Regia – John Power (1993)
O di quella volta in cui King cercò di pagare il suo debito con Nigel Kneale e Quatermass and the Pit, ma la cosa non gli riuscì particolarmente bene. A peggiorare una situazione già compromessa in partenza (eufemismo per dire che il romanzo non è un granché), ci si mettono tutte le restrizioni proprie del mezzo televisivo di cui abbiamo già parlato altre volte, nonché una produzione neozelandese (!) travagliatissima e complessa.
Eppure, nonostante tutto, rivedendo questo pasticcio, ho provato del sincero affetto nei suoi confronti. Insomma, nulla di paragonabile all’astio feroce per la miniserie tratta da IT, o all’imbarazzo per robaccia come A Volte Ritornano.
Deve essere la mia solita indulgenza verso i film sbagliati. Che non sono necessariamente film brutti, ma sono quelli nati storti in partenza, che poi diventa sempre più difficile aggiustare in corso d’opera.
Sì, lo so anche io che Tommyknockers è anche un film brutto, non c’è bisogno che qualcuno me lo faccia notare. Però non fa rabbia, fa quasi tenerezza.
Ma dicevamo della Nuova Zelanda, giusto? Come diavolo ci siamo arrivati in Nuova Zelanda? Prendiamola alla larga, che facciamo prima: Tommyknockers è una miniserie composta da due episodi della durata di circa 90 minuti ciasciuno. In pratica si tratta di due film, e non due film camera e cucina, ma zeppi di effetti speciali, quindi con una post-produzione lunga ed elaborata.
La ABC (responsabile anche di IT) pretende che la miniserie cominci le riprese a ottobre del ’92 per essere pronta a maggio del ’93. Sette mesi tra riprese e post, con 60 giorni di tempo per girare tutto. Una follia vera e propria, che fa insorgere un altro problema non da poco: il romanzo è ambientato in estate, a cavallo del 4 luglio, per la precisione, e non era possibile girare negli USA, tra ottobre e dicembre, in mezzo ai boschi, simulando un clima caldo. Qualche genio deve aver esclamato: “Nuova Zelanda!”, ed è iniziato l’incubo. L’unica cosa che mi consola è la certezza che la ABC, per risparmiare, è finita a spendere il doppio. Però nel modo sbagliato. Sappiate, tuttavia, che prima de Il Signore degli Anelli, c’è stato The Tommyknockers. Non so quanto il precedente vi possa far piacere.
Dovete anche sapere che il regista designato per Tommyknockers è una vecchia conoscenza kinghiana, Lewis Teague, e viene licenziato dopo due giorni di riprese perché lavorava a un ritmo troppo lento rispetto alla tabella di marcia. Come se tutto ciò non fosse sufficiente, il secondo episodio era ancora tutto da scrivere mentre giravano il primo, e anche lì, le riscritture erano all’ordine del giorno; per cui, tra ritardi, materiali che non arrivavano dagli Stati Uniti, orari massacranti, riprese notturne e nei fine settimana, troupe locale inesperta, credo si possa definire un miracolo solo il fatto che Tommyknockers sia stato portato a termine. Non c’è da meravigliarsi se il risultato non è entusiasmante.
Ma d’altronde, con un materiale di partenza già fallato, forse non è stata una grande idea concepire proprio l’adattamento.
King e la fantascienza hanno un problema. Non so se è perché i temi tipicamente kinghiani mal si adattano al genere, o perché è proprio lui a non essere in grado di saper utilizzare i tropi della sf classica con la stessa perizia con cui gioca con quelli del gotico americano. Sta di fatto che, le due volte in cui il Re si è cimentato con l’invasione aliena, ha partorito due libri piuttosto deludenti. Logico che ne abbiano risentito entrambe le trasposizioni, anche se quella de L’Acchiappasogni ha meno scusanti rispetto a Tommyknockers, ma ne parleremo a tempo debito.
In realtà, di rado esiste un microcosmo più kinghiano di quello di Haven, l’immaginaria cittadina del Maine confinante con Derry dove Tommknockers è ambientato, e di rado esistono personaggi più kinghiani di Bobbi, la scrittrice western, e del suo amico (nella miniserie compagno) Gard, poeta fallito e alcolizzato. È vicenda abbastanza nota che Tommyknockers è stato l’ultimo libro scritto da King quando era un tossicodipendente, e lo scrittore non lo ama più di tanto: lo ha definito “pessimo” e ha aggiunto che andrebbe riscritto tagliandone più della metà. Di certo, la sezione più sentita e sincera del romanzo è quella dedicata alle varie forme di dipendenza in cui scivolano i protagonisti: Gard è dipendente dall’alcol, ma Bobbi diventa molto presto dipendente dall’astronave che sta disseppellendo dal terreno di sua proprietà.
Ma, per il resto, sembra una riproposizione spenta e senza vita di ciò che siamo abituati a riconoscere come Kinghiano, una sorta di manierismo di se stesso; per restare nei territori della narrativa di King, Haven è come il mondo spostato di qualche ora nel passato de I Langolieri: non ha odore, non ha sapore, è un guscio vuoto.
E tuttavia, c’è della sostanza da qualche parte, nel romanzo. Soprattutto c’è questa idea di ambientare Quatermass and the Pit nella provincia americana, con tutto quel che ne consegue. Certo, direte voi, esiste il precedente de Il Colore Venuto dallo Spazio, che ha più volte suggestionato King, sia nei racconti brevi (Weeds, da cui è tratto l’episodio di Creepshow con lo scrittore protagonista) sia nei romanzi (L’arrivo di IT a Derry, non a caso confinante con Haven). Ma, come fa notare Kim Newman, uno che di horror e fantascienza qualcosina capisce, Tommyknockers è un remake letterario del Quatermass televisivo, con l’astronave sepolta che dona poteri mentali a chi ci si avvicina, ma senza il colpo di scena finale sull’origine degli alieni.
È quindi una vicenda che su grande (e piccolo) schermo ha già funzionato, e potrebbe funzionare ancora. Il problema di questo film, oltre a voler seguire, con pochi guizzi e qualche modifica atta soltanto a edulcorare la storia di King, adattare quasi alla lettera un romanzo non troppo riuscito, è che porta impresso il marchio “tv anni ’90” a ogni fotogramma. E un concentrato di ciò che le miniserie televisive erano all’epoca, tanto che potrebbe quasi essere utilizzato come un manuale di studio di un linguaggio ormai (per fortuna) dimenticato.
Perché, vedete, il cast non è male. Insomma, c’è pur sempre Traci Lords, e non si può voler male a un film per la televisione anni ’90 dove Traci Lords ha un ruolo di un certo rilievo; l’ambientazione, pure quella, è azzeccata. Non lo diresti mai che non è il Maine, ma la Nuova Zelanda; c’è anche il tentativo di delineare un perfido bozzetto di provincia, soprattutto nella sezione dedicata al marito fedifrago. Ce l’hanno messa tutta, io non ho alcun dubbio. Ma, pur a voler sorvolare sui difetti endemici alla storia, Tommyknockers è un film che non morde mai. Se ne sta lì, con la sua durata elefantiaca, il suo ritmo letargico, la sua piattezza democristiana, e non fa male a nessuno, non spaventa nessuno, non ha la forza di spaventare nessuno.
Non si può neanche dire che sia uno spettacolo atroce come Il Tagliaerbe o che faccia il giro e diventi un’esperienza atroce ma da sghignazzata isterica come I Sonnambuli. Si limita a esistere, come un qualcosa da mettere in sottofondo, un riempitivo per gli spazi pubblicitari, ecco.
È televisione e, nel ’93, a nessuno interessava veramente la televisione, non in senso artistico almeno. Non è il peggior adattamento da King, affatto, e se non avete proprio nulla di meglio da vedere, può persino divertirvi. Ma con moderazione, che il piccolo schermo non era fatto per le emozioni troppo forti.
Mi ero dimenticato di questa piccola perla, io lo vidi moltissimo tempo fa’ e devo dire che mi e’ piaciuto.
Devo rivederlo per vedere (scusate il gioco di parole) se il giudizio positivo rimane ancora.
Non oso pensare cosa farebbe Mike Flanagan con le trasposizioni dei libri di King, e’ bastato solo l gioco di Gerald (Gerald’s Game) (2017) per restituire le stesse sensazioni dellla lettura.
È invecchiato tragicamente male. Ma, ribadisco, non è così brutto come molti lo ricordano.
Anche se non rifiuto a prescindere la roba televisiva anni ’90, ammetto di avere quasi dimenticato sia serie che romanzo.
Quando arriverai ai Langolieri?
Allora, dopo Tommyknockers ci sarebbe Cose Preziose, ma ne abbiamo parlato l’anno scorso, quindi tocca a The Stand, che sarà un casino perché devo recuperare 4 episodi (o erano 6?); poi finalmente tocca a un bel film, ovvero Le Ali della Libertà. Cronologicamente poi c’è The Mangler, ma anche di quello ho già parlato, e quindi arriva uno dei miei preferiti: Dolores Clairborne. Subito dopo Dolores si torna a soffrire con I Langolieri!
Non ne ricordavo così tanti. È una bella sequenza però…
Allora, la serie dA 6 è quella di quest’anno con Whoopi Goldberg (non mi ci sono avvicinato). Quella “storica” è del 1994, me pare e son sicuro che è da 4 episodi. Peraltro, sarà per don’t fear the reaper, L’INTRO, col corvo, la base USA da dove parte il virus, la gente “seccata sul posto” da Captain Trips mi era pure piaciuta.
Purtropp, finita l’intro, parte l’agonia.
Giusto, 6 episodi è la seria nuova che arriva a dicembre. Ancora nessuno ci si è potuto avvicinare. È uscito un primo full trailer che è un po’ moscetto, ma la si vedrà comunque, figuriamoci 😀
Poi ho riletto il romanzo di recente, il mese scorso e Dio se in alcune cose è invecchiato in maniera imbarazzante.
Sì va accettato così com’è. Due o trecento pagine di taglio non gli farebbero male. Il finale è imbarazzante come spesso gli accade. E però certte pagine sono ancora una goduria. E Glen Bateman è il mio eroe. (Non vorrei mai essere Stu o Larry-peraltro Stu è ne più ne meno Roland della Torre Nera).
Io dico solo una cosa: giustizia per Harold!
Ecco, già ad inizio post mi hai tolto le parole di bocca riguardo al debito di King: il mio principale motivo di indulgenza nei confronti di The Tommyknockers, infatti, sta proprio nel suo rifarsi a un classico come Quatermass and the Pit 😉 Poi, certo, il romanzo originale sta a dimostrare quanto Stephen abbia provato a rincorrere Nigel Kneale ma senza mai raggiungerlo nemmeno per un attimo ed era ovvio, visto che il Re con la sf classica non si è mai trovato esattamente a proprio agio…
A differenza di IT, in questo caso mi era capitato di vedere la miniserie prima di leggere il romanzo e, sempre a differenza di IT, avevo trovato l’adattamento televisivo relativamente più riuscito (pur con le sue magagne: là, poi, in Nuova Zelanda, non è stata certo una passeggiata di salute) rispetto alla fonte cartacea. Ancora oggi la penso allo stesso modo, stile tv anni ’90 (perlomeno parlando di miniserie, mediamente meno convincenti delle serie vere e proprie) e sostanziale incapacità di fare davvero paura a parte.
FALCO UNO DI NOI.
E pure Nadine, io dico!
AVOJA