Regia – M. Night Shyamalan (2019)
Io non so come sia andata davvero la faccenda Ubreakable – Split: può darsi che sia stata il frutto di un’attenta pianificazione durata diciassette anni o, molto più plausibile, può darsi sia stata una cosa dell’ultimo secondo, con Blum che dava di gomito a Shyamalan chiedendogli di telefonare al suo vecchio amico Bruce per fargli fare una piccola apparizione in Split; forse Shyamalan neanche pensava che si sarebbe sollevato un polverone di tali proporzioni, dopo una scena di una manciata di secondi in coda a un film che, senza quella piccolissima sequenza, si reggeva tranquillamente in piedi da solo. Sta di fanno che inserire Dunn in un frammento alla fine ribaltava la prospettiva con cui guardare Split: da horror soprannaturale a origin story di un super cattivo.
Però, a quel punto, Shyamalan non poteva più tirarsi indietro: doveva fare un terzo film che connettesse Split al suo capolavoro, era quasi obbligato, soprattutto con Blum al comando.
La domanda che mi sono posta, mentre scorrevano i titoli di coda di Glass sullo schermo della sala, è stata: “Ma Shyamalan questo film voleva davvero farlo?”
È una domanda che continua a ronzarmi in testa anche ora, dopo 48 ore dalla visione, perché Glass sembra un film stanco, triste, dimesso, perennemente sotto tono. Un film che, per essere davvero riuscito, forse avrebbe avuto bisogno di parecchi anni di lavorazione, mentre al contrario è stato gettato in pasto al pubblico in fretta e furia, com’è tipico della Blumhouse, il cui scopo principale era quello di capitalizzare sul successo inaspettato di Split. Questo non significa che Blum abbia interferito nelle scelte di Shyamalan: è noto che il regista ha sempre avuto carta bianca, da un punto di vista artistico, e quindi non sto affatto scaricando la responsabilità di una mezza delusione su Blum, che ha fatto semplicemente il lavoro per cui è diventato famoso.
È un problema, più che altro, di tempistiche, di logiche a cui Shyamalan raramente si è adeguato e sì, anche di budget, raddoppiato rispetto a Split, ma ancora ridicolo se paragonato ai settantacinque milioni con cui, diciannove anni fa, Shyamalan ha diretto Unbreakable.
Glass costa infatti appena venti milioni di dollari e temo che gran parte di essi se ne siano andati per pagare il cast. Questo spiega molte cose, come per esempio la quasi totale assenza di Bruce Willis in un film dove il protagonista dovrebbe essere Bruce Willis; ma soprattutto spiega come mai l’azione è sempre lasciata ai margini dell’inquadratura, sempre fuori campo, sempre fuori fuoco. Poi sì, è in situazioni di questo tipo che si nota quanto sia bravo Shyamalan nella messa in scena, perché adotta sempre soluzioni elegantissime per ovviare all’inconveniente.
Ma non puoi sempre giocartela con dei raffinati carrelli a precedere Samuel Jackson mentre alle sue spalle si scatena il delirio: devi riempire il film di qualcosa, devi raccontare quella che è una vicenda molto complessa senza uscire troppo in esterni che costa troppo, senza far menar troppo le mani a Willis che è vecchio, senza fare un uso spropositato di effetti speciali che poi Blum ti licenzia. E allora, che fare?
Dialoghi.
Due ore e dieci minuti di dialoghi, monologhi, spiegoni. All’improvviso, il cinema di Shyamalan si popola di personaggi logorroici che prima ti mostrano una cosa, poi te la spiegano e, infine, te la rispiegano mentre te la mostrano di nuovo.
Glass è un film dove parlano tutti, parlano in continuazione, parlano pure mentre muoiono e, se non parlano, ascoltano qualcuno che sta parlando.
Questo è il grande, diciamo pure enorme, difetto di un film che non è la spazzatura di cui molti stanno parlando in questi giorni, accusandolo soprattutto dei soliti “buchi di sceneggiatura”, quando in realtà la sua narrazione è molto coerente, per quanto sfilacciata perché spalmata lungo un minutaggio eccessivo (oltre le due ore). Ciò che viene definito buco di sceneggiatura fa parte della suddetta coerenza, perché Glass, molto più di Unbreakable, non ne parliamo di Split, ricalca la struttura di un fumetto e quindi anche il fatto che, di solito, il piano del cattivo è involuto, farraginoso ed estremamente complicato.
E forse, il problema relativo alla quantità spropositata di spiegazioni e dialoghi è legato, anche quello, alla volontà di Shyamalan di ricalcare il fumetto, soprattutto se di tipo supereoistico e legato a una certa epoca: anche lì la sovrabbondanza di esposizione la faceva da padrona, tanto che, se in una vignetta un personaggio prendeva a calci in culo qualcuno, ce n’era un terzo (o una didascalia alla bisogna) a spiegarci che si stavano prendendo a calci nel culo.
E la medesima cosa accade in Glass; faccio un esempio sciocco, l’unico che mi viene in mente senza rischiare di fare spoiler: sappiamo tutti che il punto debole di Dunn è l’acqua, giusto? Magari qualcuno non se lo ricordava, perché sono comunque passati tanti anni, quindi è giusto ribadirlo. Ma è necessario spiegarcelo, raccontarcelo, mostrarcelo e, in un momento cruciale del film, far dire ad alta voce a un personaggio: “Ehi, guarda, il suo punto debole è l’acqua perché da bambino ha rischiato di annegare”?
Ma siamo scemi o cosa?
Io apprezzo, davvero, il discorso personalissimo, da autore, che Shyamalan sta portando avanti su fumetti e supereroi dai tempi di Unbreakable, come apprezzo la sua scelta di frustrare ogni aspettativa che gli spettatori potevano avere in merito a Glass; apprezzo il coraggio di un film come Glass, il suo voler chiudere in maniera così anticlimatica da lasciarti interdetto. Applaudo a tutte queste prese di posizione perché sono radicali, estreme, in controtendenza con il cinecomic così come siamo abituati a concepirlo dopo dieci anni di MCU. Capisco tutto e credo che le intenzioni, dietro a Glass, fosse straordinarie, così come le ambizioni.
Ma temo Shyamalan sia andato a vuoto, un po’ perché non si può pretendere di compiere un’impresa epica con la realizzazione da horror da camera tipica della Blumhouse, un po’ perché sono convinta che il film, nato a furor di popolo, sia una forzatura, una cosa poco studiata, non completamente voluta e fatta di fretta, quasi controvoglia.
Voi lo sapete: non sono una fan di Shyamalan e non ho certo bisogno di difenderlo, anche perché non conto un cazzo e Sciammy neanche sa che io esisto, ma nel caso di Glass non me la sento di liquidare il film come una cagata; è piuttosto una delusione e un motivo di dispiacere, un film dove, disperso in mezzo alle elefantiache due ore e dieci, si intravede un nucleo interessantissimo, purtroppo polverizzato da tutto questo parlarsi e spiegarsi addosso.
Peccato, sul serio: i primi venti minuti o giù di lì sono straordinari, diciamo tutta la parte precedente il ricovero dei nostri nella struttura dove curano la sindrome che porta alcuni individui a credere di possedere dei superpoteri. Quei primi venti minuti sono tutto ciò di cui abbiamo bisogno per collegare Unbreakable e Split, potrebbero addirittura essere un cortometraggio avulso dal resto e funzionerebbero alla grande.
Anche l’idea delle velleità supereroistiche come disturbo psichiatrico è, a mio parere, eccellente, soprattutto oggi, quando gli eroi in tutina sono un elemento preponderante nella nostra cultura popolare.
Ma poi la dottoressa interpretata dalla sempre brava Sarah Paulson comincia a parlare, Elijah cominciano a parlare, tutte le decine di personalità di McAvoy (intenso, per carità, ma troppo sopra le righe, anche rispetto a Split) cominciano a parlare e il film annega in questo oceano di parole. E diventa noioso, anzi, peggio, sembra non cominciare mai sul serio.
Ora, la speranza è che, conclusa la trilogia voluta dai fan, Shyamalan si metta al lavoro su qualcosa di nuovo, di diverso, sia che trovi qualche produttore grosso disposto a dargli i soldi veri, sia che continui sulla strada dei bassi budget a braccetto con Jason Blum.
Perché, diciamo la verità, Shyamalan non è mai stato tipo da cinema seriale e, credetemi, questo è un complimento.
Sai che, pur avendo percepito questa sensazione di “dobbiamo fare il film il prima possibile!”, a me è piaciuto molto?
In gran parte perchè ho apprezzato il coraggio di una scelta impopolare e concettualmente opposta a quelle del MCU: concentrarsi sulla lentezza, sui dialoghi, sulle ripetizioni, sui momenti prevedibili che si trasformano poi in twist. Le lotte che tutti aspettavamo si svolgono fuori campo e a bassa intensità, è vero, ma a pensarci su anche questa mi sembra una scelta azzeccata: contrastare quella sorta di “pornografia della violenza” (perchè la violenza cartoonesca della Marvel questo è, pornografia mascherata) con una versione pudica, sporca e antispettacolare del combattimento.
I difetti ci sono, e a bizzeffe, ma devo confessare di trovare Glass un gran bel film.
Ma infatti, da un punto di vista concettuale, è tutto vero, per carità. Io ho delle grandi perplessità su come i concetti sono stati messi in pratica: anche Unbreakable non dava tanto spazio all’azione, ma lì mi è parsa una scelta stilistica, qui invece mi è sembrata più una forzatura dovuta alla povertà del budget. Anche perché è un film che si basa molto sul “facciamo vedere al mondo quello che siamo”, quindi il mostrare i super quando compiono le loro azioni è essenziale.
Assolutamente non d’accordo. Per me IL film di supereroi.
Per me poteva esserlo sulla carta, ma non nella realizzazione.
Visto proprio ieri sera, speravo tanto in una tua recensione per questa settimana (et voilà, eccola qua!).
Devo dire che avevo tante aspettative da questo film, avevo visto Split, poi ho recuperato Unbreakable e mi innamorai della mitologia tutta personale di Shyamalan sui fumetti. A me che di fumetti non me ne frega una ceppa…
Ammetto che il film mi è piaciuto, anche nella seconda parte, ma come hai detto tu, pare ci sia una forzatura di fondo che non è tipica del regista. Io ho avuto la sensazione di multipli Shyamalan twist, tutta roba che si aggiunge ad altra roba e ti manda all’altro mondo il cervello. Tutto molto affascinante perché il punto di vista è molto più “terreno” e meno da MCU, però ci sono un sacco di carne al fuoco e imperfezioni bruttine qua e là che non fanno di Glass un terzo capitolo come dio comanda.
A me Sciammy piace, ma non sto lì a difenderlo a spada tratta, perché quando piscia fuori dal vaso piscia fuori e basta, poche balle. Peccato, perché Glass non è brutto, è solo un po’ forzato e poco studiato.
Sì, quell’infilata di twist rapidissimi nell’ultimo quarto d’ora era effettivamente un po’ troppo. E Glass non è affatto brutto. Sono altri i film brutti. MI è solo sembrato decentrato.
non ci avevo pensato, ma la tua riflessione è molto interessante… e se la colpa fosse di Blum e non di Shyamalan, che l’ha prima spinto a mettere Bruce Willis alla fine di Split e poi a farne un sequel / crossover con una tempistica per nulla sensata?
potrebbe essere così in effetti…
ma se fosse così ci sarebbe l’ennesimo caso di un regista di belle speranze (lo Shyamalan degli anni a cavallo del 2000) fagocitato dai produttori selvaggi e vogliosi soltanto di denaro…
sta di fatto che Glass è una grossa delusione…
Però non credo sia “colpa” di Blum: è più che altro un problema di metodi di lavoro che, in questo caso, non potevano coincidere. Blum è pur sempre quello che a Shyamalan ha salvato la carriera, prima con The Visit e poi con Split
Per quanto mi attirasse l’idea di vedere David Dunn confrontarsi con Kevin Wendell Crumb, in quanto comunque plausibile -pure se certamente frutto di improvvisazione dell’ultimo secondo- che questi due superumani potessero condividere lo stesso universo narrativo, credo anch’io ci volesse molto più tempo per portare il loro scontro su grande schermo in maniera davvero soddisfacente, con quel necessario equilibrio fra azione e dialogo (anche in un’ottica personale Shyamalan sta trattando pur sempre di supereroi, che non possono -detto in soldoni- “solo” parlare o battersi fuori campo) che dalla tua rece purtroppo vedo mancare 😦 lo vedrò lo stesso, intendiamoci, ma certo con qualche aspettativa in meno rispetto a quelle che mi ero fatto ritrovando il vecchio Dunn/Willis alla fine di Split…
Guarda, è possibilissimo che io mi sbagli e che invece a te piaccia tanto: molti miei amici lo hanno apprezzato più di me. Forse mi aspettavo qualcosa di differente, meno didascalico. Perché le idee alla base del film sono ottime.