HHH: Gli Spettri del Capitano Clegg

 Regia – Peter Graham Scott (1962)

Siamo nel 2009 e io ho la sciagurata idea di andare in sala a vedere Halloween II di Rob Zombie; circa a metà di quello che, ancora oggi, fatico a definire un film, durante una festa per la notte delle streghe, si esibisce una band con un buffo nome: Captain Clegg and the Night Creatures. Se volete sentire il pezzo, lo trovate qui. Visto e considerato che il mio interesse per la puttanata di Rob Zombie aveva iniziato a scemare dopo i primi cinque minuti, il mio cervello se ne è andato per fatti suoi, cercando di ricordare dove diavolo avessi già sentito quel nome.
Torno a casa e basta una ricerca brevissima per sapere che si tratta del titolo di un film Hammer o, a voler essere pignoli, dell’unione di due titoli dello stesso film: Captain Clegg per il mercato britannico, Night Creatures per quello americano.
Al che la mia memoria si sblocca e capisco di aver visto il film in questione, quando ero molto giovane, ma l’unica cosa che riesco a richiamare alla mente con precisione sono i primi cinque o sei minuti: un marinaio lasciato a morire di fame e sete su un’isola e un povero disgraziato inseguito da degli scheletri a cavallo nella brughiera.
Ah sì, c’è anche il dettaglio di uno spaventapasseri che, all’improvviso, apre gli occhi. Credo che questa inquadratura in particolare mi abbia causato più di qualche notte insonne.
E tuttavia, all’epoca io Captain Clegg o Night Creatures che dir si voglia, non sono riuscita a trovarlo. L’ho fatto solo adesso, per questo speciale di Halloween.

Non c’è solo la Hammer dei gotici classici come Frankenstein, Dracula, La Mummia, L’Uomo Lupo, e Terence Fisher non è il solo regista ad avere fatto grande la casa di produzione inglese. In realtà, alla Hammer si realizzava un po’ di tutto, dagli thriller psicologici ai film d’avventura e Captain Clegg è un oggetto molto bizzarro: storia di pirati, contrabbandieri e fantasmi vendicativi, ma spesso assume quasi i toni di una commedia basata su truffe, inganni ed equivoci. Quel che ne esce è un film curiosamente compatto e divertentissimo, con un antieroe interpretato da Cushing, che va aggiunto alla sua galleria di personaggi che non si dimenticano.
Il capitano Clegg è un famoso pirata catturato e impiccato una decina d’anni prima che il film cominci (siamo nell’Inghilterra del XVIII secolo) e poi sepolto nella piccola città costiera di Dymchurch, dove si vocifera che la campagna circostante sia abitata dai “fantasmi della palude”, figure scheletriche a cavallo che si aggirano di notte a terrorizzare chiunque non si trovi al sicuro in casa.
A Dymchurch arriva il Capitano Collier, della marina di sua maestà, per indagare su dei sospetti di contrabbando di liquori che coinvolgono l’intero paesino.
E in effetti è così: Dymchurch è la culla del contrabbando di alcolici, organizzato magistralmente dal reverendo della chiesa locale, il Dottor Blyss, ovvero il nostro Cushing.

Un film che inizia con dei fantasmi a cavallo e la morte di paura di un uomo, prosegue così con un intera città che tenta di fregare un emissario della Corona affinché i suoi abitanti non finiscano appesi a una forca: tra marinai ubriachi, passaggi segreti, bare usate come casse di gin e whiskey pregiati, spaventapasseri animati, la marina britannica fa la figura di un branco di fessi e Cushing pare divertirsi un mondo a interpretare la mente dietro al traffico di alcolici, nascosta dentro i panni di un ironico e signorile reverendo di paese.
A tale proposito, è interessante notare come le recensioni dell’epoca non avessero colto affatto l’aspetto comico del film, e si fossero invece concentrate sulla violenza e la depravazione; roba di cui oggi non ci accorgiamo neanche, ma che deve aver fatto effetto sul pubblico e la critica contemporanei al film, perché venne messa sotto accusa una “ossessione per ferite, degradazione e morte” ormai quasi invisibile agli occhi di uno spettatore del 2018. 

Ma è interessante capire cosa ci fosse di così scandaloso in Captain Clegg per arrivare a definirlo degradante e, cercando di calarsi nel punto di vista di un critico dei primi anni ’60, di momenti quantomeno moralmente ambigui se ne trovano a pacchi, a partire dalla stessa ossatura della storia.
E qui bisogna fare un passo indietro, al 1915 per la precisione, e al primo di una serie di romanzi basati sulle avventure del contrabbandiere Dottor Syn scritti da Russel Thorndike, il primo dei quali fu la fonte di ispirazione per Capitan Clegg, anche se non dichiarata.
Proprio durante la pre-produzione del film, arrivò infatti la notizia che la Disney aveva acquistato i diritti del romanzo (cosa che la Hammer non aveva fatto) e stava per partire con una sua versione della storia, poi diventata The Scarecrow of Romney Marsh e andata in onda nel 1963 in tre parti in televisione.
Alla Hammer dovettero cambiare quasi tutti i nomi dei protagonisti, motivo per cui il dottor Syn diventa il dottor Bliss.
Ma, se il film tv della Disney è una trasposizione ufficiale del primo dei libri di Thorndike, la Hammer, pur essendone un’interpretazione molto libera, coglie il lato oscuro del personaggio di Syn (o Blyss) come la Disney non poteva, per ovvi motivi, fare. 

Cushing è l’eroe della nostra storia e, come ormai sarete abituati a sentirvi dire parlando di Hammer, questo non significa per forza che sia anche un personaggio positivo. Non lo è, è un pirata, un contrabbandiere, un truffatore e, all’occorrenza, anche un assassino. Ma attira su di sé una tale simpatia che, nel confronto finale con il capitano Collier (arrogante pezzo di merda, cui dà il volto in maniera perfetta Patrick Allen), si sta lì quasi a pregare che non gli succeda nulla di male e ne esca vivo.
Il barone Frankenstein è un villain al centro della scena, Van Helsing un eroe positivo e il dottor Blyss un antieroe in tutto e per tutto; spietato quando serve, ma capace anche di slanci di generosità e, soprattutto un collante e un simbolo per la cittadina dove vive. Ecco, forse ai critici dell’epoca non il concetto di un criminale che si trasforma in un punto di riferimento.
O forse il continuo prendersi gioco delle figure di potere, dal possidente locale agli emissari governativi era un po’ troppo da accettare.
E poi, come sempre, c’era il lato scabroso della vicenda, quello legato alla storia d’amore tra Oliver Reed e Yvonne Romain (che ne L’Implacabile Condanna, di Reed era la madre, anche se si vedevano mai in scena insieme), che hanno evidentemente una vita sessuale, sebbene non mostrata, mentre il laidissimo tutore legale della ragazza cerca di abusare di lei ogni cinque minuti.

Sì, alla fine Captain Clegg è un film sufficientemente depravato, nonostante non lo si possa catalogare nel genere horror soprannaturale. La presenza dei “fantasmi della palude” è accessoria e credo sia necessaria solo a inserire due scene spaventose all’inizio e verso la fine del film.
Se proprio dobbiamo inserirlo in un genere, Captain Clegg appartiene al cinema d’avventura: ha una storia avvincente e anche complicata, ma sono riusciti a incastrarla in poco più di un’ora e venti di durata, guadagnando molto in ritmo che, a differenza di molte produzioni Hammer, in particolare quelle dirette da Fisher, si mantiene elevato dall’inizio alla fine: succede sempre qualcosa, in Captain Clegg, c’è sempre un’urgenza, una macchinazione, un qualcosa da nascondere, e questo riguarda ogni attore in campo.
Funziona perché è un ingranaggio che procede spedito verso la sua inevitabile conclusione e, mentre ci arriva, regala un sacco di divertimento.
Manca inoltre quell’impressione, che purtroppo ogni tanto affligge i film Hammer, di set e costumi riciclati: Captain Clegg appare come un film molto più costoso di quanto realmente fosse, e questo grazie anche al lavoro di Arthur Grant, altro direttore della fotografia storico di casa Hammer, a suo agio sia con il bianco e nero sia con i colori.
Captain Clegg è una gemma nascosta nella filmografia della Hammer: non convenzionale, fuori dagli schemi, pregno di un senso dell’umorismo elegante, è un bel modo per conoscere una Hammer diversa, ma sempre ricca di fascino.

6 commenti

  1. Blissard · ·

    Sconoscevo completamente, dalla tua descrizione sembra fighissimo.
    Chissà che Roger Waters non abbia voluto omaggiare proprio questo film dando alla sua prima canzone antimilitarista il titolo Corporal Clegg…

    1. Sai che non ci avevo pensato? Potrebbe essere!

  2. Un paio di note volanti.
    La prima è che i romanzi di Thorndike si trovano gratis da scaricare sulle pagine del Progetto Gutenberg, e sono un concentrato di avventura, efferatezza e depravazione… beh, per gli standard del 1915. Molto diversi da entrambi i film, ma valgono decisamente la pena.
    La seconda è che naturalmente Zio Walt la storia del Dr Syn la presentò come una storia vera, sorvolando allegramente sul fatto che si trattasse di un adattamento di un romanzo, e facendoci persino uno speciale e mettendoci la faccia. Che simpatico cialtrone, eh, lo Zio Walt?
    C’è un articolo a riguardo su Book & Negative.

    1. Ecco, che scema che sono… Non so perché non mi era scattato il collegamento mentale tra l’articolo e il film.
      Sono rincoglionita, sarà l’età che avanza.
      Comunque almeno alla Disney avevano acquistato i diritti. La Hammer neanche quello 😀

  3. Giuseppe · ·

    In effetti i film pirateschi della Hammer tendono ad essere un tantino meno conosciuti rispetto agli altri: di questo, ad esempio, ho un ricordo giovanile piuttosto vago. Se non sbaglio, però, i “fantasmi della palude” oltre ad apparire pochissimo riservavano una sorpresina pure loro, alla fine (sempre legata a Blyss/Clegg)…

    1. Esatto: i sedicenti fantasmi della palude non sono quello che sembrano 😀

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