Regia – Nicholas McCarthy (2019)
Lo si aspettava al varco, il signor McCarthy, dopo quasi cinque anni di silenzio e alle prese con il suo primo film realizzato con un budget non proprio miserabile (sei milioni di dollari), un cast di un certo livello e, soprattutto, una distribuzione cinematografica capillare e internazionale. Non tutti sono Mike Flanagan, e il passaggio dal circuito indie a quello un po’ più “commerciale” non avviene sempre in scioltezza e senza accusare il cambio di livello. E infatti, McCarthy un pochino soffre: innanzitutto lavora su una sceneggiatura cui non ha messo mano, scritta da Jeff Buhler, da tenere comunque d’occhio perché è suo il nuovo Pet Sematary (anche il remake prossimo venturo di Jacob’s Ladder); questo significa che McCarthy non ha il controllo assoluto sul progetto, che lavora, in estrema sintesi, su commissione, e ogni tanto si vede, perché The Prodigy è un horror molto tradizionale, anche un po’ prevedibile, quasi benedetto all’ultimo secondo da un finale magnifico, di cui si potrebbe discutere a lungo. È un buon horror, sia chiaro, ma non gode di una scrittura brillantissima e fatica un po’ a carburare nella parte centrale, con un paio di spiegoni di troppo che spezzano l’atmosfera. La sua salvezza, oltre al finale di cui sopra, sono le interpretazioni del cast e, più di altra cosa, la regia di McCarthy, che non sarà Flanagan, ma si difende lo stesso con onore.
Non so se lo avete notato, ma quest’anno i film sui bambini malvagi sono tornati di moda: abbiamo parlato poche settimane fa di The Hole in the Ground e siamo in attesa di vedere il film prodotto da James Gunn, Brightburn, che pare una versione “al contrario” della storia di Superman; nel mezzo, arriva The Prodigy, che affronta la tematica da un punto di vista più classico, quasi scontato, perché al di là del monologo esplicativo di un certo personaggio, il punto è sempre quello: il corpo e la mente di un bambino occupati abusivamente da un’entità niente affatto benevola. La natura dell’entità (che per ovvie ragioni non ho intenzione di rivelare qui) è intercambiabile e sposta solo di poco il fulcro del film, che è quello di due genitori (la madre, soprattutto, una bravissima Taylor Schilling) alle prese con una serie di comportamenti, da parte del loro amato frugoletto, dapprima solo appena devianti dalla norma e poi sempre più mostruosi.
Miles (Jackson Robert Scott, il Georgie di IT) è un bambino prodigio, impara a parlare prima dei suoi coetanei e viene mandato in una scuola speciale per piccoli geni, ma non lega con gli altri ragazzini e sembra avere qualche piccolo problema di empatia nei confronti del prossimo.
C’è dunque qualcosa di oscuro in lui sin dalla nascita, che assume caratteristiche più spiccate nel corso degli anni, fino a diventare preponderante, a rischiare, insomma, di “uccidere” il vero Miles e sostituirsi a lui.
Se la sceneggiatura porta avanti in maniera piuttosto fiacca questa trama che conosciamo abbastanza bene tutti quanti, per averla vista centinaia di volte da The Omen in poi, McCarthy e il giovane Scott ce la mettono tutta, e spesso hanno successo, per trasformare The Prodigy in un’esperienza di angoscia e terrore puri.
Miles, a differenza di molti “bambini demoniaci” fa davvero paura, e non perché dotato di chissà quale superportere, ma perché è un abile dissimulatore e simulatore, insomma, mente bene e non sei mai sicuro di avere di fronte il bambino o l’entità.
McCarthy, dal canto suo, trova sempre delle angolazioni interessanti per mettere in luce gli aspetti sinistri del suo Miles; lo fa sembrare più alto, più minaccioso, sfrutta l’eterocromia del personaggio per suggerire a noi con chi stiamo davvero parlando a seconda del lato del suo viso a favore di macchina. O forse ci inganna, chi può dirlo?
Ecco, ciò che spaventa davvero, in The Prodigy, è il costante stato di incertezza in cui ci mette McCarthy nei confronti del suo protagonista.
Il problema del film sta tutto nel fatto che, nonostante duri appena 92 minuti, si siede nella parte centrale e bisogna ringraziare la presenza di un ottimo attore, Colm Feore, a cui spetta l’ingrato compito di sganciare il temibile spiegone, se The Prodigy mantiene una certa credibilità fino alla sua conclusione traumatica.
Fortuna che McCarthy è bravo, e tira fuori dal cilindro una serie di sequenze ad altissima tensione, come quella d’apertura, la seduta di ipnosi cui Miles è sottoposto e l’incubo di sua madre, con tanto di citazione da Shock di Mario Bava, che maledetti a voi e a quando l’avete messa nel trailer, rovinando il jump scare migliore dell’intero film, quello più efficace, quello che proprio non vedi arrivare. A tal proposito, bisogna aggiungere che il film non abbonda affatto in salti sulla sedia, rumori improvvisi o impennate degli archi, ma mantiene un tono dimesso e sobrio per quasi tutta la sua durata, com’è tipico di McCarthy, che va pescare l’orrore negli interstizi del quotidiano e difficilmente si adagia su trucchi dall’effetto facile.
E poi c’è quel finale, capace da solo di rivalutare a posteriori un intero film di cui pensavamo di conoscere in anticipo ogni sviluppo narrativo, e invece McCarthy e, bisogna ammetterlo, la sceneggiatura, ci hanno giocato un brutto tiro, e noi ce ne rendiamo conto solo quando è troppo tardi. Nell’ultimo quarto d’ora, The Prodigy esibisce con orgoglio la sua bella R di Restricted, si scatena con un paio di inquadrature dove è il gore a farla da padrone e, forse, imposta anche le basi per una saga. Gli incassi del film sono stati, purtroppo, un po’ modesti, forse anche perché non è il solito prodotto realizzato sulla scia della Blumhouse, ma un film più oscuro, più violento, più doloroso, se vogliamo. Però la speranza di veder nascere una nuova icona c’è sempre.
Inoltre, questo film segna anche il ritorno sul grande schermo della rediviva Orion. Devo ammettere che rivedere il logo al cinema mi ha dato qualche brivido di nostalgia.
Insomma, se volete assistere a un bell’horror classico, con qualche difettuccio in sede di scrittura, ma con un tasso di perfidia e violenza superiore alla media di quello che normalmente arriva in sala, non lasciatevelo scappare.
L’ultima gif mi sembra una palese citazione del finale di Shock di Bava, fatto che mi suscita sentimenti ambivalenti nei confronti del film. Non pensavo di vederlo al cinema, però magari con i film a 3 euro fino a domani un pensierino ce lo faccio.
Lo è, è una citazione diretta e l’hanno anche messa nel trailer, perché sono degli stronzi col botto.
Già ripresa paro paro anche da Lamberto Bava in Ghost Son, tra l’altro 😉 Per il resto, il “soprannaturale” ritorno (alleluia!) di McCarthy su grande schermo mi sembra fortunatamente molto più all’insegna dei pregi che dei difetti…
Ottimo Lucia, lo metto in lista, 🙂
segnalo una serie di cui ne stanno parlando bene (io ancora non lo vista, ma ricupero)
Love Death and Robots (2019) su Netflix, 18 episodi
Una raccolta di racconti animati che abbracciano vari generi tra cui fantascienza, horror e commedia. 🙂 🙂