho proprio sentita. Mi sono scivolate via due ore così, senza neanche rendermene conto.

    2. le donne possono essere, vittime, eroine, malvagie non meno di un uomo. Parlare di misoginia davanti a questo, non ha senso anche secondo me

  14. un film che suscita reazioni, sia un positivo che negativo, è comunque vincente.
    Tieni presente che io ragiono come semplice spettatrice: quando guardo un film o ascolto della musica, sono le sensazioni che mi guidano, la pelle. Quindi le mie sono considerazioni a caldo. Per questo voglio rivederlo.

    1. Anche io quando guardo un film lo vedo solo da spettatrice. Non penso a cosa ne dovrò scrivere, non penso a niente che non sia, semplicemente, godermi il film.
      Credo che qualsiasi altro tipo di approccio sarebbe viziato.

  15. A me Gone Girl non è piaciuto affatto, anzi, mi ha infastidita enormemente. Ma questo non ha nulla a che fare con Fincher e la sua regia che ho trovato, come sempre, accurata e degna di nota. Il mio fastidio è tutto per i personaggi che ho detestato per la loro totale mancanza di sfumature positive. Non dico che non siano psicologicamente curati o sfaccettati ma questo abuso di cinismo e di rappresentazione di sentimenti negativi è talmente contro la mia natura più profonda che proprio non riesco a sostenerlo. Ho bisogno di un barlume pur minimo di umanità che qui non ho trovato in nessuno. Fincher ha sempre rappresentato personaggi neri, affascinati dal lato oscuro e tendenti a scivolarci, ma è sempre rimasto sul confine, conservando un barlume di speranza ed umanità. E questo bastava. Qui è come se fosse precipitato dall’altra parte e io proprio non ce la faccio.

    1. Io credo che a volte sia necessario anche dare uno sguardo dall’altra parte. Basta che non sia compiaciuto. Cerco di distinguere il cinismo dal pessimismo. E secondo me Gone Girl non è un film cinico. È una satira potentissima sul potere dei media e un’analisi spietata, ma mai consolatoria, sulla nostra identità di genere.
      A volte non c’è speranza per nessuno. E, lo sai, io sono spielberghiana quindi per me la speranza ha un suo peso e un suo valore.
      Qui non ne ho proprio visto la necessità, data la tematica rappresentata.
      È un noir, almeno è come l’ho visto io, e come tutti i noir mostra il nostro lato peggiore.

      1. Sicuramente. Non lo metto in dubbio. Ma io proprio non ce la faccio. Sono inadeguata a questo nero che avvolge tutto e non riesco a respirare.

      2. Sicuramente. Ma sono io ad essere inadeguata a tutto questo nero. Mi avvolge e mi sommerge e non riesco a respirare. Non ce la faccio ed annego.

      3. (Non sono impazzita ma commentare dal cellulare non è la cosa più comoda del mondo 😉 )

        1. Ahahahahahahahahah! Sì, figurati, avevo capito 😀

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