Mezzo televisivo e horror non hanno mai avuto un rapporto idilliaco. Se, agli inizi della sua storia, la tv si resse anche sulla trasmissione dei classici Universal, presentati da anfitrioni vestiti come vampiri e mostri vari, non è quasi mai stata in grado di produrre qualcosa di originale che potesse competere, anche alla lontana, con gli orrori cinematografici. Sì, la censura e i vari codici pesavano anche sulle opere pensate per il grande schermo. Ma i limiti, quando si passava al piccolo, erano molto spesso insormontabili: erano limiti economici, concettuali, artistici, differenze enormi di ritmo e anche di professionalità coinvolte. Sebbene la televisione abbia, quasi da subito, soppiantato il cinema come mezzo di intrattenimento di massa più lucrativo, tra gli addetti ai lavori, la roba fatta in tv era posta qualitativamente molti gradini più in basso rispetto a quella fatta per il cinema. Non pensate a come vengono viste le varie serie televisive oggi, tempi tristi in cui ormai vige l’assurda convinzione che il piccolo schermo abbia superato il grande. Che è una cazzata, e ve lo dice una per cui molte serie sono una vera e propria droga. Ma è tuttavia innegabile il balzo in avanti inconcepibile, fino a una decina di anni fa, fatto dalla tv per qualità di regia, scrittura e investimenti produttivi.
All’inizio degli anni ’70 non era così. Figuriamoci poi per l’horror, che necessitava una libertà creativa a cui il mezzo televisivo non era abituato.
Con le dovute eccezioni, certo. C’erano The Twilight Zone e The Outer Limits, anche se entrambe appartenevano ufficialmente alla più nobile fantascienza.
E poi c’era Dark Shadows. No, non l’immonda puttanata di Burton, ma uno dei prodotti televisivi più balzani e fuori dagli schermi mai apparsi su sua maestà catodica. Il creatore di Dark Shadow era Dan Curtis. E, se non sapete di chi sto parlando, forse è meglio che, prima di entrare nel vivo dell’argomento di questo speciale, diamo una veloce rinfrescata alla memoria.
Curtis è stato un regista, produttore e sceneggiatore attivo soprattutto in tv, ma in grado di lasciare la sua impronta anche sulla storia del cinema gotico con lo splendido Ballata Macabra del 1976. Se tra i vostri incubi ricorrenti c’è la bambola che perseguita Karen Black in Trilogia del Terrore, è il signor Curtis che dovete ringraziare, perché quel film per la tv così importante lo ha diretto lui. L’apporto dato da Curtis al genere su piccolo schermo è una faccenda enorme. Si può affermare che sia stato lui a portare il gotico in tv e, insieme a un altro nome mica da poco, Richard Matheson, ci ha anche portato Carl Kolchak.
Tutto comincia intorno ai primi anni ’70, quando lo scrittore Jeff Rice non riesce a trovare nessun editore che gli pubblichi il suo romanzo, The Kolchak Papers. Il suo agente, allora, si rivolge alla ABC. Curtis fiuta l’affare, fa comprare all’emittente i diritti e chiama Matheson ad adattare il testo.
Il romanzo, insieme al suo seguito (questa volta una novelization di un’altra sceneggiatura di Matheson), sarebbe poi uscito nel 1974.
The Night Stalker divenne così un film per la tv, il cui successo fu tale da portare a una distribuzione cinematografica, un sequel e una serie televisiva basata sulle avventure del protagonista Kolchak.
Carl Kolchak è un reporter investigativo che lavora per un giornale di Las Vegas. Il suo capo gli assegna il caso dell’omicidio di una giovane donna, aggredita una notte mentre tornava a casa dal suo lavoro in un casinò. La ragazza è stata dissanguata e ha degli strani segni sul collo.
Kolchak, immediatamente ostacolato dalle autorità locali, desiderose solo di insabbiare il caso prima che cominci la stagione turistica, comincia a indagare, mentre l’assassino continua a mietere vittime.
Scoprirà che il colpevole è un vampiro, lo affronterà da solo e riuscirà a piantargli un paletto nel cuore.
Ma pagherà perdendo il lavoro e venendo cacciato da Las Vegas. Nessuno crederà alla sua storia, destinata a essere solo il delirio di un pazzo inciso su un registratore.
A dirigere il film venne chiamato John Llewellyn Moxey, un veterano delle produzioni televisive, mentre a interpretare il protagonista, con una scelta azzeccatissima, quella faccia da schiaffi di Darren McGavin.
Kolchak, cinico, un po’ cialtrone, ma animato da una certa forma di idealismo, oltre che dalla smania di scovare notizie sensazionali per vendere copie, è un personaggio destinato a rimanere a lungo nel cuore degli appassionati.
Con il suo inseparabile cappello di paglia, la passione per l’alcol e le donne, l’arroganza sbruffona con cui si rivolge al suo capo e a ogni figura di potere con cui entra in contatto, Kolchak è un eroe canaglia (e un perdente), figlio di tanti eroi e canaglie del noir e padre di tutta una serie di detective dell’occulto e indagatori dell’incubo, televisivi e non, che lo hanno imitato.
Un esempio a caso? Chris Carter ha sempre detto di essersi ispirato a lui per X-Files e l’eco di Kolchak si riesce a sentire anche in The Night Flyer (già il titolo è una citazione), dove il protagonista Reeves non è che una sua versione ancora più cinica e incarognita.
Al di là dei suoi evidenti meriti storici, The Night Stalker (passato anche in Italia col titolo Una storia allucinante), è un ottimo film, molto coraggioso per gli standard televisivi dell’epoca e ancora oggi in grado di suscitare qualche brivido, soprattutto nella parte finale, quella dove Kolchak penetra nella tana del mostro e lo sconfigge.
The Night Stalker ottenne le recensioni migliori di tutta la storia della ABC fino a quel momento. E i dati d’ascolto impazzirono.
E così, riconfermando sceneggiatore e parte del cast, si girò il seguito, questa volta diretto dallo stesso Curtis.
Da Las Vegas, ci si trasferisce a Seattle, dove il nostro reporter disoccupato incontra il suo vecchio capo, ora direttore di una testata locale. Kolchak viene riassunto e si ritrova a occuparsi di altri omicidi. I bersagli sono sempre giovani donne, ma le modalità dei delitti sono diverse: l’assassino è un individuo dalla forza prodigiosa che strangola e letteralmente sbricola il collo delle sue vittime e, dopo la morte, ne buca il cranio con un ago e ne aspira il sangue. Le tracce di carne putrefatta rinvenute sul collo dei cadaveri portano Kolchak sulla strada del soprannaturale. E ci risiamo.
Kolchak, proprio come nel primo film, indagherà ostacolato da polizia, sindaco ed editore del giornale, in perenne conflitto col suo direttore, che però sotto sotto fa il tifo per lui, e se la dovrà vedere da solo per sconfiggere il mostro. E, anche in questo caso, rimarrà senza lavoro e dovrà lasciare Seattle. Cambia solo la natura dell’essere misterioso: non più un vampiro, ma un alchimista del XIX secolo, reso immortale da un siero. Quindi un morto vivente.
Se l’effetto novità è andato perduto, c’è da dire che The Night Strangler, da un punto di vista tecnico e di scrittura, è anche più bello del suo predecessore. C’è molta più ironia, ma anche molto più gusto per il macabro e il morboso. Il personaggio di Kolchak, ormai collaudato, si lancia in esilaranti battibecchi col direttore del quotidiano e con il capo della polizia, facendo fare a tutti una pessima figura e riconfermando il suo ruolo di sconfitto con le palle, che lo aveva reso adorabile in The Night Stalker.
Il successo si ripete e Kolchak è pronto per diventare seriale.
E, proprio al momento della serializzazione, come quasi sempre accade, qualcosa non va per il verso giusto. Lo schema ripetitivo alla base degli episodi diventa stancante, i soldi a disposizione sono pochi, gli effetti molto spesso ridicoli, lo stesso personaggio diventa una macchietta di se stesso e Kolchak: The Night Stalker (per gli appassionati, Kolchak: Monster of the week) viene cancellato dai palinsesti dopo una sola stagione.
Ma le cose belle e importanti hanno una vita molto più lunga rispetto agli spietati ritmi imposti dalla tv e Kolchak, pur non avendo goduto il successo sperato, è diventato un’icona della storia del cinema horror. Il primo investigatore del soprannaturale televisivo e, a mio modestissimo parere, il più simpatico.
Nel suo essere così sfacciatamente antieroico, nel suo prendersi gioco dei potenti e nella sua capacità di uscire a testa alta e ancora più testardo di prima dalle sue sconfitte, Kolchak è un esempio da seguire, uno di quei personaggi che ti entrano nel cuore e non dimentichi più.
Non è un caso se ha generato una serie di adattamenti a fumetti e una serie remake, datata 2005, Night Stalker, dove Kolchak è interpretato da Stuart Townsend.
Sono anni poi che Johnny Depp sta cercando di produrre un remake per il cinema delle avventure di Kolchak. Le ultime notizie davano come regista Edgar Wright, ma poi anche questo progetto sembra essere caduto nel dimenticatoio.
A me piace ricordare Kolchak con la faccia segnata e l’atteggiamento un po’ fanciullesco di McGavin, mentre si aggira per l’America televisiva (e quindi ancora perbene e puritana) dei primi anni ’70 portando scompiglio, e attirando mostri come una grossa calamita. Assetato di bourbon e sempre con in testa quel ridicolo cappello di paglia.
In effetti, Dan Curtis è stato un po’ messo in ombra da Matheson – e per altri versi, da Rod Serling, per quel che riguarda l’orrore televisivo.
Buona idea cercare di rimetterlo in prospettiva.
Kolchack rimane uno dei capisaldi della mia gioventù spesa male – visto malissimo su una rete improbabile in una notte d’estate, ma memorabile.
Darren McGavin era perfetto proprio perché improbabile come eroe – e l’idea di vederlo rifatto da Johnny Depp mi riempie di orrore.
Specie visto lo scempio di Dark Shadows.
E di Dark Shadows sarebbe bello parlare perché, non dimentichiamocene, era una soap opera!
La Soap opera più allucinata della storia della tv.
Nella cosa migliore mai scritta da King, Danse Macabre, c’è tutto un capitolo dedicato a Dark Shadow. E a Kolchak.
Io lo scoprii proprio in quel saggio, insieme a fantastilioni di cose bellissime.
E Curtis era un geniaccio. Anche lui un po’ cialtrone. Ma io adoro i cialtroni.
Se non altro era un cialtrone per bene 😉
Beh a suo tempo ho parlato molto di Dark Shadow versione Curtis sul mio blog, quindi se pensate ad una serie di post contate pure su di me.
Ma sai che non conoscevo proprio né la serie, né i film? Appena arrivo a casa rileggo bene il post e mi documento, grazie Lucy che tiri sempre fuori queste perle mai banali!! 😀
Perché è talmente vecchia e sconosciuta, soprattutto qui da noi, che se la ricordano in pochissimi.
Io ne ho scoperto l’esistenza anni fa, leggendo Danse Macabre, del nostro King 😉
Io adoro kolchak sia i film sia la serie televisiva che pur con i suoi difetti ha alcuni episodi memorabili(tipo The Zombie e Horror in the Heights). Curtis meriterebbe una riscoperta in toto di tutta la sua produzione.
Vero, anche la serie aveva i suoi bei momenti, ma si sente la mancanza di Curtis, estromesso dalla produzione.
E sì, il buon Dan andrebbe rispolverato e analizzato in modo approfodinto 🙂
“Con le dovute eccezioni, certo. C’erano The Twilight Zone e The Outer Limits, anche se entrambe appartenevano ufficialmente alla più nobile fantascienza”
Assolutamente no. Alcuni episodi del primo (due su tutti ‘Little Girl Lost/La bambina perduta’ ed il fantastico ‘The Thirty-Fathom Grave Un’eco in fondo al mare’) sono decisamente horror, fermo restando i limiti che caratterizzavano l’epoca di uscita, mentre il secondo è decisamente un ottimo contenitore di storie ‘Gotiche? che in italia non è mai arrivato…
Pace profonda nell’onda che corre
Le ho inserite entrambi tra le “dovute eccezioni” e ho scritto che la loro appartenenza “ufficiale” era la fantascienza.
Certe volte mi chiedo se non sono abbastanza chiara.
Bel post e bei ricordi, Lucia… Due ottimi film con una serie a seguire non sempre all’altezza (pur se i buoni momenti ci sono), ed è un peccato visto che il personaggio aveva ancora parecchio potenziale da esprimere. Perché Darren McGavin era un Kolchak perfetto (sconfitto con le palle, hai ragione, capace di andare dove tanti cosiddetti vincenti se la farebbero fatta sotto) e sì, X-Files ha decisamente più di un debito con lui, tanto che Carter pensò di ripagarlo direttamente invitando McGavin a far parte di un episodio della serie, quello del terribile simbionte uomo-aracnide.
Quanto a Dan Curtis, l’unico vero Barnabas Collins è il suo ovviamente, NON la parodia (eufemismo per trattenere l’incazzatura) che ne ha fatto – purtroppo – Burton: l’unica eccezione che mi sento di fare è nei confronti della sfortunata – ma non malriuscita, visto che ne era ancora responsabile Curtis – singola serie del ’91 con Ben Cross nei panni del vampiro.
P.S. A proposito di Rod Serling, ti consiglio di recuperare se non l’hai già fatto un’altra sua produzione televisiva successiva a The Twilight Zone, e cioè quel gioiello di serie che fu Night Gallery (ancora inedita nel nostro paese, e dopo tutto questo tempo credo che mai nemmeno ci arriverà in dvd)…
Eh… Night Gallery è una specie di leggenda per me, che non l’ho mai vista. Però adesso non ho più scuse… mi tocca recuperarla! 😉
Non te ne pentirai, credimi sulla parola (ci troverai chicche lovecraftiane e altre belle cosette)! 😉