Regia – John Carpenter (1983)
Piccola nota personale: la mia macchina (che a breve dovrò cambiare, perché ha 15 anni sul groppone) si chiama Christine. Questo, per dirvi quanto sono affezionata al film di cui si parla oggi, più che al romanzo da cui è tratto. È una questione sentimentale, prima di tutto: la mia infanzia è stata segnata da Christine, perché mio padre, che l’horror lo ha sempre schifato (è un noto cagasotto e si chiede spesso da chi io abbia preso) è invece un grande estimatore delle avventure della Plymouth Fury del ’58 protagonista di quest’opera alimentare di John Carpenter. Di sicuro parliamo di un minore nella sua filmografia, logico, ma l’affetto che provo nei suoi confronti va al di là dei suoi reali meriti, che comunque non sono pochi, nonostante Carpenter non fosse particolarmente entusiasta di dirigerlo. Ma, dopo il flop de La Cosa, aveva bisogno di far ripartire una carriera in debito d’ossigeno, e accettare Christine gli sembrò la cosa più giusta da fare.
Dopo quasi 10 anni dovreste conoscerlo a memoria il catechismo carpenteriano, quindi ve lo risparmio, ma uno dei suoi precetti fondanti è che Carpenter, anche quando gira su commissione, ci mette sempre e comunque del suo, e non ci sta a farsi mettere in ombra da nessuno, neanche da uno Stephen King che all’epoca stava diventando sempre più famoso e sempre più potente.
Abbiamo spesso parlato di soggezione nei confronti di King da parte dei registi incaricati di portare sullo schermo i suoi libri. Io capisco benissimo che può sembrare azzardato fare un paragone tra l’approccio usato da Kubrick e quello invece usato da Carpenter, eppure, al netto dell’abisso di ambizioni che passa tra i due film, non sono poi così distanti l’uno dall’altro: entrambi hanno piegato le storie di King alla loro idea di cinema. E se per Kubrick, non mostrare alcuna soggezione era molto facile, sia per motivi cronologici che di statura artistica, per un Carpenter uscito con le ossa rotte dal suo film più personale, deve essere stato abbastanza complicato scrollarsi di dosso l’ombra del romanzo.
Se King e Carpenter condividono (e si vede) una certa fascinazione per l’immaginario degli anni ’50, la loro concezione di orrore è molto differente: prosaica e concreta quella di King, fatta principalmente di pura astrazione quella di Carpenter. In soldoni, questo significa modificare la natura stessa di Christine; nel romanzo è un’automobile posseduta dallo spirito malvagio del suo precedente proprietario, Roland Le Bay, mentre nel film nasce malvagia sin dalla catena di montaggio. E, se non fosse abbastanza chiara la sequenza in cui schiaccia la mano di un operaio tra le fauci del cofano e ne uccide un altro che osa far cadere la cenere di un sigaro sulla sua tappezzeria nuova di zecca, Carpenter ci piazza pure questo brano a coprire tutta la scena, tanto per mettere subito in chiaro le cose.
Anche se, ai fini del racconto, cambia davvero poco, non è un dettaglio di secondaria importanza, anzi, secondo me riflette pienamente il cuore dell’horror secondo John Carpenter. Lui che ha inventato The Shape, ovvero Michael Myers, ovvero una vuoto contenitore del male, non ha bisogno di mettere, all’origine della malvagità di un oggetto, una faccenda così banale come la possessione da parte di uno spirito maligno. Anche Christine, come Michael, è una forma, un contenitore, un’assenza che viene riempita, in questo caso, dalle insicurezze e dalla frustrazione dell’adolescente Arnie: Christine non è una macchina posseduta, Christine possiede Arnie, anzi, lo infetta e, qui Carpenter rimane molto fedele al testo, perché riesce a insinuarsi in una mente che è già di per sé fragile; vessato da una famiglia autoritaria e iper protettiva, perseguitato dai bulli a scuola, Arnie si aggrappa a Christine in un rapporto simbiotico. Un personaggio destinato alla tragedia sin dalla prima scena, e sin dalla prima pagina.
Nessuno dei personaggi del romanzo di King è un protagonista carpenteriano, e infatti il regista non mostra un grande interesse per nessuno di loro. Non dà alcun peso al triangolo amoroso tra Leigh, Arnie e Dennis, su cui invece King spende pagine e pagine, e concede un minimo di pietà sindacale al povero Arnie che, nel momento esatto in cui diventa preda di Christine, è già al di là di ogni possibile salvezza. Tutta l’attenzione di Carpenter è per lei, Christine, la nostra Michael Myers a 4 ruote, la Fury rossa e implacabile, che ti insegue anche in fiamme e ti tende agguati come lo squalo di Spielberg.
Come scrisse Roger Ebert nella sua recensione, la personalità di Christine è talmente forte che alla fine quasi fai il tifo per lei nel suo scontro con il bulldozer guidato da Dennis.
Mi scuserete se continuo il paragone con Halloween, ma Christine e Michael condividono le stesse caratteristiche: sono implacabili e sono indistruttibili, e se l’impianto kinghiano del romanzo fornisce comunque a Christine delle ragioni per uccidere (la gelosia, la vendetta), il fatto di averla concepita malvagia sin dalla nascita tramuta tali motivazioni in meri pretesti per compiere il male, che in Carpenter è sempre fine a se stesso.
Se King riempie la sua storia di significati, la affolla di punti di vista (persino i bulli ne hanno uno), la infarcisce di sotto trame dando spazio a tutti i personaggi “umani” coinvolti, tanto che a un certo punto Christine quasi sparisce dalla circolazione per far posto alla storia d’amore tra Dennis e Leigh, Carpenter svuota tutto, rispettando all’apparenza ogni snodo principale della trama, ma agendo di fatto di testa sua e portando comunque avanti la propria poetica.
Possiamo quindi concludere con un nuovo precetto del catechismo carpenteriano: non esistono lavori su commissione. Tutto ciò che tocca John Carpenter appartiene a John Carpenter.
Il mio romanzo preferito di King rielaborato in modo magistrale da Carpenter. La macchina in fiamme che insegue il più odioso dei bulli è una delle immagini più potenti e indimenticabili del cinema horror.
Infatti è stata più volte imitata, ma la classe di Carpenter è inarrivabile.
Il libro non lo conosco,ma il film invece lo conosco eccome!..che dire?..Carpenter è un regista straordinario e assolutamente unico e ha diciamo così,piegato la prosa di King secondo la sua poetica..non riesco a ricordare un film del grande John che possa essere considerato brutto.
Il catechismo carpenteriano recita che il Maestro non ha fatto film brutti 😀
Ho amato moltissimo sia il libro che il film. Curioso, un horror dove trucco e effetti speciali servono a evidenziare la bellezza anzichè a disgustare (mi ricordo che quando uscì pensai che Carpenter avesse voluto quasi scusarsi per La cosa, dell’anno prima) 🙂
Più che scusarsi, secondo me aveva paura 😀
Le reazioni a La Cosa erano state così violente che Christine è un film dove non si vede neanche un omicidio in campo.
amo molto sia libro che film (forse ho una leggera preferenza per il romanzo, ma solo perchè l’ho scoperto per primo :D). le scene eliminate presenti sul bluray trattano proprio quella parte che nel montaggio finale del film è stata quasi del tutto accantonata, ovvero il rapporto tra dennis e leigh. sarebbe interessantissimo visionare una director’s cut per scoprire come sarebbe il film integrando anche quella storyline 😀
bellissima recensione, come sempre 🖤
Credo fermamente che il taglio di quelle scene fosse precisa volontà di Carpenter, che sul set ha girato tutto e poi ha decurtato senza pietà, anche perché il film, per gli standard del Maestro, è lungo, siamo quasi alle due ore 😀
❤
ehhhh niente, gli unici film che trovo alla pari (in alcuni casi, migliori) dei romanzi originali, sono quelli in cui un grande regista, anche agli esordi, anche in calo di popolarità, anche preso dai suoi personali fantasmi, riesce a riscrivere la sceneggiatura, a svelare le suggestioni e trasferire in immagini quelle sensazioni di disagio, terrore, angoscia che i libri di King , quelli buoni, ti insinuano sotto pelle
la magnifica triade Shining, Carrie e Christine è sicuramente là, al top della mia classifica
Io darei anche un premio, almeno di consolazione, a Mark Pavia per l’adattamento di The Night Flyer. Sarà un film “minore” (ma anche il racconto è minore), ma resta una delle cose più kinghiane mai viste sullo schermo.
naturalmente, intendo la Carrie di De Palma/Sissi Spacek…il remake non esiste
Il remake del 2013, dici? Quella è un’oscenità. Invece quella specie di seguito spurio di fine anni ’90 non è così brutto come lo si dipinge 😀
Figuriamoci se il Maestro si piegava… Oggi l’uscita del film strillerebbe: “tratto dal romanzo di Stephen King”, con i caratteri scritti più grandi sia del titolo del film che del regista.
Carpenter, invece, firma ogni film col suo nome e cognome seguito dal genitivo sassone prima del titolo. E Christine non fa eccezione: E’ “John Carpenter’s Christine”. 😉
Eh sì, come tutti i grandi autori Carpenter se ne fotte altamente della fama di King. Non ha mai mostrato un briciolo di soggezione per nulla, e giustamente.
Zio John, prendendo giustamente strade diverse rispetto alla fonte letteraria kinghiana, ha creato qui un’inarrestabile manifestazione di maligna forza vitale (rossa, di quel colore che simboleggia la passione malata e corrisposta a cui Arnie non può sottrarsi) a quattro ruote per la quale sì, si può arrivare quasi a fare il tifo alla fine… e anche un po’ prima, a dire il vero, ricordando il destino che riserva ai bulli, dal primo all’ultimo. E quel Bad To The Bone all’inizio è pura e alta classe, a riprova che il Maestro non sceglie MAI a casaccio 😉
Mi inquietava moltissimo da ragazzin Christine.
Probabilmente, Carpenter, pur rileggendo nel suo stile il libro di King, è quello che è riuscito a rendere meglio sul grande schermo un romanzo di King.
Appena finito di vedere il film, che non avevo mai visto. Mi è piaciuto molto, difficilmente scorderò Christine in fiamme! Questi tuoi post KING AL CINEMA sono il mio Vangelo Horror tanto che ti chiedo un favore: potresti aggiungere un ulteriore tag specifico oltre a quelli “cinema”? Li rileggo spesso e così sarebbe più facile salvarmi la lista tra i preferiti 🙂
Grazie mille!