Regia – Jack McHenry (2019)
Torniamo a parlare di cinema ultra indipendente a bassissimo budget, torniamo a parlare di esordi, di attori sconosciuti, di film girati nel cortile di casa mettendo insieme grandi speranze e cartapesta, con il consueto avviso ai lettori: se non siete avvezzi a questo tipo di roba, potreste rimanere sconcertati, perché il concetto di budget risicato, in certi casi, non è sufficiente a definire la miseria dell’operazione, perché qui non c’è neanche una produzione media alle spalle del film, come la Blumhouse, a garantire la patina professionale. Un film come Here Comes Hell può contare soltanto sulla buona volontà dei partecipanti, sul circuito dei festival e sul passaparola: siamo nell’ordine di un cosetta costata 20.000 sterline. Siate quindi benevoli e non fate gli schizzinosi.
Detto ciò, esistono dei sotto-generi cinematografici che, per un certo periodo di tempo, hanno avuto una grande fortuna commerciale, per poi sparire del tutto dalla circolazione. Succede che a volte vengano riesumati, a seconda del fattore nostalgia su cui si può puntare per farci dei soldi sopra; altre volte, il loro destino è l’oblio e nessuno ne parla più. Il filone delle old dark house è estinto da un bel po’, ma negli anni ’20 e ’30 faceva faville. È riapparso sporadicamente nei cinema (e in tv) nei decenni successivi, grazie a William Castle e poi a Dan Curtis, e si è spesso mischiato con il murder mystery, però non ha più goduto di buona salute.
Non lo si può definire horror in senso stretto, in quanto gli elementi di commedia superavano di gran lunga quelli più legati al cinema della paura, ma è parte della grande storia del gotico Universal, e se conoscete un minimo la sottoscritta, allora saprete anche quanto sono legata al nome di James Whale, il cui capolavoro assoluto è forse proprio The Old Dark House, del 1932, il film simbolo e culmine dell’intero sotto-genere.
Non credo che sia possibile, oggi, riportare in auge l’old dark house, nonostante alcune sue rielaborazioni in chiave contemporanea esistano; pensiamo, per esempio, a Crimson Peak. E tuttavia, questo esordiente sconosciuto, appartenente alla superiore razza britannica, è così matto da provarci sul serio, e non girando un film gotico con alcune caratteristiche che rimandano a quel particolare filone, no: Here Comes Hell è uno scalcinato, adorabile, volutamente (a tratti) dozzinale filmetto in bianco e nero, ambientato negli anni ’30 e diretto come se fosse stato realizzato in quel periodo storico, con la stessa recitazione, le dissolvenze a tendina, i titoli di testa e coda e le scelte di messa in scena che sono la riproduzione fedele di un modo di fare cinema che non esiste più.
Immaginate, tuttavia, che negli anni ’30 i registi avessero a disposizione gli effetti speciali di trucco di Sam Raimi e Luci Fulci, e avrete più o meno una mezza idea di cosa vi aspetta.
Cinque personaggi in un fatiscente maniero, appartenuto in passato a un famoso occultista, organizzano una seduta spiritica con l’aiuto di una medium e aprono le porte dell’inferno.
In pratica è come se L’Aldilà ed Evil Dead fossero ambientati negli anni ’30.
Ed è uno spasso, ve lo assicuro, sempre che voi non siate troppo esigenti per quanto riguarda la recitazione e la resa di alcuni effetti speciali di post-produzione, a voler essere generosi, approssimativi. Nulla da dire riguardo al make-up e al gore, su cui credo sia stata spesa la metà del budget disponibile, e nulla da dire anche sulla passione e la conoscenza che l’illustre sconosciuto McHenry dimostra nei confronti della materia trattata; la scrittura, dal canto suo, è efficacissima nella sua semplicità, con personaggi, per forza di cose, non troppo approfonditi, ma funzionali e carismatici, soprattutto le due protagoniste femminili, e una storia che, per quanto schematica, ha anche i suoi discreti colpi di scena e le sue trovate narrative brillanti.
McHenry poi è anche bravino, considerando quanto poco aveva a disposizione e, tra sotterranei invasi dalla nebbia, fanciulle in abito da sera che brandiscono spade, abissi spalancati sull’inferno, e corpi che se ne vanno in giro senza testa, mette insieme uno spettacolino di un’ora e un quarto divertente e consapevole dei suoi mezzi e dei suoi obiettivi. Possibilissimo che lo troviate sciocco, datato, amatoriale, com’è anche plausibile pensare che un film con queste caratteristiche sia, tutto sommato, un esercizio inutile. Ma, messa in questi termini, ogni opera che guardi al passato è inutile, anche quelle che rifanno per la centesima volta gli anni ’80.
E invece, l’impressione che Here Comes Hell ha dato a me è stata di grande freschezza, inventiva, voglia di sperimentare, anche affrontando un genere virtualmente morto da mezzo secolo.
Nel ciclico (e cinico) riproporre, da parte dell’horror e del cinema tutto, idee dall’usato sicuro, puntare su un qualcosa di così desueto e antico è un atto di coraggio: dopotutto, chi se li fila più gli anni ’30?
Eppure, questo film minuscolo sta ricevendo parecchi consensi, sia in patria che negli Stati Uniti, si è comportato benissimo al Fright Fest e, piano piano, gli appassionati lo stanno scoprendo e diffondendo come la gemma fuori dal tempo che è.
Per quanto mi riguarda, è una notizia positiva: riscoprire le origini del genere, anche attraverso opere contemporanee che a esse rimandano, non è mai un esercizio inutile, e quando qualcosa è realizzata con tanta sincerità e tanto amore, si giustificano anche le mancanze inevitabili di un film scritto, girato e montato con sole 20.000 sterline.
“Dopotutto, chi se li fila più gli anni ’30?”
Aehm…
Stavo giusto per commentare “finalmente un film interessante.”
Ma è in bianco e nero! Non ci sono gli esplosioni!
Amo. Amo profondamente.
E forse l’ambito amatoriale è l’unico giusto per un’idea del genere: tanto che, ne sono già sicura, adorerò il fatto che sia un po’ arruffato e non lo vorrò in nessun altro modo.
Anni ’30 will never die. For me.
Gli anni ’30, per l’horror, sono un periodo unico, meraviglioso. Sono d’accordissimo.
Parlando di opere contemporanee in stile anni ’30, avevo gradito assai il lovecraftiano “The Whisperer in Darkness” dell’indipendente Sean Branney (con un budget un tantino superiore a quello di cui ha potuto disporre Jack McHenry, credo), ragion per cui penso di potermi gustare anche questa affettuosa rievocazione delle old dark house di quel periodo ruggente… 😉
Molto buono The Whisperer in Darkness, e anche filologicamente correttissimo.
Questo è un po’ più caciarone, però sono certa che ti divertirai!
Bellissimo, uno di quelli che ho apprezzato di più quest’anno.
E allora devi scriverci qualcosa anche tu, perché questo film dobbiamo spingerlo!