Regia – John Carpenter (1984)
Sono settimane che penso a quale film puccioso trattare qui per il post della vigilia e poi mi sono ricordata che non avevo mai parlato di Starman e mi sono presa a schiaffi da sola. Dovete sapere che, nonostante l’argomento principale del blog siano squartamenti, eviscerazioni e decapitazioni, io sono una che al cinema si commuove spesso e volentieri; soprattutto, adoro le storie d’amore e, se dovessi scegliere la mia coppia preferita del grande schermo, non avrei il minimo dubbio: Karen Allen e Jeff Bridges in Starman.
È un episodio un po’ anomalo nella carriera di Carpenter, che di alieni aveva già parlato con altri toni e intenzioni, con conseguente bagno di sangue di cui tutti siamo edotti. Dopo la batosta di The Thing, Carpenter dirige Christine (un altro dei miei preferiti) e poi si vede arrivare un’offerta per Starman, progetto in ballo dal 1980 e più volte abbandonato da almeno cinque registi, tra cui Tony Scott e Adrian Lyne.
La cosa divertente è che la Columbia aveva acquistato due sceneggiature molto simili tra loro, nei primi anni ’80: Starman e Night Skies. Entrambe raccontavano di una creatura proveniente da un altro pianeta, ma mentre Starman era indirizzato a un pubblico adulto, Night Skies era considerata una roba da bambini. La Columbia vende Night Skies alla Universal, che intitola il film E.T. e affida la regia a Spielberg. Il resto è storia abbastanza conosciuta.
E Starman?
A questo punto, il problema del copione di Starman è che somiglia un po’ troppo a E.T. e bisogna riscriverlo ancora, per eliminare tutte le similitudini possibili. Tra la moria di registi, tutti pronti a scappare a gambe levate da quello che pare un disastro annunciato, a qualcuno viene l’idea di fare una telefonata a Carpenter e il Messia accetta perché vede la proposta come un modo per, da un lato, liberarsi dalla nomea di regista buono solo a dirigere horror, dall’altro rientrare dalla porta principale nel giro delle grandi produzioni ad alto budget, strada sbarrata dopo La Cosa.
Singolare coincidenza che a tagliare le gambe a The Thing al botteghino fosse stato proprio E.T.
Carpenter, pur non apparendo tra gli autori della sceneggiatura, ha un mezzo colpo di genio, ovvero quello di trasformare il film in un road movie, allontanandosi così ancora di più dal rivale spielberghiano e imprimendo al suo film un’identità molto forte e peculiare, un tocco da cinema classico d’avventura americano, ma inserito in un contesto da storia d’amore fantascientifica.
Alla fine, Starman si rivela un buon successo di pubblico e critica, porta Bridges a ottenere la sua prima candidatura all’Oscar, genera addirittura una serie televisiva, e permette a Carpenter di essere rivalutato dagli studios, nonché di ottenere dei grossi finanziamenti per il suo film successivo, quel flop epocale di Grosso Guaio a Chinatown. Anche qui, il resto della storia lo conosciamo tutti.
Deve essere complicato, per un regista con un’etichetta così distintiva addosso, affrontare una storia come quella di Starman. Di solito, chi si dirige film horror come attività principale, tende a fallire quando si tratta di mettere in scena film, per così dire, mainstream. L’esperienza di Wes Craven è esemplificativa in tal senso. Ma Carpenter ha una formazione cinematografica nutrita dai generi classici e la cosa si nota, si nota la sua sterminata cultura, si nota il suo professionismo portato all’estremo, la sua capacità, infine, di girare qualunque cosa, anche la più improbabile, e portare a casa un lavoro dignitoso. Con Starman, tuttavia, siamo molto oltre il dignitoso; Starman è una delizia, un film dalla delicatezza e dal pudore rari. E io lo so che magari associare il termine delicatezza con uno che aveva, un paio d’anni prima, girato una scena in cui un massaggio cardiaco andava a finire in due braccia mozzate fa un po’ strano, ma Carpenter ha sempre mantenuto una certa distanza dalla materia narrata nei suoi film, e questo lo ha aiutato a non far degenerare Starman nello stucchevole, nell’eccesso di sentimentalismo cui una vicenda del genere potrebbe naturalmente prestarsi.
So che le lodi nei confronti di Carpenter si sprecano, ma molto spesso si sottovaluta la sua bravura nel dirigere gli attori. Starman è, infatti, un film di attori, che poggia la sua credibilità sull’interpretazione dei due protagonisti: se non funzionano Jenny e lo Starman, il film rischia di collassare; ho sempre trovato perfetto il modo di rappresentare un’entità aliena in forma umana scelto da Bridges e Carpenter per dar vita allo Starman, perché si trova spesso sul crinale della uncanny valley, soprattutto nei primi minuti del film. È evidente che non ci troviamo in presenza di un essere umano, ma di un qualcosa che lo sta imitando, anzi, che lo sta indossando come un vestito che gli sta anche un po’ stretto: il modo di camminare leggermente claudicante, i movimenti a scatti della testa, i tentativi di riprodurre una gestualità che, in quanto entità incorporea, l’alieno non conosce, tutto è reso in maniera molto sottile, quasi subliminale. Poi, mentre il film procede, lo Starman diventa sempre più umano, e anche questa trasformazione arriva al pubblico tramite tanti piccoli tocchi di classe di una recitazione sopraffina. Non c’è da stupirsi per la nomination all’Oscar, c’è da stupirsi che non lo abbia vinto Bridges.
Dal canto suo Allen è alle prese con un personaggio difficile, una vedova in lutto che si trova di fronte a una copia esatta del defunto marito e si innamora di un alieno che non rivedrà mai più. Non so voi, ma quel primo piano con cui il film si conclude, di lei che guarda l’astronave allontanarsi per sempre, ogni volta mi spezza il cuore.
Una storia d’amore, diretta da John Carpenter, dicevamo. Mi ricordo che da bambina lo guardavo spesso, senza avere la più pallida idea di di chi fosse Carpenter. È un ibrido tra i film per ragazzi che andavano forte negli anni ’80, con la tipica struttura a base di militari spietati che vogliono far fuori l’alieno e i due personaggi principali in fuga, e una storia di fantascienza più adulta, che tratta tematiche molto serie come l’elaborazione del lutto e la perdita irreparabile (e doppia, in questo caso) di chi amiamo. E ha, cosa molto comune nella filmografia di Carpenter, un sotto testo politico non proprio da buttare: lo Starman è arrivato qui sulla terra perché noi lo abbiamo invitato con il Voyager e la nostra unica risposta è prima sparargli addosso e poi perseguitarlo per tutti gli Stati Uniti, popolati quasi esclusivamente da bifolchi che hanno la violenza come unico linguaggio. Esemplare, in tal senso, è la scena del cervo morto e resuscitato dall’alieno, il momento in cui Jenny capisce di avere a che fare con una creatura straordinaria, potentissima ma innocua. Il momento in cui comincia a provare qualcosa per lui che, cinque secondi dopo, viene pestato dai cacciatori.
E poi c’è questa capacità straordinaria (e inaspettata) di Carpenter di trattare i sentimenti senza mai gridarli o sottolinearli, facendoli nascere con naturalezza e rendendoli vivi e reali. Jenny che passa dal terrore e dalla diffidenza al rispetto e, infine, all’amore, e lo Starman che si umanizza sempre di più, imparando a conoscere e a usare il suo nuovo corpo, in un percorso di crescita molto simile a un coming of age vissuto nell’arco di appena tre giorni.
Insomma, Starman è davvero un film raro, di quelli che oggi non ne fanno più, una delle rare occasioni in cui è lecito avvertire una fitta di nostalgia per un cinema scomparso.
Ed è un film perfetto per una vigilia pucciosa ma non stucchevole.
Mi piace augurarvi buon Natale con Karen Allen che guarda il suo amore andare via per sempre una seconda volta. Fate i bravi che questi due giorni, alla fine, passano in fretta.
Hai dimenticato di dire che la colonna sonora è da piangersi addosso copiosamente 😭. Film veramente bello, un Carpenter che non ci si aspetta. Delicato è la parola adatta e, sì, il primo piano finale è stupendo (come Karen Allen).
Auguri 🎅💀
Giusto, la colonna sonora che ti strappa via l’anima!
Tanti auguri anche a te! ❤
accipicchia, devo assolutamente recuperarlo. stavo appunto cercando qualcosa che rendesse più sopportabili questi due giorni, mi hai salvata in extremis.
auguri e (per quanto possibile :P) buone feste!
Sopravviveremo! Tanti tanti auguri!
l’ho appena finito di vedere. me-ra-vi-glio-so. mi hai fatto scoprire una piccola, grande perla *___*
Bellissimo! Lo ricordo con grande nostalgia… 😢 Quasi quasi…
Buone feste, comunque!
Auguri anche a te! E comunque Starman è perfetto per la vigilia.
Ecco, mi hai appena dato il consiglio perfetto per il film da rivedere (grandissimi Karen Allen e Jeff Bridges, nonché ulteriore prova del talento indiscusso di Zio John) per provare a superare indenne questi giorni… in pratica, per dare il meglio di noi stessi nelle situazioni peggiori, che è la cosa che lui trova più bella in noi, no? 😉
Ci si prova sempre, a dare il meglio. Non tutti i tentativi vanno a buon fine, ma ci si prova 🙂
Auguri ancora!
Un film che ci sarebbe stato bene in questa giornata, e di cui comunque prima o poi mi piacerebbe leggere un tuo pezzo è Always, di Spielberg. Buon Natale.
Prossimo Natale, Always per forza. Hai ragione, ci sta tutto sotto le feste!
Buon Natale a te. 🙂
Un film meraviglioso,che mi fece piangere calde lacrime quando lo vidi al cinema.. delicato e crudele,poetico è romantico..se penso a lei quando gli dice portami con te .mi si spezza il cuore..meravigliosa recensione.. auguri e grazie!