Regia – Emma Tammi (2018)
Immaginate di trovarvi in mezzo a una prateria sconfinata, priva di presenza umana per chilometri e chilometri, di essere lì con vostro marito che però raggiunge spesso il centro abitato più vicino per fare provviste e quindi se ne sta in giro per giorni e giorni. È la frontiera, o meglio, sono le sue estreme propaggini, luoghi dimenticati dove i coloni cercavano di sistemarsi, di coltivare la terra, molte volte facendo una pessima fine. Non è molto differente, se non fosse che siamo qualche secolo avanti, all’ambientazione di The VVitch: in entrambi i casi assistiamo al tentativo di costruirsi una vita che va a puttane per cause che possiamo vagamente definire soprannaturali.
In The Wind ci sono meno personaggi, manca il fattore stregoneria per ovvi motivi cronologici, ma ci sono i demoni della prateria al posto di Satanasso, che fanno la loro bella figura.
Abbiamo due coppie di coloni, la prima, composta da Lizzie e Isaac, si trova lì da parecchio tempo, mentre la seconda, più giovane e inesperta, arriva a occupare una capanna a qualche miglio di distanza, portando con sé l’illusione di non essere più completamente isolati.
A mettere i bastoni tra le ruote a un’esistenza già abbastanza dura, ci sono i suddetti demoni; Lizzie già li conosce, per causa loro ha perso qualcosa di importantissimo, ma il marito non le ha creduto. Ora, con l’arrivo della nuova coppia, l’ l’aggressione si fa ancora più feroce e spietata.
C’è un dettaglio interessante, a proposito di The Wind, che va evidenziato: tre ruoli chiave, ovvero regia, sceneggiatura e montaggio, sono ricoperti da donne e il film appartiene a un genere non convenzionalmente declinato “al femminile”: il western. Non posso dire (più) la stessa cosa a proposito dell’horror, sempre più dominato da registe, sceneggiatrici e svariate figure professionali, ma il western con una donna dietro la MdP è una rarità. Per onestà intellettuale va detto che The Wind, a parte l’ambientazione, è refrattario a qualunque cliché di solito associato al western, credo lo sia in parte per questioni di budget, in parte a un livello consapevole: Emma Tammi, nonostante sia la sua opera prima (all’attivo cortometraggi e documentari), ha le idee fin troppo chiare su quello che vuole raccontare e su come intende raccontarlo.
In The Wind la frontiera è vista quasi esclusivamente come un posto di profonda solitudine, quasi con le connotazioni di un pianeta alieno o di una landa post-apocalitica.
Lizzie (Caitlin Gerard) è una donna abituata a una vita difficile, si sa difendere, se la cava da sola, sa maneggiare un fucile, ma non per questo è una rozza bifolca; al contrario è alfabetizzata, se non addirittura colta, legge Mary Shelley e Ann Raddcliffe e si intuisce, anche se nessuno ce lo dice apertamente, la presenza di un passato diverso da quello che ora la vede a zappare la terra nel bel mezzo del nulla.
Destino condiviso con la nuova arrivata, Emma: anche lei condotta lì dal marito in cerca di fortuna e per niente soddisfatta della cosa. Solo che Lizzie ha avuto il tempo di adattarsi per sopravvivere; Emma è invece un bersaglio più facile.
Un bersaglio per cosa, esattamente?
Bella domanda, davvero. Non è dato di sapere chi siano questi demoni della prateria né tantomeno se esistano davvero. Ma nel cinema dell’orrore vale spesso la regola secondo cui una cosa è reale se reali sono i suoi effetti sui personaggi.
E noi, che i demoni non li vediamo mai sul serio (qualche ombra sulle pareti, al massimo), possiamo immaginare la loro presenza tramite le reazioni dei protagonisti. Anzi, delle protagoniste, perché gli uomini sembrano non avere alcun tipo di problema.
Una cosa è certa: Lizzie è, in qualche modo, haunted e, insieme a lei, o tramite lei, lo diventerà anche Emma; nel frattempo, i rispettivi mariti non si accorgono di niente se non quando è troppo tardi e come se non bastasse, aggravano la situazione.
Ma è anche normale che sia così: è Lizzie a passare in casa la maggior parte del tempo, è Lizzie che trascorre settimane in completa solitudine, ad aspettare chissà che cosa, ed è sempre Lizzie che ha la cultura e l’intelligenza sufficienti (oltre a quel pizzico di indipendenza intellettuale) per capire di essere in pericolo.
La cosa interessante di The Wind è il modo in cui Tammi sceglie di raccontare il progressivo disfacimento mentale dei personaggi: prima di tutto, adotta un tipo di narrazione non lineare, che mischia il passato con il presente ed è molto avara di spiegazioni. In altre parole, The Wind dovete seguirlo, altrimenti avrete difficoltà a capire quali siano i flashback, anche perché i piani temporali che si intersecano sono tre e tutti e tre forniscono informazioni indispensabili.
In secondo luogo, il ritmo è molto dilatato, i dialoghi ridotti al minimo indispensabile e le spiegazioni sono del tutto assenti.
Queste scelte narrative corrispondono a un’estetica fatta soprattutto di macchina fissa e campi lunghi e lunghissimi. Dopotutto, tradurre in immagini un isolamento così estremo è possibile soltanto se inserisci i tuoi attori in un ambiente che li soverchi. Non è tanto la paura, il sentimento dominante in The Wind, quanto la sensazione di essere precipitati al di fuori dell’umanità: quando i tuoi “vicini” di casa sono solo un puntino distante nella notte, quando l’unico essere vivente è una capra, quando il vento del titolo comincia a soffiare all’esterno e porta con sé gli ululati dei lupi, prevale un senso di profonda angoscia, simile a quello che si prova quando si è dispersi in mezzo al mare.
Il minimo, ma proprio il minimo che può capitare, è scivolare nella follia o evocare qualcosa di antico e maligno che risiede in quella landa sconfinata da secoli e non vuole essere disturbato. E le due cose non sono così diverse come sembrano, non sono alternative come sembrano. Una non esclude l’altra e, anzi, una aiuta l’altra a portare a termine il suo compito.
Horror soprannaturale a lenta combustione, western senza epica, thriller psicologico a scatole cinesi, The Wind è stato una vera sorpresa per la sottoscritta. È un film ostico, che chiede tanto allo spettatore, ma offre almeno il doppio in cambio. In un cinema horror sempre più intento a dar voce a personaggi femminili fuori dai canoni, The Wind fa parlare una dimenticata per eccellenza e le permette di raccontare la sua storia. È doloroso, è tragico, è persino faticoso, ma ne vale la pena.
Ottima recensione 🙂 Lucia ,
ho amato questo film,
iscrivetevi al canale ufficiale della IFC Films, questa casa di distribuzione sta regalando molti gioiellini
https://www.youtube.com/user/IFCFilmsTube/featured
Sì sì, conosco bene la IFC, sono anni e anni che distribuisce film splendidi, sempre indipendenti, che di solito fanno un figurone ai festival più importanti e in Italia non arrivano mai 😀
Che destino triste.
già solo a leggere la tua recensione mi sono scesi i primi brividi lungo la schiena, non oso immaginare quando guarderò il film 😀 urge assolutamente recupero! ti ringrazio perché avevo visto di sfuggita giorni fa che era reperibile, ma me ne ero completamente dimenticata. rimedio subito!
È tra i migliori thriller dell’anno. E poi mi piace molto questo approccio così minimalista all’ambientazione western.
Poi fammi sapere che ne pensi! 🙂
Io invece riflettevo che il western – dato per morto e sepolto (nonostante i successi notevoli di serie come Deadwood) – stia in realtà piuttosto bene quando viene ibridato con altri generi, primo fra tutti l’horror, che come sappiamo è morto e sepolto pure lui.
Si ha come l’impressione che un sacco di gente stia guardando nella direzione sbagliata.
Il western non è mai morto. Il problema è il pubblico che, a un certo punto, ha deciso che era noioso, forse per carenza di esplosioni e accoppiamenti con minorenni, suppongo.
Il problema è che tutti i generi cinematografici sono vivi, stanno bene e hanno qualcosa da dire. Sta tutto nella presenza di gente disposta ad ascoltare, ed è quella che manca, non i buoni film.
Dalla tua rece direi che sembra proprio essere un weird western di gran classe, questo…
Sì, tanta classe, tanta atmosfera.
Scrivo qui, anche perche’ manca una sezione di suggerimenti,
ho visto The House That Jack Built (2018) (La casa di Jack) di Lars von Trier,
vi assicuro che e’ un film che non dimenticherete molto facilmente, Matt Dillon e’ un mostro, sia di bravura che in senso letterale,
spero che Lucia possa guardarlo e inserire una recensione.
Attenzione, sembra che in Italia nei cinema venga proiettato la versione censurata, non so se cio’ corrisponde al vero, io ho visto l’unrated della durata di 2:32:34, alcuni sostengono che prossimamente verra’ rilasciata una director’s cut
grazie, e scusate per OT