Tanti Auguri: 40 Anni di 1997: Fuga da New York

Regia – John Carpenter (1981)

Sapevamo che quest’anno avremmo festeggiato compleanni colossali, ma questo forse li batte tutti, anche se tecnicamente non si tratta di un horror. Non so se sia il film migliore di Carpenter, perché il catechismo carpenteriano recita che tutti i film di Carpenter sono migliori; di certo è il più iconico nel definire un’estetica ben precisa, quella del film d’azione anni ’80 e del suo relativo eroe. Il problema, tuttavia, è che Escape from New York ha sì contribuito come poche altre pellicole a esso contemporanee a fondare l’immaginario di un’intera epoca, ma non è affatto celebrativo della suddetta epoca, anzi, è un film politico, estremamente critico con un sistema di idee e valori che si andava formando e che Carpenter ha visto arrivare a dominare il mondo con un certo anticipo: se Essi Vivono è un’operazione più dichiarata, quasi didascalica nel suo prendere a bersaglio il capitalismo e l’ideologia reaganiana, Escape from New York si muove in maniera più sottile e fa da spartiacque tra il cinema di denuncia degli anni ’70 e quello muscolare e fracassone del decennio successivo.
Non a caso, Carpenter lo ha scritto a metà degli anni ’70, nel 1976 per la precisione, sull’onda dello scandalo Watergate.

Escape from New York fa parte di un contratto stipulato da Carpenter e Debra Hill per due film con la Avco-Embassy: il primo è The Fog, che riscuote un discreto successo, tale da garantire al regista e alla sua produttrice un budget un po’ più alto per il secondo. Ed ecco che Carpenter riprende in mano il vecchio soggetto, gli dà una rifinitura con la collaborazione di Nick Castle (il Michael Myers di Halloween) ed è pronto a girare con la bellezza di 6 milioni di dollari per tre mesi, dall’agosto al novembre del 1980, quasi sempre di notte, nella città di East St. Louis in Illinois, cui tocca il compito di simulare una New York in disfacimento trasformata in una enorme prigione a cielo aperto.
Il film esce nelle sale il statunitensi il 10 luglio del 1981 e incassa, soltanto in patria, 25 milioni di dollari. È importante perché è stato Fuga da New York a portare Carpenter dritto tra le braccia della Universal, e quindi a realizzare il film che ne avrebbe condizionato per sempre la carriera, ovvero La Cosa, altrimenti noto come il bagno di sangue. Ma, per il brevissimo periodo che intercorre tra Escape from New York e The Thing, Carpenter può permettersi di fare quello che vuole, quando lo vuole e senza che nessuno possa dirgli una parola.

Mancherei di rispetto a tutti voi che mi leggete se vi raccontassi la trama di Fuga da New York, però forse non siete a conoscenza di quale film abbia ispirato Carpenter quando ha scritto il soggetto nel ’76: trattasi di Death Wish, altrimenti noto in Italia come Il Giustiziere della Notte. Non tanto per l’ideologia espressa dal film con Charles Bronson (che la produzione voleva nel ruolo di Snake Plissken al posto di Russel), ma perché, secondo Carpenter, era molto efficace nel dare un’immagine di New York simile a una giungla: “I wanted to make a science fiction film along these lines”.
Si può dire che Death Wish e Fuga da New York pizzicano le stesse corde di paranoia urbana: città che sono diventate territori dove tutto e lecito, dove la vita e la morte di una persona non hanno alcun valore, dove bande di criminali hanno assunto il controllo e dove per sopravvivere devi lottare come se non esistesse alcuna autorità superiore.
Ma c’è una differenza sostanziale, che sposta completamente l’asse del discorso politico.

La New York di Carpenter è una discarica in cui il governo ha relegato gli indesiderabili. Pericolosi delinquenti e assassini di ogni risma, certo, ma non solo: l’impressione, confermata anche da alcuni dialoghi e dalla sequenza nel teatro, è che ci voglia davvero pochissimo per finire lì, abbandonati e dimenticati dal mondo esterno, che in questo modo si lava la coscienza e getta sotto il tappeto la sporcizia generata dalle sue stesse mancanze e dai suoi stessi errori. Il fallimento sociale degli USA in Fuga da New York è palese, dichiarato, e così irreversibile che l’unico modo per opporvisi è lo sberleffo anarchico e individualista di Snake che sostituisce all’ultimo secondo la cassetta. Un gesto che, con ogni probabilità, avrà come unica conseguenza il ritorno per direttissima di Snake in prigione, forse la destituzione del presidente interpretato da Donal Pleasance, ma non una modifica strutturale di un sistema che è ormai diventato granitico.
Non proprio il tipico film americano d’azione degli anni ’80, mi sembra.
Anche la Guerra Fredda, che qui diventa una guerra aperta che si trascina da non so quanti anni, non è trattata con i toni trionfalistici di tantissimo cinema del periodo, e neppure come una netta contrapposizione tra bene e male: è un incubo da cui non si riesce a uscire, oltretutto svuotato da qualunque significato di natura ideologica.

Carpenter carica il film di tutto questo bagaglio ma ha l’accortezza di nasconderlo in piena vista, così da garantire a Fuga da New York lo status di film di intrattenimento estivo, di blockbuster quasi, se non fosse che si trattava di una produzione indipendente, e che la nozione stessa di blockbuster estivo fosse ancora relativamente giovane.
E infatti, Escape from New York è parte integrante di una galleria di ricordi capaci di trasportare lo spettatore alla velocità del suono in un momento storico ben preciso, e allo stesso tempo, è l’antitesi di ciò che quello stesso momento avrebbe partorito, e non soltanto, come stiamo dicendo dall’inizio, da un punto di vista politico, proprio da quello cinematografico.

Carpenter, lo sappiamo, ma ribadirlo male non ci fa, arriva relativamente in ritardo al banchetto del New Horror: la sua prima, vera incursione nel genere è del 1978, dieci anni dopo l’esordio di Romero, tanto per capirci; arriva in ritardo anche per la New Hollywood, e al massimo riesce a prenderne la coda, poco prima che gli studios esproprino gli autori e riprendano in mano il timone del cinema americano.
Ciò non toglie che faccia parte di quella cultura lì, che la sua formazione cinematografica sia pressoché identica a quella dei suoi colleghi e che sia uno dei registi più attenti al controllo artistico della propria opera: Kurt Russel è protagonista di Fuga da New York non soltanto perché è adatto al ruolo e perché va d’accordo con Carpenter che lo ha conosciuto sul set del televisivo Elvis. Carpenter lo vuole e alla fine lo impone alla produzione, perché sa che con un attore più famoso avrebbe avuto meno libertà.
Questo per dire che Carpenter non ha molto a che spartire con il cinema degli anni ’80 così come il pubblico generalista è abituato a codificarlo. Non è un Cosmatos o un McTiernan.

Carpenter guarda al cinema classico, e soprattutto guarda all’essenziale: Fuga da New York è un film così scarnificato nello stile, così privo di qualunque orpello che quasi ci sembra un film facile da realizzare.
Per quanto si tratti, in fin dei conti, di una distopia, Escape from New York è molto meno sopra le righe ed esagerato nell’estetica di parecchio cinema distopico, figlio della fantascienza anni ’70, ancora cupa e adulta, e non tanto padre di quella degli anni ’80. Movimenti di macchina col contagocce e quasi invisibili, gestione magnifica dello spazio e della disposizione nello spazio di oggetti e persone, senso perfetto dell’inquadratura, nonché un world-building ridotto ai minimi termini, ma determinante nel costruire l’atmosfera generale e l’ambientazione. Tutti tratti distintivi del cinema di Carpenter, che è riconoscibile anche da un solo fotogramma.
Persino l’umorismo, che pure è presente, è così straniante che non lo si può paragonare alle battute messe in bocca ai vari Stallone o Schwarzenegger. Snake non fa proprio parte della stessa razza, anche se alcuni miei coetanei si ostinano a infilarcelo a forza.
Fuga da New York non è di quella pasta, non è di quell’epoca, non è una celebrazione degli anni ’80, è una profezia su dove l’ideologia che stava nascendo all’alba degli anni ’80 ci avrebbe condotti.
E, sinceramente, non è poi così distante dalla realtà, fatte le debite proporzioni.


10 commenti

  1. Grande!
    Ho visto questo film molto tardi e, benché lo associassi al cinema muscolare americano degli ’80, mi sono reso conto subito che era un’altra cosa. Non so che effetto mi avrebbe fatto se lo avessi visto da ragazzino, come altri di Carpenter. Talvolta Carpenter è così essenziale che se lo metti in una cornice sbagliata PRIMA di vederlo, rischi che non ti piaccia, che ti sembri poco “esplosivo”… Mi sono sempre chiesto, ad esempio, che effetto farebbe oggi Halloween se lo andassero a vedere degli adolescenti (ma non solo). Di Fuga da New York mi ricordo tante cose gnocche. Ad esempio, che C riesce a farti capire i personaggi anche solo attraverso una azione, senza tanti pipponi e dialogoni (quante cose succedono ad esempio nella fuga finale, senza che siano urlate, che ci fanno capire chi abbiamo davvero di fronte…). Poi i finali. Davvero: qualcuno ha mai fatto uno studio solo sui finali di Carpenter? Ad esempio, dopo il finale di Fuga da Los Angeles ha ancora senso fare film d’azione? Scherzo, forse… E quello di FDNY? Fenomenale: come una molla, sembra che tutto il film si tenda lentamente rimanendo estremamente serio e cupo fino ad esplodere nella beffa della cassetta sostituita e nel dialogo di chiusira (che ti fa capire che Jena NON è come gli altri eroi). Super!

    1. Io l’ho visto che ero molto piccola perché mio padre, che detestava l’horror, adorava Carpenter, vai tu a capire cosa gli passava per la testa.
      Credo che tuttavia Carpenter si troverebbe molto più a suo agio nell’horror odierno che in quello dalla seconda metà degli anni ’80 fino al primo decennio del 2000.
      E infatti si è riaffacciato sulla scena con i sequel di Halloween prodotti da Jason Blum. Pare abbia addirittura intenzione di tornare dietro la macchina da presa. Pare…

      1. Grande. In effetti, però, se penso a quanto sono super fighi i suoi film non (proprio) horror (distretto 13, grosso guaio, starman, Fuga 1 e 2)… sì, l’horror degli ultimi anni in quanto a consapevolezza, misura e capacità di intrattenere gli piacerebbe. Se si rimette a fare film, spettacolo. Però mi piace anche l’idea del vecchio John che se la spassa tranquillone e aspetta, leggendo fumetti e strimpellando un banjo sulla veranda di casa, che le nuove leve passino da quelle parti perché… è impossibile prescindere da JC (quello vero) 😉

  2. Solo applausi ad un grande film come questo 😉

  3. Luca Bardovagni · ·

    Volevo chiederti se avresti fatto qualcosa per il quarantennale di IDDIO DISCESO IN TERRA ma era troppo OT sotto altre recensioni. L’hai fatto. Grazie. Quarant’anni dopo girano (due a caso eh, sarebbero duemila, ne dico due buoni) Doomsday o Peninsula sulla lezione Carpenteriana.
    Eh niente. Mi commuovo.

    1. Rhona Mitra in Doomsday è figlia bastarda di Snake e Ripley. Nessuno me lo toglierà dalla testa.
      La Ripley di Aliens, però.

  4. 山Yama山 · ·

    Che articolo stupendo! 1997 è stato il mio primo film di Carpenter e ne sono follemente innamorato. Per me è mitologia pura. È stato insieme a Blade Runner e Apocalypse Now uno dei film che hanno fatto nascere in me la passione per il cinema quando andavo al liceo (sono un classe 1992 e sogno ardentemente di vederlo prima o poi sul grande schermo).
    Concordo con tutto quello che hai scritto, è una bomba di film che ha lasciato un’eredità invidiabile sia a livello di tecnica filmica sia di cultura popolare.

    Tanti auguri a un vero Capolavoro!

    1. Ma io ti ringrazio!
      E ancora di più ti ringrazio perché sei giovanissimo e ascolti questa vecchia carampana 😀

      1. 山Yama山 · ·

        Figurati! Mi hai scatenato un flusso di ricordi riguardo a questo film pazzesco. Cose tipo:

        – La colonna sonora incredibile, soprattutto il tema di apertura.
        – Lee Van Cliff, leggendario.
        – Visioni di cose assurde, appena accennate, come Squadra d’Assalto Luce Nera e deltaplani Gullfire che calano su Leningrado.
        – I colori e le luci della notte in una NY collassata.
        – Il testo introduttivo che mette i brividi e ti butta a capofitto in quel mondo.

        Non potevo non innamorarmene perdutamente…

  5. Giuseppe · ·

    Che gran bel compleanno hai festeggiato, oggi 😉
    E no, proprio non sapevo che fosse stato Death Wish ad ispirare Zio John nella stesura del soggetto, appunto perché di reazionario non c’è assolutamente nulla in 1997- Fuga da New York. Ma adesso, comprendendo cosa gli interessava del film di Winner, è tutto più chiaro… riguardo alla scelta del protagonista, per me quello giusto è e rimarrà sempre Kurt Russell: un antieroe tanto perfetto, anarchico, cinico e disilluso alla massima potenza come difficilmente Charles Bronson sarebbe riuscito ad essere nei suoi panni (con tutta probabilità, il pubblico ci avrebbe visto di nuovo quel giustiziere che certo non era nelle intenzioni di Carpenter portare su schermo).
    Per il resto, nulla ho da aggiungere a quanto hai già ottimamente scritto 😉
    P.S. Non è poi così raro (anzi) vedere John Carpenter apprezzato pure da chi in genere si tiene alla larga dall’horror…

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