Regia – Tony Scott (2004)
Vi sarete accorti che su questo blog si parla sempre meno di horror in senso stretto. Non è perché non mi piaccia più il genere, ma solo perché mi sto facendo prendere da altre suggestioni. Parlare dell’esordio di Tony Scott, appena un paio di giorni fa, mi ha fatto venire voglia di rivedere il mio film preferito di questo regista sempre troppo sottovalutato. E così ho preso il mio bel dvd, l’ho inserito nel lettore e mi sono preparata a soffrire, piangere, esaltarmi e fare il tifo per 146 minuti. Era inevitabile che avessi poi il desiderio di scriverci due righe sopra. Spero che nessuno se ne abbia a male se questo blog sta diventando un pochino meno settoriale rispetto agli esordi.
Diciotto. Questo è un numero che vi conviene tenere a mente, sempre che vi vada di proseguire nella lettura. Diciotto furono infatti le macchine da presa (in 35 e 16 mm) utilizzate contemporaneamente da Scott per girare alcune scene (le più concitate) di Man on Fire. Adesso, io magari non capisco niente e parlo per sentito dire, ma credo che ci voglia un certo controllo della situazione per gestire 18 macchine nello stesso momento. E ci vuole un certo coraggio incosciente per dire: ma sì, usiamone 18 che ci divertiamo di più.
Quando Tony Scott cercava di essere sobrio, uscivano fuori filmetti mosci mosci come The Fan. Quando andava a briglia sciolta, splendidi, meravigliosi errori (ma pur sempre errori) come Domino. Se riusciva a trovare il giusto equilibrio, ti regalava un colosso come Man on Fire.
Dovete sapere che Scott aveva in mente di trarre un film da romanzo di Quinnel addirittura nel 1983, subito dopo The Hunger. Purtroppo, i produttori non vollero rischiare di affidargli la regia, dopo il mezzo fiasco del suo esordio. E così si arriva al Man on Fire del 1987, quello con Scott Glenn nel ruolo di Creasy. Nel frattempo, Tony diventa uno dei più accreditati professionisti hollywoodiani, colleziona successi al botteghino come fossero noccioline, incontra Denzel Washington sul set di Allarme Rosso (altro filmone), dirige, nel 1998 Nemico Pubblico che (direte voi) non ci azzecca un cazzo e invece sì, ma ve lo spiego dopo, e finalmente ritorna al film che avrebbe voluto fare nei primi anni ’80.
Nel frattempo, è cambiato il cinema, sono cambiati i mezzi espressivi, le tecniche, il linguaggio. Ed è cambiato lo stesso Tony. O meglio, Tony fu uno dei motori del cambiamento. Quando si parla di registi che hanno lasciato il segno della storia, Tony Scott raramente viene nominato, soprattutto da certi cvitici. Che sbaglino, è cosa così evidente che neanche andrebbe sottolineata. Solo che qui ci piace essere pedanti e allora mettiamo subito in chiaro un po’ di dati oggettivi:
1) Non è stato Tony Scott a copiare dal videoclip. Il videoclip ha copiato da lui.
2) Scott fu tra i primi a rendersi conto di come la manipolazione visiva in post produzione potesse essere applicata con successo al cinema. Il che ci riporta a Nemico Pubblico e a come quel film ha contribuito a settare un nuovo linguaggio cinematografico che è poi diventato standard, sia nei prodotti più commerciali che in quelli con ambizioni d’autore.
3) La differenza, sostanziale, che passa tra un Tony Scott e il suo squallido epigono Michael Bay è che Scott le sue inquadrature e il suo montaggio subliminale li studiava e sapeva dosarli solo in determinati momenti, quando erano necessari (ok, sì, non sempre, non in ogni film). Bay la butta in caciara e non sa tenere un’inquadratura per più di 2 secondi. In movimento, come se non bastasse.
Cosa ha a che vedere il tutto con Man on Fire? Semplice: Man on Fire è la sintesi perfetta del modo di fare cinema di Tony Scott al suo meglio. In Man on Fire c’è tutta la creatività furiosa, estrema, a volte ridondante, di Tony. Però disciplinata, al servizio della storia. Come se Scott fosse stato in grado di incanalare la sua potenza (che era quella di un jet lanciato in rotta di collisione contro una nave spaziale) in uno schema solido e ben strutturato.
La storia di Creasy, disilluso, alcolizzato, perennemente incazzato, e della sua amicizia con Pita, occupa quasi metà film. Un’ora e più in cui nessuno si mena, non esplode niente, non ci sono botti e la gente non si spara in faccia. Al contrario, Scott si prende tutto il tempo che gli serve per definire il rapporto tra i due personaggi e (qualcuno si sarà stupito, ma non io) lo fa con una tenerezza e una delicatezza realmente commoventi. Vedere questo gigante che spiega a Pita il significato di concubina e si lascia sfuggire un sorriso appena accennato, ogni volta mi strappa via un pezzo di cuore. E’ recitazione immensa (sia da parte di Denzel che della Fanning), regia controllata (perché Scott sapeva quando era il caso di tenere quella fottuta macchina da presa fissa) e i soliti giochi di luci, ombre e finestroni giganti a cui Tony ci ha abituati.
Per non parlare degli allenamenti per la gara di nuoto, e della gara stessa: in nessun momento Man on Fire cede al patetismo o alla facile retorica. Scott si concentra sui dettagli, sugli sguardi, sui piccoli gesti che fanno sì che il nostro Creasy riprenda gradualmente a vivere .
Dalla sequenza del rapimento in poi (dove le macchine da presa non sembrano 18, ma 478), si scatenano le due belve: Denzel, che nella sua furia devastatrice si occupa di “organizzare l’incontro” tra i rapitori e Dio, e Scott che finalmente può lanciarsi in questo circo di vendetta, morte, distruzione e torture. E si sa, certe cose Scott le girava in tutta scioltezza bevendo una tazza di té e aggiustandosi il cappellino da baseball mentre parlava al telefono. A occhi chiusi, insomma.
Ma, nel caso di Man on Fire, c’è il valore aggiunto di una storia in cui Scott sembra credere davvero e in cui inserire anima e passione. Una vicenda epica, di un uomo da solo contro il mondo intero, che ci porta dritti a uno dei finali più strazianti mai visti sullo schermo. E, porca di quella miseria, quel campo lunghissimo del ponte, con quei colori così saturi, così violenti che sembrano uscire dallo schermo e strangolarti, sotto quel cielo livido. Io non ce la faccio. Io piango tutte le mie lacrime.
Per il resto, abbiamo la solita galleria di attori mostruosi in ruoli minori:da Christopher Walken, a Mikey Rourke a Giancarlo Giannini, passando per una Radha Mitchell (“lo ammazzi, lo ammazzi o lo faccio io”) che dovete aiutarmi voi a dire quanto è bella perché io ho esaurito gli aggettivi.
Denzel che cammina con un’esplosione alle spalle, che tagliuzza le dita di uno dei rapitori con questa canzone in sottofondo, che fa saltar cose per aria sparando con un bazooka dalla finestra mentre due vecchietti discutono sul valore del perdono. Il tutto montato a un ritmo che ti fa sentire elettrico come se avessi messo le dita in una presa di corrente.
Ecco, Tony Scott era così. Discontinuo, a tratti (forse) superficiale, troppo spesso autore di cose brutte su commissione, ma gigantesco quando ci metteva del suo. Nel bene e nel male.
L’ho già detto quanto mi manca?
Musica
ce l’ho in dvd piace a mio padre ,io lo trovo orribile,anzi di più.
Peraltro come avrai scritto anche te questo è una sorta di remake di un altro film del menga:Pericolo in agguato.Solo che la bimba veniva sequestrata in italia,non rammento se dalla mafia o dalle br,c’era scott glenn come protagonista.
Comunque ti sto parlando dall’oltretomba dove mi hai spedito,in questi giorni sei proprio sadica contro di me! A quando un articolo pro soldato jane o 8 mile,così finisci il lavoro.
ciao!
ps:però sei bravissima a cogliere elementi che io non ho visto . Anzi,stuzzichi in me un lato ben evidente:a me piacciono moltissimo le storie dove un outsider fa a pezzi i cattivi e mette in gioco la sua vita per difendere una innocente,praticamente scrivo solo quello….e vedo solo quello.oh madonna Rhada Mitchell…stupenda….Cazzo Lucia,mi stai quasi convincendo…MMMM…mi sa ch devo rivederlo con mio padre che si gasa perchè taglia le dita al tizio e uè varda ma l’è fort ul denzel eh! ( non so se usa casa tua,ma noi li chiamiamo per nome,son tutti amici di casa viganò)
E invece secondo me se lo rivedi ti intenerisci per la bambina e fai il tifo per Denzel
mi sa , mi sa,all’epoca mi dava fastidio e mi infastidisce ancora oggi che fosse un torturatore della cia,il ritratto dei messicani e lo spirito di grana grossa reazionaria,ma effettivamente….dai una seconda visione la merita e come feci con Harlin e il suo deep blue,se mi dovesse invece piacere faccio autocritica immediatamente..vediamo….
Ooooooooooooooooooh… ❤
Piace anche a te, ammmore?
Massì, l’ho apprezzato, ma preferisco il tuo commento… 🙂
Mai visto questo… 🙂
Vedilo Max!!! Non te ne pentirai ❤
Lo farò 😉
Lucia vado decisamente fuori tema,ma mi piacerebbe sapere cosa pensi ,(se l’hai visto) del film L’Odio esplode a dallas di Corman,a me ha colpito duramente.Veramente un grande film durissimo e cattivo.Poi il capitano Kirk in versione bastardo senza etica è stata una rivelazione
http://lospettatoreindisciplinato.blogspot.it/2013/01/lodio-esplode-dallas-di-roger-corman.html
Ma lo sai che non l’ho mai visto ? Eppure gli elementi per piacermi li ha eccome ! (Mi sa che devo organizzarmi per recuperare i film persi…)
Io ti propongo una maratona Tony Scott 😉
non è il mio preferito del buon tony, ma è indubbiamente un gran film. anche se, insomma diciamolo, che una volta che ha piazzato 18 macchine da presa arrivare a 20 e fare cifra tonda non gli sarebbe costato niente. però vabbè!
comunque, non te la prendere a male, ma debbo bacchettarti su The Fan… non puoi definirlo moscio moscio orsù, mi fai del male se lo appelli così.
Infatti, porca miseria Tony, metti un altro punto di vista che 18 non bastano 😀
Devo dirti che The Fan è l’unico film di Tony Scott che non riesco a farmi piacere.
Ma lo recupero. Solo per la scena dell’omicidio negli spogliatoi è comunque superiore a molta altra roba squallida che si vede in giro.
Beh, vedere confrontarsi Snipes e De Niro non aveva lasciato indifferente nemmeno me (in generale, sapeva scegliere le facce giuste)…purtroppo, ripeto, Tony non ha mai avuto molte possibilità di poter dimostrare quanto altro ci fosse oltre alla perizia tecnica (e Bay a confronto è solo rumore molesto, volendo esser mooolto cortesi) 😦
Un piccolo insegnamento da un vecchio cinematografaro: girare con più macchine è sempre una cosa complicata e costosa. A parte il noleggio, devi considerare che dietro ogni macchina in più ci deve essere un operatore di macchina e minimo un assistente. Poi ci vogliono più aiuti per caricare e scaricare gli chassi. La complicazione maggiore sta nel pericolo che le macchine si inquadrino l’una con l’altra e più sono e più aumenta il rischio. E poi c’è il problema della luce che deve essere buona per tutte. Diciotto sono davvero tante. Però si hanno dei grandi vantaggi: una volta impostata l’inquadratura facendo prima di girare delle prove. salvo intoppi, tutto fila liscio e si porta a casa un girato che al montaggio è prezioso perchè, è ovvio,si ha tanto materiale e tanta possibilità di scelta. E, alla fine si risparmia tanto denaro perchè per fare le stesse cose con una macchina, ci vogliono molti più giorni di riprese. Nei film d’azione direi che è inevitabile usarne spesso più di due. In italia poi se ne usiamo fai conto 3,moltiplica per 5 e avrai approssimativamente il numero delle macchine( e dei giorni) che per una scena simile userebbero gli americani. Ho usato parecchie volte 3/ 4 macchine ma il massimo sono state otto per una settimana intera. Complicato si, ma mi sono divertito da matti. Perchè, ricordiamolo sempre, è sempre meglio che andare a lavorare. baci. papà
Come ho scritto ieri, il miglior film della fase finale di carriera di Tony Scott, seppur non di certo un film che ti colpisce “in punta di fioretto”, ma solo di clava- Anche l’originale di Elie Chouraqui (del quale questo è il remake) girato nel 1987 a Milano con Scott Glenn e Brooke Adams, era bello.
Altro che “film del menga”, viga1976, e non erano le BR, quello è “Il Giustiziere”(The Human Factor)(’75) di Edward Dmytryk, con George Kennedey e Raf Vallone.
infatti lo devo rivedere,poi magari diventa super del menga ,che è un modo simpatico milanese per dire che non ci piace non è offensivo,oppure cambio idea e faccio autocritica con un post sul mio blog.
Si,è vero mi è venuto in mente dopo.Comunque film offensivo nei nostri confronti,gli americani hanno sto vizio del menga e del kazoo di fare opere ambientate all’estero dove son tutti coglioni e farabutti mentre loro poveri cristi son così buoni,anche quando fanno a pezzi le persone.Ho preferito però Glenn,mi è sembrato più febbrile,carismatico,del nigger of the house come diceva Malcolm X, Denzel.
In ogni caso lo rivedrò,perchè comunque questo post mi ha dato un punto di lettura nuovo.
Manca una menzione alla bella colonna sonora di Harry Gregson- Williams.
tutto fantastico, apparte le camicie di Creasy
Commento molto bello, mi complimento! 😀 Devo però dire di non amare molto questo film per un motivo preciso: Denzel, lui è la mia criptonite, attore che mi piace poco o niente 🙂 Ma hai deciso di aprire definitivamente a tutti i generi? 🙂
Oh…io Denzel lo amo moltissimo di un amore profondo e del tutto privo di obiettività 😀
Diciamo che ho deciso di non fossilizzarmi. Manterrò sempre un occhio di riguardo nei confronti dell’horror, ma se mi capita un film non di genere di cui sento la necessità di parlare, non me ne farò un problema 😉