
Regia – Marcus Dunstan (2022)
Sì, lo so da me che ci sono in giro tantissimi film belli e soprattutto importanti da vedere e analizzare, solo che io in questi giorni non riesco a vedere nulla di più impegnativo di una zombie comedy adolescenziale. Di conseguenza, temo che Cronenberg e Garland dovranno attendere un altro po’, mentre ora vi beccate Dunstan con la Blumhouse, perché non si può sempre essere seri. Detto ciò, forse non sapete bene chi sia Marcus Dunstan, perché non è che abbia donato all’umanità chissà quali opere d’arte irrinunciabili. Eppure, insieme al suo sceneggiatore di fiducia Patrick Melton, è responsabile di un bel pezzo di storia più o meno recente del nostro genere cinematografico preferito. Cominciano a lavorare nel 2005, quando la loro sceneggiatura vince il Project Greenlight e diventa Feast. Non so se ve lo ricordate Feast. Ve lo ricorderete a breve su questi stessi schermi.
A quel punto, i due passano al timone della saga colpevole di aver definito un’epoca, ovvero Saw. I capitoli dal quarto al settimo portano tutti la loro firma.
Però attenzione, perché i due si riscattano dello scempio quando, nel 2009, Dunstan può esordire alla regia ed esce fuori The Collector, molto piaciuto da queste parti; ancora meglio il suo seguito del 2012, ovvero The Collection. Stiamo aspettando con trepidazione l’arrivo di un terzo capitolo, annunciato da anni, ma mai concretizzato; nel mentre, il solito Jason Blum assolda il duo per una delle sue tipiche produzioni a basso costo destinate al mercato dello streaming. Unhuman è un teen horror con gli zombie molto fresco, divertente e senza pretese, ovvero proprio ciò di cui avevo bisogno in queste giornate in cui la sola idea di sedermi a guardare una roba un minimo pesante mi suscita repulsione fisica.
Racconta di un gruppetto di liceali in gita scolastica alle prese con quella che ha tutto l’aspetto della classica apocalisse a base di morti viventi ciondolanti. Il pulmino su cui viaggiano i nostri eroi si va a schiantare contro qualcosa di non meglio specificato, che però lascia una bella macchia di sangue sul parabrezza. Il veicolo esce fuori strada, gli zombie attaccano. I superstiti si rifugiano in un edificio diroccato e cercano di sopravvivere. Succederanno cose e ci sarà un colpo di scena che forse sta in piedi con gli stuzzicadenti, ma almeno rappresenta una minima variazione su un tema stantio.
Unhuman ha un bel cast di giovani attori, tra i quali spicca Brianne Tju, già vista di recente nella serie di So Cosa Hai Fatto. Io vi consiglio di tenerla d’occhio, anche a prescindere da questo film in particolare, perché è una scream queen dalle potenzialità enormi. In Unhuman interpreta un’adolescente timida e un po’ sfigata, che vede la sua migliore amica allontanarsi sempre di più, attratta dal gruppetto popolare della scuola. Ci sono ovviamente i bulli che rendono la vita impossibile agli altri studenti, c’è la reginetta bionda, i due outsider pieni di rabbia e risentimento, il giocatore di football e la sua spalla e così via. Difficile trovare un elemento che già non abbiamo visto in altri film con questo tipo di contesto. La domanda che il film si pone è se lo spaccato di società liceale protagonista sarà in grado di mettere da parte le proprie divergenze e collaborare per sopravvivere o se preferiranno tutti lasciarsi ammazzare dai morti viventi piuttosto che riconoscere negli altri degli alleati.
O almeno, pare che si chieda questo. La situazione è molto più complessa di così.
Leggerezza. Questa è la parola d’ordine di Unhuman, un film sottile e rapido, lo si beve come un bicchierone d’acqua in una giornata torrida. Strappa più di una risata, ha uno stile forse un po’ opinabile, soprattutto nel reparto montaggio, ma originale e niente affatto casuale. Come dico spesso quando affronto questo tipo di film: non è roba per noi, per la nostra fascia di età, ma si rivolge a un pubblico con parecchi anni di meno, e molto più avvezzo a un linguaggio fulmineo, che non ha come obiettivo immediato la comprensione razionale degli avvenimenti o una ferrea coerenza interna. Un film come Unhuman punta tutto sulla velocità d’esecuzione, sull’impatto emotivo e sulle dinamiche tra i personaggi che devono essere chiare anche senza prendersi il disturbo di approfondirle più di tanto. Per cui sì, i tipi umani sono molto caratteristici, ma ognuno di loro nasconde qualcosa o ha comunque una doppia faccia, che viene fuori nei momenti più improbabili; ampio spazio viene dato all’azione, alla violenza, alle fughe precipitose da orde di infetti, ai tentativi spesso patetici di contrattaccare. E se vi sembra di assistere a qualcosa di molto confusionario, allora è perché la confusione è la cifra principale del film.
È fondamentale, infatti, in Unhuman, la conoscenza pregressa da parte dei personaggi della natura di ciò che si trovano ad affrontare: in altre parole, sanno cosa sono gli zombie, hanno le stesse nozioni di cultura popolare che abbiamo anche noi spettatori e, di conseguenza, dopo averci messo un bel po’ a sospendere l’incredulità e ad accettare che sì, quanto visto in decine di film e serie tv si sta verificando davvero, sanno come reagire e come comportarsi. Solo che la pratica è molto diversa dalla teoria, e la leggenda secondo la quale un’apocalisse è un posto bellissimo per i più forti si rivela subito una sonora stronzata. Non è un posto bellissimo per nessuno: si muore, ci si fa male, si perdono gli amici, si rimane da soli, sperduti e con la morte che ti segue a ogni passo. Che Unhuman sappia spingere molto bene su questo tasto e, allo stesso tempo, continuare a essere leggero e divertente per tutta la sua durata, depone molto a favore della capacità di Dunstan e Melton di miscelare bene i toni e i registri. È una commedia, ma non è affatto necessario che una commedia sia stupida.
Il che ci porta dritti al twist, che sarà discusso brevemente nel prossimo paragrafo, quindi non leggete se volete evitare gli SPOILER.
Unhuman è un bizzarro e inconsueto esempio di horror con gli zombie in cui non muore nessuno e non ci sono nemmeno gli zombie. Il capovolgimento nella parte finale è molto simile a quello di un vecchio slasher degli anni ’80, April Fool’s Day: era tutto un gioco, uno scherzo che però in questo caso scappa di mano ai suoi perpetratori e, per questo, rischia di concludersi in maniera molto violenta.
La meccanica dello scherzo in sé è un po’ carente nel reparto plausibilità ed è troppo elaborata e barocca per poter essere davvero efficace. Ma ciò che conta, in questo caso, sono le motivazioni alla base di questa follia; quelle sono interessanti e dicono anche un paio di cose non proprio banali sull’adolescenza, sull’ambiente scolastico, sui suoi strascichi nella vita adulta e, in generale, su che faccenda complicata e dolorosa sia crescere, anche se per fortuna ti ritrovi in cima alla catena alimentare del liceo.
Tenendo quindi presente che non stiamo parlando di un grande film, ma di una commedia horror pensata per un pubblico giovanissimo, pure troppo bene ci è andata. E vediamo se in questo fine settimana riesco a superare il mio blocco con i film seri.