Dieci Horror per un Anno: 2016

Alla fine del 2016 ho fatto, per l’ultima volta, una classifica degli horror migliori dell’anno. Poi la faccenda delle classifiche mi è venuta a noia, anzi lo aveva già fatto all’epoca, e infatti ho realizzato un video, con ben venti film. In seguito ho proprio smesso di voler valutare i migliori e i peggiori e mi sono dedicata a consuntivi un po’ più ragionati. Da quando ho adottato la formula della data di distribuzione è stato tutto più semplice.
Però, ora vorrei riflettere un istante sul numero dei film inseriti nella mia ultima classifica: venti. Sono tanti, venti horror di un certo valore in un anno. E, per molti, il 2016 non è stato poi questo granché, non dopo la pioggia di grandi horror d’autore del 2014 e del 2015.
Eppure, a mio parere, è un anno di importanza fondamentale per capire dove si sta dirigendo e dove si dirigerà il cinema dell’orrore, sempre se continuerà a crescere e a garantire profitti sproporzionati rispetto ai costi (e purtroppo, i risultati di Doctor Sleep al botteghino fanno presagire un brusco ritorno alla realtà). Nel 2016 si colma il divario tra l’horror che arriva in sala e quello indipendente e destinato o a distribuzioni limitate o ad arrivare diretto in VOD. In altre parole, l’horror cosiddetto “mainstream” si allinea a quello indie, lo rincorre su un piano qualitativo, e scopre la gallina dalle uova d’oro che ha tenuto a galla moltissime produzioni in un momento di crisi nera. Non si può dire quindi, ad avere un minimo di onestà intellettuale, che il 2016 sia un anno sotto tono. Forse è mancato il capolavoro assoluto come The Babadook, ma a ben guardare, quello è mancato sempre, perché di The Babadook ce n’è uno. Vediamo cosa è successo.

1. The Witch – Regia di Robert Eggers (Uscito negli USA il 19 Febbraio del 2016)

Lo stato di salute di un genere si evince anche dalla caratura di chi investe su di esso, e la A24, casa di produzione e distribuzione indipendente e di prestigio, ha fatto del cinema horror il suo fiore all’occhiello, portando in sala l’esordio di un giovanissimo regista che ha conquistato non solo la critica, ma ha anche avuto un buon riscontro tra il pubblico. Ecco, quando mi riferisco al superamento del divario tra prodotti di nicchia e di massa, è proprio a opere come The Witch che penso: un film radicale, un folk horror con un’impostazione che più d’autore non si può, che diventa un piccolo fenomeno. Si potrebbe pensare che si tratti di un caso isolato, ma non è affatto così. In un certo senso, The Witch ha aperto la porta a un nuovo modo di concepire la distribuzione. Soltanto fino a un paio di anni prima, non sarebbe mai arrivato oltre una release limitata per poi sparire dalla circolazione. E invece The Witch è rimasto, ed è persino arrivato fin qui. Se non è una rivoluzione questa…

2. 10 Cloverfield Lane – Regia di Dan Trachtenberg (Uscito negli USA l’8 Marzo del 2016)

Anche se poi il progetto di un universo narrativo basato su Cloverfield è naufragato dopo appena due film, a causa della scarsissima qualità di The Cloverfield Paradox, il tentativo era partito molto bene, con un film dove il collegamento agli alieni arrivava nei tre minuti finali e, per tutto il resto del tempo, lo spettatore si trovava chiuso in un bunker con tre personaggi, a domandarsi se l’apocalisse paventata dal personaggio di John Goodman fosse reale o soltanto un parto della sua mente paranoica. Ed è appunto la paranoia, oltre a una bella dose di claustrofobia, a dominare 10 Cloverfield Lane, che arrivò a sorpresa, con una campagna pubblicitaria lampo cominciata poche settimane prima della sua uscita, in totale controtendenza rispetto alla consueta pioggia di materiale che di solito approda in rete anche con anni di anticipo sull’effettiva distribuzione di un film. Come sempre, quando si tratta di JJ Abrams (amore di zia), l’alone di mistero creato intorno al film è stato creato ad arte e ha dato anche i frutti sperati. Ma, marketing a parte, 10 Cloverfield Lane è un ottimo esempio di come ambientare una storia in un’unica location e mantenere desto l’interesse. A me piacque da morire e mi ricordo che, nella mia classifica, si conquistò un rispettabilissimo quinto posto.

3. Hush – Regia di Mike Flanagan (Uscito negli USA l’8 Aprile del 2016)

Credo sia il primo film originale Netflix di cui ci occupiamo in queste liste settimanali, e non poteva che essere Mike Flanagan a dirigerlo, nel corso di un anno da vero stakanovista dell’horror. Sicuramente è un prodotto alimentare, Hush, niente a che vedere con il successivo Il Gioco di Gerald, figuriamoci con Hill House o Doctor Sleep. Eppure si tratta di un home invasion atipico e originale, diretto con eleganza e padronanza dei pochi mezzi a disposizione. Un horror dove la protagonista parte da una condizione di assoluta inferiorità rispetto all’uomo che ha deciso di introdursi in casa sua e ucciderla, un po’ come accadeva ne Gli Occhi della Notte, e questo accresce a dismisura la tensione, e anche la partecipazione alla sua sorte. Ci sono tanti piccoli dettagli, in Hush, che lo distinguono dall’home invasion tradizionale, e spesso sono accorgimenti quasi invisibili, ma denotano sia la bravura nella messa in scena di Flanagan sia la sua capacità di giocare a nascondino coi cliché, pur all’interno di una struttura codificata.

4. The Invitation – Regia di Karyn Kusama (Uscito negli USA l’8 Aprile del 2016)

Una cena tra amici che non si vedono da tanto tempo, un lutto che non è stato elaborato, uno strano culto che pare avere il potere di cancellare il dolore: questi sono gli ingredienti alla base di The Invitation, e Kusama ci ricama sopra una vicenda i cui sviluppi sembrano piuttosto prevedibili, quando invece stanno andando in una direzione del tutto inattesa. Sì, dietro al culto c’è qualcosa che non quadra, ed è palese, sì, alla fine la morte è l’unico modo per cancellare il dolore. Ma la misura e l’entità di questa rincorsa alla morte piombano come un macigno sullo spettatore. Kusama, che non faceva un lungometraggio addirittura dal 2009, torna dietro la macchina da presa e si impone come una delle voci più interessanti del cinema, di genere e non, statunitense. Peccato solo che il (bellissimo) Destroyer non abbia avuto i riconoscimenti che avrebbe meritato.

5. Green Room – Regia di Jeremy Saulnier (Uscito in UK il 13 Maggio del 2016)

Ma quanto era bravo Anton Yelchin? Green Room poi è forse l’interpretazione migliore di una carriera troppo breve, e mi piange il cuore ogni volta che lo rivedo mentre combatte coi neo nazisti (di merda) nel film più punk e scatenato del 2016. Siamo sempre in zona A24, tanto per gradire e sottolineare la caratura dei film da essa prodotti e distribuiti: Green Room, in particolare, potrebbe rappresentare il simbolo dell’horror indipendente, quando è tuttavia realizzato con cognizione di causa, mezzi limitati ma non da fame, e una visione che vada oltre il cortile di casa del regista. Saulnier poi, un po’ appannato dopo il mezzo fiasco del film Netflix Hold the Dark, è uno da tenere sotto stretta sorveglianza perché, ne sono certa, si riprenderà. E basta guardare questa storia di punk vs nazi (di merda) per rendersi conto di che bel regista abbiamo di fronte.

6. The Conjuring 2 – Regia di James Wan (Uscito negli USA il 10 Giugno del 2016)

Se fino a ora credo che siamo tutti abbastanza d’accordo sui film scelti, sono convinta che qui si storcerà il nasino da purista di qualcuno. L’odio che si è attirato addosso James Wan da quando ha avuto un successo clamoroso con la saga dei Warren è, per me, una faccenda inspiegabile: non c’è niente di male nell’horror commerciale, anzi. Più un film dell’orrore dimostra di poter fare i soldi, più i produttori indipendenti investiranno in altri film dell’orrore, perché è un tipo di film che può dare ottimi risultati spendendoci tre lire. Ora, è perfettamente lecito che il cinema di Wan non piaccia, che l’uso un po’ troppo insistito dei jump scare vi dia sui nervi, che troviate tutto il baraccone di infestazioni e possessioni cominciato nel 2013 stucchevole. Ma non potete negare che Wan abbia dato vita a due personaggi dal carisma fuori del comune, destinati ad affiancarsi a tante icone dei bei tempi che furono, che i Warren ormai sono come due di famiglia e che The Conjuring 2, per scrittura e botta emotiva, sia superiore al primo. Poi disprezzate pure Wan quanto vi pare. Ma se potete andare in sala a vedere, che so io, un piccolo film come Ready or Not, è anche merito suo.

7. Train to Busan – Regia di Sang-ho Yeon (Uscito in Corea del Sud il 20 Luglio del 2016)

Non è del tutto vero che nel 2016 è mancato il capolavoro, perché questo è tranquillamente uno dei migliori horror del decennio. Ed è un blockbuster che ha incassato un pozzo di soldi in patria; quindi non è neanche del tutto vero che essere un blockbuster vada in conflitto sistematico con l’essere un buon film. Anche qui, a qualcuno non è andato giù che Train to Busan abbia avuto tutto questo seguito: troppo ricco, troppo scintillante, troppo popolare per essere preso in considerazione. Ma basta avere gli occhi (possibilmente non foderati) per lasciarsi alle spalle queste considerazioni trite e farsi investire dalla potenza delle immagini di questo film e dal suo ritmo implacabile, perché al di là di tante parole e interpretazioni, il cinema è azione, e l’essenza stessa del cinema è il movimento. In Train to Busan ne troverete a pacchi, di movimento, credetemi.

8. Don’t Breathe – Regia di Fede Alvarez (Uscito negli USA il 26 Agosto del 2016)

Se Hush è un home invasion atipico, Don’t Breathe è un home invasion al contrario, dove il villain della situazione è il proprietario della casa in cui si introducono tre ladruncoli, convinti di avere a che fare con un innocuo anziano non vedente, mentre invece si ritrovano dritti all’inferno. Alvarez fa il funambolo nei corridoi e nei sotterranei della casa, allestisce un paio di sequenze che (scusate il gioco di parole) ti mozzano il respiro e non ha neanche troppa paura di essere sgradevole fino in fondo, con il rovesciamento di ruoli che vede una vittima designata tramutarsi in uno spietato carnefice, quasi un Uomo Nero da horror soprannaturale, e i piccoli delinquenti, a loro volta diventare dei bambini in balia di un orco.
Alvarez ha anche dimostrato che lasciare l’horror per avventurarsi in generi più rispettabili porta una sfiga indicibile. Impariamo da lui.

9. Under the Shadow – Regia di Babak Anvari (Uscito in UK il 20 Settembre del 2016)

Quando il cinefilo di turno parte con una filippica contro Netflix, indicata come il male assoluto che uccide il cinema vero e, mio Dio fateli tacere prima che mi venga voglia di compiere una strage, io di solito cerco di spiegare al cinefilo che tanti autori, senza Netflix non avrebbero avuto la possibilità di esordire e, seppur fossero riusciti a girare il loro primo film, non avrebbero trovato nessuno disposto a distribuirlo, soprattutto su un canale in grado di raggiungere il mondo intero. Ora, pensate a un minuscolo horror recitato in farsi e a quante sarebbero state le occasioni di conoscerlo, se Netflix non lo avesse distribuito. A mio parere avrebbero rasentato lo zero, giusto? E invece, Anvari ora è abbastanza noto e rispettato nella comunità di appassionati del genere, ha potuto addirittura dirigere un’opera seconda con star di tutto rispetto, sarà il regista di una serie tv di punta e via così.
E tutto è cominciato con quello che, se non ci fosse stato Train to Busan, considererei l’horror più bello del 2016.

10. The Monster – Regia di Bryan Bertino (Uscito negli USA l’11 Novembre del 2016)

Bertino è un regista dalla qualità molto altalenante, ma quando azzecca la scrittura (e trova gli attori giusti), è in grado di fare i miracoli: The Monster, sulla carta, è un horror a cui non dareste una lira (un po’ come The Strangers): madre e figlia bloccate in un bosco sotto la pioggia in compagnia della mostruosa creatura del titolo. È così convenzionale che quasi non ci viene voglia di prestargli attenzione. Ma il lavoro compiuto da Bertino sui personaggi, il dosaggio nelle apparizioni del mostro, il particolarissimo rapporto tra una ragazzina troppo adulta e una mamma troppo ragazzina, contribuiscono a fare di questo film una continua sorpresa. Non è piaciuto a tutti, molti, anzi, si sono lamentati proprio perché alla fine del mostro interessa fino a un certo punto, e tutto si concentra sulla relazione difficilissima e dolorosa tra le due protagoniste.
Eppure, riconsiderando adesso tutte le mie visioni del 2016, credo che il posto più importante nel mio cuore se lo sia conquistato proprio The Monster. Non perché sia il film migliore dell’anno (non lo è, lo abbiamo visto nelle posizioni precedenti), ma perché è quello che più degli altri mi ha fatto capire perché amo il cinema dell’orrore sopra a tutto il resto.

 

27 commenti

  1. valeria · ·

    miseriaccia, che annata! :O non ho visto solo il secondo (mi è sempre mancata la voglia di recuperare cloverfield, ma ora mi ci metterò d’impegno XD). tra gli altri i miei film del cuore sono i numeri….ehm dall’1 al 10 XD ho una piccola preferenza per “the conjuring 2”, che mi ha davvero emozionato e coinvolto a livello emotivo, specialmente per quella meraviglia che sono gli warren. (alla faccia di chi vuole male a wan XD). lista stupenda *___*

    1. Sempre alla faccia dei detrattori di Wan!

  2. Annata soddisfacente. Mi mancano The Monster, la cui, trama mi tirava poco, e The Conjuring 2 (non avevo gradito il primo capitolo), li recupererò. Per la palma del migliore, ex equo tra The Witch, morbosamente fascinoso, e Cloverfield Lane spiazzante e col solito monumentale Goodman. Molto buoni The invitation e Don’t Breathe, entrambi superiori alle attese, divertente Green Room, ben girato Hush. Under the Shadow faccio fatica a considerarlo un horror, piuttosto un film drammatico in cui il clima insostenibile imposto da un regime teocratico oppressivo si manifesta anche in forma sovrannaturale – la sequenza che più mi ha impressionato è quella, del tutto agganciata alla realtà, in cui la protagonista viene aspramente redarguita dal commissario di polizia perché durante un bombardamento in preda al panico è fuggita in strada senza coprirsi il capo – reato punibile con la fustigazione.
    Infine: Train to Busan: sempre nel 2016 è uscito l’anime Seoul Station,diretto dallo stesso regista, che racconta gli avvenimenti che precedono Train to Busan, ossia le prime manifestazioni dell’epidemia: a mio parere, è l’anime è più bello del film live.
    Altri horror 2016 che mi sembrano meritevoli di entrare in classifica citati in ordine sparso: Autopsy di André Øvredal, Pet di Carles Torrens, Madre del cileno Aaron Burns, Raw – Una cruda verità di Julia Ducournau. Lascio per ultimo quello che considero un capolavoro devastante per il suo carico di disperazione e follia: Goksung – La presenza del diavolo, diretto da Na Hong-Jin, uno dei più importanti registi del cinema sud-coreano: film che parte lentamente, disorientando per il mix di toni tra il drammatico ed il grottesco del resto tipico di quella cinematografia, ma ha una progressione a valanga e si arriva alla fine stremati.

    1. Non sono affatto d’accordo, né sull’anime più bello (è solo più cinico) né sul film coreano che a me non piacque affatto, ma su quest’ultima cosa è un problema mio, sull’anime è tutto un fatto di atteggiamento cattivista.

      1. “atteggiamento cattivista”? con questo intendi che l’anime è troppo pessimistico circa la natura umana?

        1. Sì, in parte, e in parte credo che molti spettatori di film dell’orrore provino un vero e proprio godimento fisico nel sentirsi dire che la natura umana fa schifo.
          E che molto spesso uno dei motivi per cui si preferisce Seoul Station a Train to Busan è che si accusa il secondo di essere “buonista”.
          Essendo io una grandissima fan del buonismo in generale, di solito lo prendo come un complimento.

          1. Guarda che mi dichiaro orgogliosamente “buonista” anche io, ma quando guardo un film horror non mi pongo il problema se è troppo pessimista o meno rispetto alla natura umana, facendo caso ad altri aspetti, come il coinvolgimento emotivo, l’originalità dell’approccio, la capacità di sorprendere. Di Seoul Station ho apprezzato la maggiore complessità narrativa rispetto a Train to Busan che, una volta impostata la situazione base (treno in movimento, passeggeri non infetti vs. passeggeri zombi) la reitera per quasi tutta la sua durata. Certo contiene sequenze di grande impatto visivo come quella del “grappolo” di zombi, ma l’ho trovato un poco ripetitivo ed anche prevedibile nel suo esito finale (almeno, posso dire che è proprio l’epilogo che mi aspettavo), a differenza di Seoul Station che invece mi spiazzato con quel finale tanto tragico.

          2. Ma non mi riferivo a te in particolare, quanto a una tendenza generalizzata da parte di chi si dichiara un appassionato.
            Troppe volte, all’epoca dell’uscita dei due film, mi è capitato di leggere: “Non guardate quella cretinata di Train to Busan, guardate Seoul Station. Quello sì che è un film disperato”, come se la disperazione fosse sinonimo di qualità, cosa che non è, chiaramente.
            Io ho preferito Train to Busan per il dinamismo continuo e per i personaggi. Ma, a parte loro, da un punto di vista puramente da cinematografara, l’ho trovato molto più soddisfacente. Seoul mi è sempre parso, anche a rivederlo, un tantinello ingessato, ecco

  3. Vorrei farti una domanda “Scomoda”, ma non perchè voglio metterti in difficoltà o perchè voglio prenderti in giro o che altro, ma solo perchè mi interessa la tua risposta. Nei tuoi articoli, e nei post in generale, e quando si parla di horror in generale, il leitmotif in fondo è uno: “questo è un gran film horror perchè è una metafora della vita, del lutto, della perdita, del rapporto tra madri e figlie, dell’amor perduto, della famiglia, dei rapporti di coppia” etc etc etc… Quindi abbiamo “i mostri” che vengono usati per parlare di vita reale e situazioni reali.
    Ma allora – e considerando che spesso i veri appassionati di un genere guardano quasi solo QUEL genere e non gli altri – la domanda che mi viene è: se quello che rende geniali i film sono gli agganci con il reale, le metafore, i messaggi sulla nostra vita, allora perchè semplicemente non vedere film SENZA mostri, senza il pretesto di una storia di cazzotti e spaventoni e diavoloni e spettri che occupa gran parte dello spazio, e vedersi invece film dove quelle metafore sono il CENTRO del discorso, e non un elemento che fa capolino da dietro lo zombi?
    Riconosco che certi film di genere riescono a parlare meglio di certe tematiche piuttosto che i film “normali”, ma a volte mi viene il sospetto che il problema sia il pubblico, una certa tara di base, una certa “mancata crescita”, che fa sì che riusciamo a guardare una storia di amore, famiglia, sentimenti, SOLO se abbiamo la rassicurazione del mostro, perchè altrimenti ci… vergogneremmo? Annoieremmo?
    Ci sono tantissimi film “normali” che raccontano storie di persone comuni alle prese con gli stessi guai. Perchè noi dobbiamo avere per forza il mostro? E’ come se il mostro fosse la nostra coperta di Linus, l’alibi che ci permette di vedere quelle storie che altrimenti non guarderemmo perchè ci riteniamo… che ne so, superiori, più intelligenti, non “sentimentali” (visto come una cosa negativa).
    .
    Capiscimi bene: il sono il PRIMO che ama l’horror come metafora, i mostri come simbolo, il soprannaturale come specchio del nostro vivere, la situazione horror come elemento fortemente catartico… eppure ogni tanto mi viene questo dubbio. Forse non siamo abbastanza maturi per vedere film che parlano di lutto, morte, famiglia, amore e lo fanno senza filtri, e allora ci inventiamo la “scusa” secondo la quale l’horror è superiore… mentre invece siamo noi a essere inferiori?
    .
    Un pò di tempo fa mi capitò di discutere con una tizia che diceva che l’horror NON deve avere un messaggio. L’horror deve farti paura, farti alzare l’adrenalina, farti urlare e farti divertire con gli amici.
    Io ovviamente ero del tutto in disaccordo, e ho parlato dell’horror come metafora del sociale etc etc.
    Ma a volte penso: e se fosse vero? Se l’horror fosse solo lo zucchero che prendiamo per riuscire a mandare giù una pillola che altrimenti non avremmo il coraggio o la forza di prendere? Stiamo forse cercando di mettere il caviale su una pizza solo perchè il caviale ci piacerebbe, ma riteniamo che mangiarlo come i ricchi sarebbe da snob?
    E’ più saggio il tizio che vede solo horror elogiando quelli più maturi o quello che guarda film “intellettuali e realistici” e poi, quando si vuole rilassare, si guarda un horroraccio coi mostri?

  4. Stefano69 · ·

    Non mi ricordavo che nel 2016 fossero usciti tutti questi film! Mi mancano 7, 9 e 10… proprio quelli che a tuo avviso sono i migliori! Devo assolutamente recuperare.
    Ti ringrazio poi per la tua “difesa” della saga di The Conjuring: purtroppo fra gli appassionati di cinema e di horror in particolare c’è sempre la tendenza a disprezzare per partito preso i prodotti commerciali, quasi come se fosse un peccato piacere al grande pubblico… A me se un film piace, mi piace a prescindere da quanti lo guardano. Non sarò purista, ma me la godo di più 🙂

    1. Che poi l’horror è un genere commerciale: nasce per fare soldi; alla Universal negli anni ’30 non pensavano di certo di fare arte…

  5. Hai presente quando inizia a leggere un post e dopo due minuti ti prudono le manine perché vorresti metterti a scrivere un commentone lungo così, e subito? Ecco.
    E questo nonostante i primi due film della lista, The Witch e Cloverfield, li abbia detestati entrambi – ma soprattutto il secondo, eh, ma tanto, e non certo perché la “rivelazione” arriva all’ultimissimo minuto (anzi: forse è l’unico fattore positivo che posso citare).
    The invitation era già finito nella mia lista da prima, ma non ricordo dove l’abbia sentito nominare. Invece mi intriga assai Train to Busan, che ho miracolosamente trovato disponibile in biblioteca in edizione limitata assieme a Seoul Station:
    https://opac.provincia.brescia.it/opac/detail/view/test:catalog:1715352
    Degli altri titoli, ho visto e amato – soprattutto lasciandolo decantare – Bertino (ma non The monster, che purtroppo non c’è, bensì The strangers) e poi Dont’ breathe: io, però, l’ho visto al cinema e rivisto poi col titolo di Man in the dark… com’è ‘sta cosa?
    Di The strangers avevo detto qualcosa qui (just in case, se a qualcuno interessa):
    http://lecoseminime.home.blog/2019/08/23/film-25-the-strangers-bryan-bertino/

    1. Ecco, Seoul Station e Train to Busan andrebbero visti uno dietro l’altro. È ottimo che tu li abbia trovati insieme. Io preferisco il secondo, c’è chi preferisce il primo. Ma sono entrambi ottimi lavori.
      Don’t Breathe è una storiella divertente: il titolo originale, con cui è uscito sul mercato anglosassone è Don’t Breathe. Arriva in Italia e che fanno? Cambiano il titolo in Man in the Dark per ragioni ignote. Il consiglio dei titolisti malvagi colpisce ancora!
      E sì, mi interessa molto ciò che hai da dire su The Strangers. Vado subito a leggere.

      1. Orco cane, me lo sono detta poi… e non è l’unico caso in cui traducono l’inglese… con l’inglese 😯 Forse che il verbo breathe era troppo difficile per noi ‘gnurant italiani?! Vebbeh.
        Dunque, se ho capito bene, Station viene prima di Train? In ogni caso il cofanetto E’ MMIOOO… buahahah! 😀

        Ah, dimenticavo: che vo’ ddì “prodotto alimentare”? Mi scompiscia, ma in relazione ad un film non l’avevo mai sentito 😉

        1. Station è il prequel di Train, anche se le storie sono collegate solo dal fatto che comincia a diffondersi il virus degli zombie e non ci sono personaggi in comune.
          Ahahahahahah!
          Prodotto alimentare: film fatto su commissione per pagare le bollette 😀

          1. Bon, tengo presente e inverto l’ordine.
            E mi segno “prodotto alimentare” (grazie del chiarimento): da oggi, lo infilerò ovunque posso 😀

          2. Ah, ma vedi che ti avevo citata nei commenti sotto al post su Bertino… manco mi ricordavo! Per Shyamalan.

          3. Pensa come sto rincoglionita io che neanche me ne ero accorta leggendolo 😀
            Bertino è bravo con la MdP, un po’ meno con la logica, questo è vero.
            Però certe volte mi domando come agiremmo noi in situazioni di stress e pericolo estremi, e se compieremmo tutte azioni perfettamente logiche e razionali per salvarci la pelle.
            E lì mi sorge un dubbio: sono stupidi i protagonisti dei film horror o siamo tutti stupidi?

          4. Ho paura (per l’appunto) che sia vera la seconda ipotesi… eh. Ma forse siamo così abituati a vedere questi comportamenti dentro una cornice che a suo modo li tira fuori dalla realtà più “vicina”, da non riconoscerli.

            Del resto, a proposito di logica e di memoria, io mi sono ormai arresa all’ineluttabilità della mia decadenza, dunque… 😶

          5. Io sono arrivata a un’età veneranda, quindi mi devo arrendere a disfacimento e putrefazione 😀

  6. Luca Bardovagni · ·

    Mi piace come insisti sul pleonasmo nazi (di merda). Rimane un pleonasmo ma va insistito. Flanagan fa bene tutto ciò che tocca fin qui. (e tocchiamo noi ferro). Netflix è un mezzo. Come lo era l’home video tanti anni fa.Dava tante possibilità, uscivano tante cagate, e qualche capolavoro perchè chi aveva pochi mezzi aveva possibilità di esprimersi. Lo snobismo verso il MEZZO,non lo capirò mai. Per quel che riguarda “l’horror DEVE ESSERE DISPERATO”…non so che dire. Due tizi che avevano una visione della natura umana nichilista che spostati (parlo di Quello Del Monolite e del Creatore di Napoleone Wilson) riuscivano a essere Grandi Umanisti. Non ci vedo contraddizione.Niente, per una volta sono stringato perchè tra post e commenti ci sono spunti di riflessione per secoli.
    Ah bhe, e ce ne sono un paio che mi tocca recuperare, come sempre.

    1. Va sempre sottolineata l’identità assoluta tra i nazi e la merda. E tuttavia, quasi mi dispiace per la merda, che è comunque utilizzabile per scopi nobili, mentre i nazi non hanno alcuna utilità. O forse ce l’hanno solo da morti.
      Ma infatti la visione della vita e della natura umana nichilista non implica il cinismo un tanto al chilo che tanto va di moda oggi. Anzi, credo che il cinismo sia una scappatoia molto facile.

      1. Giuseppe · ·

        Per dirla in termini “alimentari” Il cinismo (in determinate dosi, ovvio) può essere il condimento, forse, ma NON il piatto principale. Consideriamolo più come un effetto collaterale, tutt’altro che inevitabile, di una visione della vita/natura umana nichilista… niente di più, niente di meno.
        Detto questo, non so quanto alla fine potrà Seoul Station -non ancora visto- sembrarmi più cinico del magnifico Train to Busan, ma verificherò quanto prima.
        Complessivamente un’annata ben assortita pure il 2016 (Don’t Breathe e The Monster me li sono rivisti non molto tempo fa, tra l’altro)… ah, e nazi (di merda) sempre e comunque, sia chiaro!

  7. Train To Busan l’ho adorato da subito.
    Don’t Breathe fu una piacevole sorpresa

  8. Come al solito ne ho visti troppo pochi. Cercherò Train ti Busar e The Monster. Di 10 Cloverfield Lane ricordo anche che (secondo me non capita spesso) aveva un trailer davvero fichissimo.

  9. Blissard · ·

    Ma niente male come annata, c’è stato di mooooolto peggio.
    Personalmente avrei inserito anch’io Goksung – La presenza del diavolo, che con Train to Busan e Green Room (Yelchin che nella sua ultima interpretazione si esibisce in “Nazi Punks Fuck Off!” entra di prepotenza nella leggenda) forma il tris dei miei horror preferiti dell’anno.
    Mi suscitano più freddezza The VVitch e The Invitation, tutt’altro che brutti ma secondo me abbastanza sopravvalutati in giro.

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