Assassination Nation

Regia – Sam Levinson (2018)

Un film che non capisci mai se sta prendendo per i fondelli te o se stesso, ma pur nell’intenzione dichiarata di non voler fare mai completamente sul serio, riesce a trattare argomenti serissimi, anche piuttosto bene. Certo, rischia di diventare un po’ didascalico, alle volte, ma è diretto da un ragazzo di poco più di trent’anni (Sam, figlio del grande Barry) e, mentre stavo lì a strabuzzare gli occhi per quanto diavolo è bravo, lasciavo passare qualche metafora urlata di troppo e qualche semplificazione. Ma chi se ne frega, pensavo, se questo gira così, può fare di me ciò che vuole.
Anche perché Assassination Nation non è un film che vuole andare per il sottile: è un ennesimo teen movie coi colori sparatissimi e il la necessità di tenere un ritmo forsennato, una delle tante variazioni sul tema dell’inferno delle scuole superiori, ma con una variante impazzita e, invero, molto interessante e, fino a qui, poco affrontata dal cinema, sempre teso ad attribuire colpe (o a dispensare assoluzioni) a una generazione che non ne può avere molte, se non altro perché, come dice anche la protagonista di Assassination Nation, Lily (Odessa Young), è arrivata da queste parti l’altro ieri e più di un tot di danni non può ancora aver commesso.

Chi invece di danni ne ha fatti e continua a farne sono i cosiddetti adulti, soprattutto quando vengono a contatto con un qualcosa che i ragazzini conoscono meglio di loro: internet e tutto quello che il suo uso comporta, come la scomparsa di quella cosa chiamata privacy.
Ora, immaginate un piccolo paese della provincia americana, il solito buco di merda in bifolcolandia di cui parlavamo anche lunedì, ma col nome molto indicativo di Salem, e immaginate che qualcuno cominci a mettere online il contenuto dei pc e degli smarphone di tutti i suoi abitanti, a partire dal sindaco e dal preside del liceo locale, fino a portare allo scoperto ogni più sordido segreto nascosto, non tanto bene, a dire la verità, in quegli aggeggi.
Cosa succede?
Una vera e propria caccia alle streghe, ove le streghe sono la già citata Lily e tre sue amiche.

Il linciaggio virtuale è una pratica molto nota in questo inizio di ventunesimo secolo. Quello che Assassination Nation fa è di trasportare il linciaggio su un piano molto più reale e concreto, fisico, e per farlo usa come ambientazione la classica piccola comunità un po’ isolata, dimenticata dalle autorità, le fornisce un comodo capro espiatorio (una sedicenne che ha inviato foto erotiche a un uomo sposato) e le fa dare il peggio di sé, costruendo un discorso sulla violenza che ha un impatto più elevato di un qualunque The Purge vi possa capitare sottomano. Se si esclude infatti il personaggio di Bex (interpretato dall’attrice transgender Hari Nef) nessuna delle quattro ragazzine coinvolte è propriamente una outsider o un’emarginata. Il loro peccato è, detta in parole più semplici possibili, quello di essere giovani e di essere donne.
E gli adulti, la “brava gente di Salem” si accaniscono nei loro confronti perché non hanno il coraggio di guardare ai loro, di peccati ed errori.

Che, detta così, lo so, sembra un drammone con tanto di messaggio incorporato, mentre invece Assassination Nation è, prima di tutto, un film divertentissimo e, a parte un momento nel finale (ma anche lì, il sospetto che Levinson ci stia prendendo per il culo è alto), sempre sopra le righe, sempre al limite della farsa, appena un po’ troppo indeciso se limitarsi a inanellare inquadrature, ralenty e velocizzazioni quanto più cool possibili, o a volersi interessare alla storia che sta raccontando e ogni tanto gli sfugge di mano.
Ma lo stesso, Levinson non si può definire a ragion veduta un “fighetto”: al contrario, è un regista che ha sempre un motivo per scegliere un certo tipo di taglio o di angolazione, che quando deve fare un piano sequenza lo fa con cognizione di causa (e che magnifico piano sequenza) e perfino quando si avvale di un vezzo molto caratteristico e particolare come lo split screen, ha delle profonde ragioni di carattere non solo estetico, ma emotivo e sì, anche narrativo che lo spingono in quella direzione.

Forse nella foga di un quasi esordiente, Levinson ha infarcito il suo film di un miliardo di cose, tutte insieme, e questo problema si avverte soprattutto nella prima parte del film, quella più confusa e anche più complicata da raccontare con la presentazione dei personaggi e del contesto in cui si muovono. Ma poi avviene un piccolo miracolo: il film comincia a respirare, si prende le sue pause, addirittura rallenta il ritmo, ed è lì che ti conquista per davvero, quando decide, dopo una partenza a razzo e troppo simile ad altri film basati sullo stesso “modello”, di darsi all’improvviso una calmata. Come se fosse diviso in tre parti, la prima più convenzionale, la seconda più d’autore e la terza esplosiva, Assassination Nation ha la rara virtù di coinvolgerti non solo a livello epidermico, ma in maniera più profonda, e questo grazie a una cura dei suoi personaggi, di Lily in particolare, che quando le cose cominciano a mettersi male, quando cominciano a volare i proiettili, quando i bravi cittadini di Salem prendono a sventolare i cappi e il linciaggio scende finalmente dal piano virtuale a quello reale, ormai ti sono entrati nel cuore e segui le loro vicende con un misto di esaltazione e sgomento.

Non so se la definizione adatta per Assassination Nation sia quella di “film generazionale”, anche perché mi sembra un po’ troppo trombona per un’opera così scanzonata e volutamente eccessiva. Eppure, insieme a Tragedy Girls, mi è parso uno sguardo attento, partecipe e, soprattutto, non giudicante, non basato sul dove andremo a finire, signora mia, ma su che razza di mondo di schifo stiamo abbandonando nelle mani di persone giovanissime a cui continuiamo a dare sempre la responsabilità della valanga di merda sotto cui sono nati. Valanga di merda creata da noi. Per questo il discorso finale di Lily riesce ad avere un senso, anche in mezzo al delirio imbastito da Levinson e nonostante ci sia sempre il sospetto del raggiro dietro l’angolo. Forse proprio perché resta il dubbio su quanto debba essere preso sul serio. In mezzo alla farsa, possono esserci frammenti di verità che colpiscono duro e sanno far male.

2 commenti

  1. Annarita · ·

    Un a pellicola che spiazza…parte quasi banale , un teen movie fatto e finito con i soliti segnali di inquietudine e di devianza, e finisce in una terribile – ed ottimamente resa- trucidità…ho molto apprezzato il ribaltamento dello stereotipo “adolescenti percolosi , adulti ragionevoli” l’ho trovato realistico, forse perché noi figli degli anni “anta”, non comprendendo il mondo dei millennials, lo temiamo (ché, si sa ,è l’ignoranza che genera la paura, ed è la paura che genera la violenza). Ho trovato molto buona anche la scelta di casting, in particolare il personaggio di Bex-Hari Nef che non credo di aver mai visto in un teen movie…

    1. Verissimo. Quella chiamata alle armi alla fine del film fa venire i brividi per quanto è ben indirizzata e per come pone il conflitto generazionale da una prospettiva molto diversa da come siamo abituati a concepirlo, Bex è il personaggio migliore del film.

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