Pillole, una valanga di Pillole

Oggi ho deciso di sommergervi, perdonatemi, ma ho accumulato roba nel corso di un’estate intera e, in un modo o nell’altro, dovevo prima o poi infliggerla a voi, così gentili e premurosi da starmi appresso.
Come potete evincere dal francobollo appiccicato in testa all’articolo, siamo qui riuniti per la bellezza di sei film (e ho dovuto pure fare una scrematura. Magari in coda ve ne aggiungo un paio), quindi sistematevi comodi, mangiatevi un dolcetto, bevetevi una spremuta, perché la cosa andrà per le lunghe.
Al solito, ce n’è per tutti i gusti, dall’home invasion all’animal attack, passando per lupi, rapimenti alieni, case infestate e atroci punizioni equamente distribuite tra chi, poveraccio, è afflitto da sfiga cosmica e chi se l’è proprio andata a cercare.
Apriamo le danze.

Push è l’ultima fatica di David Charbonier e Justin Powell, il duo che ci ha regalato i bellissimi The Djinn e The Boy Behind the Door. Aspettavo con una certa trepidazione il loro nuovo film e mi sono precipitata a vederlo il giorno stesso della sua uscita su Shudder, nonostante lo avessero accolto delle recensioni molto tiepide.
Purtroppo, devo ammettere che comprendo, anche se solo in parte, perché Push non sia piaciuto, ed è sicuramente un passo indietro al cospetto delle opere precedenti; ciò non significa che sia brutto.
È la storia di una giovane donna, Natalie, incinta all’ottavo mese e col padre del nascituro morto da poco in un incidente, che si ritrova perseguitata in una open house enorme e deserta da un tizio deciso a farle la pelle per motivi imperscrutabili. 
Il film è un diabolico e tesissimo thriller che è molto coerente con la reputazione dei due registi: c’è una protagonista in pericolo e in posizione di enorme inferiorità fisica, sia perché l’energumeno che la perseguita è sei volte lei, sia perché non è semplice scappare e nascondersi con un ingombrante pancione; si svolge tutto (o quasi, ma ci torniamo) tra quattro mura che diventano un vero e proprio campo di battaglia; fa diventare claustrofobico anche chi non ha il minimo problema con gli spazi stretti e vi sbloccherà anche un’inedita paura degli ascensori. 
Push va avanti come un treno per circa tre quarti della sua durata, poi prende una decisione che ho avuto molta difficoltà a capire e, a mio parere, si inceppa. Se fosse rimasto contenuto nella dimensione da home invasion, forse non avrebbe raggiunto i 90 minuti (che raggiunge a stento anche così), ma sarebbe stato più efficace. Guardatelo in ogni caso, perché magari invece voi gradite dove il film va a parare. 
Per chi cerca una versione soft di A’L’interieur. 

Restiamo sempre in ambito home invasion, ma alziamo il volume della follia di dieci tacche e andiamo a conoscere uno strambo aggeggio di nome Crumb Catcher: è il titolo dell’esordio dietro la macchina da presa di un collaboratore di vecchia data di Larry Fessenden, che infatti figura tra i produttori di questo bizzarro e terribilmente angosciante film. Fatemi il favore di non dare retta a chi lo definisce una commedia nera, perché non c’è mai niente da ridere. Grazie.
Il film ha una trama abbastanza ingarbugliata, quindi cerco di sintetizzarlo al massimo delle mie capacità: tizio sconosciuto si presenta alla porta di due sposini con una scusa, mettendoli terribilmente a disagio e obbligandoli ad assistere alla presentazione di un oggetto da lui inventato, l’inutile e idiota raccoglitore di briciole del titolo, con l’obiettivo di convincerli a diventare suoi soci e finanziare la produzione a livello industriale dell’improbabile aggeggio. Con le buone o con le cattive. 
Sarebbe molto più complicato di così, perché la coppia di sposi novelli è composta da due individui che stanno insieme per motivi estranei a qualsiasi forma di sentimento: non solo non si amano, ma non si piacciono neanche e, sotto sotto, si disprezzano l’uno con l’altra. Il povero disgraziato si piazza a casa loro (che neanche è tecnicamente loro) convinto che i due siano molto ricchi, quando non lo sono affatto. 
È tutto squallido, patetico, di una tristezza lancinante, ma neppure ti dà il permesso di impietosirti più di tanto per i personaggi, siano essi protagonisti o antagonisti. Dei due piccioncini abbiamo già detto, ma anche il nostro inventore è una creatura spregevole, per quanto mossa dalla disperazione. 
Crumb Catcher è una ferocissima satira dell’ormai avvizzito sogno americano, qui messo in scena nella sua versione più miserabile, ottimamente rappresentata dal raccoglitore di briciole. 
Per quelli che si sono fatti da soli. 

Passiamo all’angolo del found footage con un film scritto, prodotto, diretto e interpretato dalla più grande star del Tik Tok canadese, ovvero Kris Collins, della quale ignoravo l’esistenza fino all’altro ieri. Ad accompagnarla nel salto dai social media al cinema, c’è un’altra influencer, Celine Myers. Entrambe interpretano loro stesse, o meglio, delle controparti poco lusinghiere di loro stesse. Almeno spero, perché se sono davvero come appaiono nel film, l’unica soluzione è mandarle a spurgare i tombini di Roma dopo un diluvio. A mani nude.
In House on Eden, Kris e Celina hanno un canale dedicato al paranormale. Se ne vanno in giro per cimiteri, case infestate e postacci simili, riprendono tutto e conducono delle indagini per stabilire la veridicità della reputazione del luogo.
Insieme a loro c’è l’unica persona seria che vedrete per ottanta minuti, ovvero il cameraman Jay, ridotto però al silenzio e in schiavitù da queste due megere. 
Per la gioia di tutti e la sorpresa di nessuno, i nostri eroici investigatori dell’occulto vanno a inciampare in una casa che è infestata davvero, facendo una prevedibile, atroce, meritatissima (tranne te, Jay, mi dispiace) fine. 
Ironia sui personaggi a parte, mi piace molto che le due protagoniste abbiano deciso di raccontarsi sotto una luce così impietosa, che fa uscire fuori tutta la sgradevolezza del mondo cui appartengono. Quando viene dall’interno, la riflessione è sempre molto più consapevole e calzante che da una posizione esterna, spesso basata anche sul pregiudizio. 
Ciò che non mi è chiaro è se la scelta di mettersi in scena come una despota piena di sé e priva di rispetto per i suoi collaboratori (Kris), e come una povera imbecille col quoziente intellettivo di un criceto (Celine) voglia essere una qualche forma di autocritica o semplicemente lo standard del personaggio cui tifare contro in un film dell’orrore. Credo che non lo sapremo mai, ma resta lo stesso interessante e brutalmente onesto. 
House on Eden è un lavoro grezzo e quasi amatoriale, ma realizzato con passione e anche con una discreta conoscenza del genere. Se riuscite a superare i primi venti minuti senza tirare una scarpa contro lo schermo, ci saranno brividi garantiti. 
Per cuocere a puntino il vostro odio. 

E ora passiamo ai lupi, che sono sempre dei teneri cuccioli da adottare, anche quando proprio lupi non sono, ma si ergono a simboli. Di cosa? Vi chiederete voi. Per saperlo, anche se resterà oggetto di dibattito, dovrete vedere Alma and the Wolf, un film spensierato e leggero come un sacco di mattoni che vi cade sulla testa.
Abbiamo uno straordinario Ethan Embry nel ruolo di Ren, il vicesceriffo del solito buco di culo in provincia di Bifolcolandia, situato stavolta dalle parti dell’Oregon.
Una mattina come tante, Ren riceve una chiamata per un possibile attacco da parte di animale selvatico. Quando arriva sul posto, trova Alma, una sua vecchia fiamma delle superiori, coperta di sangue e con il cadavere di un cane tra le braccia. La donna dichiara di essere stata attaccata da un lupo e di essersi salvata, mentre il suo povero cagnolino non ha avuto la stessa fortuna. Chiede a Ren di uccidere il lupo per lei.
E qui parte il delirio.
Prima di sedervi e impiegare un’ora e mezza della vostra vita a vedere questo film, è giusto che sappiate che si tratta di un film molto disonesto. Parte come una commedia nera sulla falsariga di The Wolf of Snow Hollow, poi diventa una specie di folk horror con lupi che camminano a due zampe circondati da una corte di caproni inferociti, per poi chiudere nella migliore tradizione del colpo di scena piazzato a cazzo. 
Ha questo bestiario fantastico e affascinante, questo ritratto di provincia, al contrario, fortemente ancorato al reale, e le due componenti vanno a braccetto alla perfezione, sembrano fatte per stare insieme. 
Sta solo a voi decidere se sarete disposti ad accettare quella che è, a tutti gli effetti, una truffa narrativa per il gusto di, o se vi farà rigettare in blocco l’intero film. Io l’ho accettato perché, alla fine, è tutto molto bello, ben girato, ben recitato, molto drammatico e pure cattivissimo. Ma che sia una turlupinatura che non sta in piedi neanche se la puntelli coi piloni di cemento, è un dato di fatto.
Vedete voi. 
Perché i lupacchiotti son sempre i lupacchiotti. 

Passiamo ora a una nuova puntata della serie “Justin Benson e Aaron Moorhead hanno deciso di mandarci al manicomio”.
Ormai i due ragazzi del mio cuore sono ostaggi della Marvel, che li ha incatenati a Daredevil e non è chiaro quando si deciderà a lasciarli andare. Niente nuovi film all’orizzonte diretti da loro, ma ciò non impedisce al dynamic duo di produrre i lavori dei loro protetti. Nel 2024 hanno fatto uscire lo splendido Things Will Be Different e, qualche settimana fa, la quinta pillola di oggi, ovvero Descendent, diretto da Peter Cilella, un attore apparso parecchie volte nei film dei nostri eroi, e non solo.
Descendent propone un approccio interessante e diverso al classico racconto di rapimenti alieni: è infatti la storia di Sean (Ross Marquand), una guardia giurata con un paio di problemi economici, un passato traumatico alle spalle e una compagna (la scream queen di comprovata dedizione Sarah Bolger) incinta, che una sera sale sul tetto di casa per riparare una lampada, viene distratto da strani “bagliori nel buio” e cade, battendo la testa.
Quando riprende conoscenza, si ritrova legato a un lettino mentre delle buffe creaturine lo analizzano e lo sezionano. Dura un attimo ed è in ospedale. È stato un sogno? Un’allucinazione? Oppure gli alieni lo hanno rapito per davvero e adesso stanno giocherellando a palla col suo cervello?
Perché il povero Sean, da quel momento in poi, fa sempre più fatica a distinguere realtà e illusione, diventa paranoico, si sente perseguitato, perde il lavoro, diventa aggressivo e finisce a tanto così dal giocarsi anche la relazione con la sua compagna.
Descendent potrebbe essere letto come una gigantesca metafora sul non sentirsi pronto a diventare genitore, considerando anche il fatto che Sean ha una problematica eredità paterna. L’angoscia derivata da un profondo senso di inadeguatezza, inculcato sin dalla più tenera età, deflagra in una serie di visioni sempre più inquietanti e in comportamenti sempre più erratici. 
Anche qui non gira tutto alla perfezione, il film ha un ritmo zoppicante, a volte è ripetitivo e ha un finale un po’ tronco che non chiude neanche una delle decine di porte aperte nei minuti precedenti. 
A parte questo, resta un ennesimo tassello della costruzione di un universo weird e minimalista che Benson e Moorhead hanno cominciato nel lontano 2012. In qualunque veste o ruolo, io li seguirò sempre.
Per i fissati dei piccoli lavoretti casalinghi. 

Chiudiamo, come sempre, con il meglio, e devo ammettere di essere molto stupita a decretare Bambi: The Reckoning il film migliore del gruppo, ma che volete farci, questo meraviglioso calderone chiamato cinema horror riserva sempre delle sorprese.
È la prima volta che qui si parla del Twisted Childood Universe, perché è vero che mi piacciono i filmacci, ma persino io ho dei limiti. Confesso di essermi moderatamente divertita a vedere il secondo capitolo di Winnie the Pooh, se non altro in virtù della carneficina che mette in scena, ma non abbastanza da sprecarci due righe in questo spazio. Con Bambi, la situazione è molto diversa.
Innanzitutto, è un eco-horror in piena regola: dopo che i cacciatori hanno ucciso la sua mamma, Bambi cresce da solo fino a quando non incontra una cerva e, insieme a lei, mette su famiglia. Solo che l’umanità ha dei piani diversi per lui: una camionetta che trasporta rifiuti tossici da smaltire nel bosco, investe e uccide la sua compagna, mettendo in fuga il cerbiatto. Rimasto di nuovo solo, e giustamente un filino incazzato, Bambi si abbevera ai liquami contaminati e, come in The Toxic Avenger, diventa un cervo mutante e carnivoro deciso a ottenere vendetta.
Se non trovate bellissima l’idea di Bambi che se ne va in giro a mangiare la gente, non possiamo essere amici, io vi ho avvertito.
Il TCU è un’operazione a basso budget, nata per sfruttare il decadimento dei diritti di alcuni personaggi molto famosi; è una serie di film pensata e realizzata da cialtroni della peggior risma, e questo va accettato e anche, per certi versi, applaudito.
Con Bambi si sono davvero impegnati e il film è tutto ciò che Death of a Unicorn poteva essere e non è stato, con un quinto dei soldi a disposizione, aggiungerei.
C’è persino spazio per una piccola apparizione di Tamburino e credo sia impossibile non farsi scappare qualche lacrima nella sequenza finale. È violento, spietato con gli umani e molto tenero nei confronti degli animali. Bambi è realizzato bene (a tratti, dai), ha un gran bel design ed è feroce e spaventoso. 
A questo punto comincio a aspettare con curiosità il Pinocchio con Robert Englund e Richard Brake. 
Per quelli delle infanzie rovinate. 

Prima di salutarci, ci sono altri due titoli che voglio menzionare proprio al volo: il primo è Monster Island, omaggio sentito, anche se miserabile a Il Mostro della Laguna Nera, ma ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale; il secondo è Sweet Revenge, un cortometraggio di 15 minuti che segna la prima apparizione ufficiale di Jason su schermo dal 2009. Non è un granché, nel senso che per essere il ritorno di un’icona horror dopo sedici anni, si potevano impegnare un po’ di più, ma Jason è sempre Jason e rivederlo fa un certo effetto. Lo trovate su Youtube, basta cliccare sul titolo. 
E con questo, abbiamo davvero terminato. Spero di avervi lasciato con qualche spunto interessante per il fine settimana. Alla prossima!

8 commenti

  1. Avatar di Giuseppe

    Qualche spunto interessante per IL fine settimana, dici? Così, a occhio e croce, di spunti interessanti ce ne hai lasciati per almeno tre o quattro fine settimana di fila (Bambi mutante e carnivoro incluso) 😉

    1. Avatar di Lucia

      Bambi mutante e carnivoro è il miglior spunto possibile!

  2. Avatar di Blissard

    Quante pills for thrills! Halleluja!
    Ho visto Push e House on Eden, entrambi carucci.
    Non sono un esperto, ma trovi anche tu che Push sia male illuminato in vari frangenti?
    Per il secondo invece ho un dubbio, che perà implica uno
    SPOILER
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    (Ma può essere che Kris abbia scelto la casa, all’insaputa dei due sodali, perchè già sapeva cosa la aspettava?)
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    FINE SPOILER

    1. Avatar di Lucia

      Ma lo sai che ci ho pensato anche io a questa cosa? Che sia stata tutta una sua macchinazione? Sarebbe molto coerente col personaggio

    2. Avatar di Lucia

      Ah, scusa, premuto invio troppo presto: sì, anche secondo me in alcune scene, soprattutto la parte all’esterno della casa, verso la fine, c’è una brutta illuminazione.

  3. Avatar di L

    Ho visto Descendents, gli altri li recupererò presto. E boh, gli abduction movie mi piacciono, ma mi annoiano i film in cui “il protagonista non distingue più la realtà dalle allucinazioni”, e la sceneggiatura si ferma dopo i primi 10 minuti di film, dimenticandosi di darti quel minimo stimolo in più per arrivare soddisfatto alla fine del film. E poi si, il finale è troppo inconcludente. Per cui l’ho apprezzato ma per metà. Per quanto riguarda bambi, ci provo, ma non so se riesco.

    1. Avatar di L

      Ho scritto “film” una decina di volte di troppo. Non farci caso.

    2. Avatar di Lucia

      Sì, ma io vi ho avvisati che era un abduction movie molto atipico e in realtà parlava di un tizio che non distingue più realtà da allucinazioni. È quello il fulcro del film, la abduction è più che altro una scusa per far vedere come sbrocca il protagonistia.

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