The Haunting of Hill House

 Regia – Mike Flanagan (2018)

When we die, we turn into stories, and every time someone tells one of those stories it’s like we’re still there for them. We’re all stories in the end.”

Credo che Shirley Jackson sia l’autore più nominato da queste parti; un modo molto elegante per dire che vi ho rotto le scatole a morte con lei. Il film di Robert Wise, del 1963, è uno dei miei paradigmi cinematografici, quello in base a cui giudico tutte le ghost story che vedo. Potete quindi intuire quanto sia importante la storia di Hill House per la sottoscritta e, se mi leggete da un po’ e sapete cosa penso di Mike Flanagan, potete immaginare la mia aspettativa sulla serie da lui scritta e diretta e disponibile su Netflix a partire da venerdì scorso. Non sono il tipo da “binge watching”, di solito. Ma per Hill House, mi sono letteralmente murata viva in casa e l’ho vista tutta in un giorno e mezzo e ora credo che la rivedrò da capo, centellinando gli episodi per comprenderla meglio. Si tratta di un’opera monumentale, l’apice di una carriera, a mio avviso, straordinaria, il testo definitivo del più importante regista horror contemporaneo.
Quando ho cominciato a vedere la serie, ero convinta che sarebbe stata un buon prodotto, ma niente e nessuno mi aveva preparato a una cosa del genere.

Flanagan è qui alla sua prima esperienza seriale (10 puntate) e alle prese con il romanzo fondamentale della narrativa gotica statunitense. Insomma, era un’operazione ad alto rischio: in questi casi è un attimo che ti ritrovi per le mani un pastrocchio fatto di cgi e jump scares. Ci siamo anche già passati e, sebbene molti abbiano rimosso, io non dimentico e ancora mi sanguinano gli occhi.
Ma Flanagan non è uno qualunque e si carica la baracca sulle spalle: regia di tutti e dieci gli episodi, sceneggiatura di otto, produzione esecutiva, controllo creativo totale sulla serie, cast selezionato di attori con cui ha già lavorato nei suoi film precedenti. Insomma, nonostante la distribuzione Netflix e la produzione Amblin e Paramount, The Haunting of Hill House appartiene a una sola persona: Mike Flanagan, ed è l’esempio perfetto di cosa significhi consegnare le chiavi di un progetto così ambizioso nella mani di un autore capace.
L’unico ruolo che Flanagan non ricopre, per motivi comprensibili, è quello di montatore, ed è un’eccezione pesante, perché lui monta tutti i suoi film. Solo che la regia e il montaggio di 10 puntate da 50 minuti è un’impresa impossibile anche per lui e, in questo caso, delega il lavoro a tre montatori diversi spalmati lungo gli episodi, anche se credo che abbia influito pesantemente sulle loro scelte, perché si riconosce lo stile Flanagan, soprattutto nel continuo botta e risposta, non alternanza, tra passato e presente.

The Haunting of Hill House non è né la trasposizione diretta del romanzo di Jackson né un remake allungato del film di Wise, ma una storia originale che si svolge a Hill House; pur rispettando appieno lo spirito del libro e mantenendo alcuni suoi elementi chiave (la tazza di stelle, i Dudley, le scritte sui muri, le statue, la scala a chiocciola nella biblioteca), se ne discosta completamente, per raccontare la vicenda di 5 fratelli, dei loro genitori e di un’estate, quella del 1992, passata tra le mura di Hill House e destinata a segnare le loro vite per sempre.
I fratelli Crain, ovvero Steve, Shirley, Theodora, Luke ed Eleanor (sì, se i nomi vi dicono qualcosa è perché avete fatto ottime letture) si ritrovano a Hill House perché i loro genitori (interpretati da Carla Gugino e Henry Thomas, nella versione giovane, e Timothy Hutton in quella anziana) hanno acquistato l’immobile allo scopo di ristrutturalo e rivenderlo.
Dopo circa otto settimane di permanenza tutt’altro che facile, in cui tutti i bambini, con l’eccezione del maggiore, Steve, sperimentano fenomeni bizzarri, i cinque fratelli si vedono strappar via dai loro letti in piena notte dal padre e portati via da Hill House, abbandonando la madre lì.
Sapranno poi che la donna si è suicidata a Hill House, ma nessuno di loro crederà fino in fondo a questa storia, anche perché il papà non ha mai raccontato a nessuno, neanche alla polizia, come si sono svolti davvero i fatti e questo gli è costato l’affidamento dei figli, cresciuti da una zia e diventati cinque adulti instabili, spezzati, con un rapporto complicato tra loro e inesistente con l’unico genitore sopravvissuto e ritenuto responsabile della morte della madre e del loro abbandono.

Questo  solo l’antefatto di The Haunting of Hill House, che narra quell’estate dal ’92 e le sue ripercussioni sul presente utilizzando in ogni episodio il punto di vista di un determinato personaggio, senza lasciare nessuno in disparte, ma approfondendone le vicende personali, non soltanto relative al soggiorno nella casa del titolo, ma donando a tutti membri della famiglia Crain respiro, introspezione e linfa vitale, tanto da farli sembrare non figure che si muovono su uno schermo, ma esseri umani veri, che se ti capitasse di incontrarli li abbracceresti e te li terresti stretti per tentare di lenire il dolore che li accompagna da sempre.
Il primo settore in cui questa serie brilla è appunto la scrittura dei personaggi e, a essa collegata, la loro interpretazione da parte degli attori. È vero che quando hai tale materiale a disposizione, è anche facile fare bella figura come attore, eppure qui ci sono dei pezzi di bravura da lasciar pietrificati e nessuna delle parti è facile da affrontare, neanche quelle più a rischio cliché, come il tossico Luke. Non riesco a scegliere un personaggio preferito o un attore preferito (ma voi, tenete d’occhio Lulu Wilson, che quando cresce diventa una diva), ed è anche questo il bello di Hill House: ognuno di loro ha qualcosa da raccontare, una storia personale che diventa famigliare e infine universale, un lascito che trascende l’orrore vissuto, va oltre le mura di Hill House e va a colpire i punti deboli dello spettatore, lì dove fa più male, lì dove si è più indifesi. Siamo tutti storie, alla fine, no?

Ho letto in giro che Hill House sarebbe un dramma mascherato da horror, ma non è così: Hill House è una serie gotica con tanti elementi di horror puro con al suo interno un nucleo drammatico, il che però non dovrebbe costituire chissà quale motivo di stupore: l’horror può essere benissimo un parco dei divertimenti, fatto di urla e cose che appaiono all’improvviso dal buio; però è solo un determinato tipo di horror, magari quello a cui il pubblico generalista è più abituato, o meglio, quello che il pubblico generalista identifica come horror senza conoscerlo sul serio. Non vi dovete stupire, quindi, se Hill House vi toccherà emotivamente o se vi lascerà, sul finale, accartocciati in un angolo del divano in un gomitolo di lacrime e sofferenza, perché l’horror, quando è bello sul serio, questi scherzetti te li combina.
Flanagan lo sa, Shirley Jackson e Robert Wise lo sapevano e la storia di Hill House, come tutte le storie di fantasmi, prima di essere una storia che fa paura, è una storia triste.
Flanagan ha colto in pieno la valenza umana ed emotiva del romanzo di Jackson ed è quasi un miracolo che sia riuscito a rispettarla fino in fondo, pur stravolgendone la trama e modificandone anche l’assunto finale (come non ve lo posso dire, dovete scoprirlo da soli).

Cos’è che ci spaventa? Cos’è un luogo infestato? Cosa significa infestato? Già Stephen King in IT dava una serie di definizioni, tra cui quella di “luogo dove si cibano gli animali”, perché il termine haunted, in inglese, possiede una molteplicità di significati; non solo infestato, ma anche perseguitato o soltanto frequentato, abitato.
Da cosa esattamente sia abitata Hill House, Shirley Jackson non lo spiegava con precisione, non per errore, ma perché è molto più pauroso riempire un contenitore con le nostre paure personali che averlo già pieno di orrori preconfezionati.
Flanagan fa la stessa cosa: Hill House è haunted, ma l’infestazione è, in un certo senso, personalizzata, ognuno ci trova e ci vede ciò che vuole.
Torna anche comoda la definizione kinghiana di haunted, perché Hill House è una bestia viva, è allo stesso tempo territorio di caccia e animale da preda che si ciba dei suoi abitanti.
Hill House ti prende e ti cambia, lo fa gradualmente, in maniera così subdola da fartelo capire quando ormai è troppo tardi e già le appartieni per sempre.
Ma cos’è che ci spaventa di più? A livello superficiale, è vero, una figura dal collo spezzato ferma ai piedi del nostro letto durante una paralisi notturna, o un uomo con un cappello, straordinariamente alto, che si china su di noi, tanto per fare un paio di esempi.
A un livello più profondo, invece, credo che crescere sia al primo posto, affrontare una realtà con le zanne e gli artigli pronta a dilaniarci non appena usciamo dalla rete di protezione offerta dai nostri genitori; dal punto di vista degli adulti, il terrore è offrire i propri figli in pasto a quelle zanne.
Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà e, se da bambini le condizioni di realtà sono relative, crescendo si avvicinano pericolosamente ai termini assoluti. Ergo la nostra sanità mentale vacilla sempre di più: soffriamo, ci sentiamo soli, incompiuti, facciamo del male al prossimo e ne riceviamo a nostra volta, mentre la realtà ci si chiude intorno come delle pareti sempre più strette, che alla fine ci schiacciano.
La realtà è un incubo da cui non possiamo svegliarci, da cui nessun genitore amorevole ci potrà difendere. Non esiste protezione sufficiente, non esiste affetto abbastanza grande, non esiste muro così resistente da tenere fuori la realtà. Prima o poi, ti piomba addosso e ti prende.
E Hill House, che è viva in condizioni di assoluta realtà, ed è quindi insana, terrorizza i suoi abitanti e li spinge alla follia presentando loro l’incubo del reale, o di un possibile reale che, prima o poi, dovranno affrontare.

Flanagan usa i trucchi tipici del genere horror: ci sono un paio di jump scares che proprio non vedi arrivare e alcune sequenze di orrore prolungato e insistito da togliere il fiato; ma soprattutto gioca con le paure quotidiane e sul modo in cui mettono alla prova i nostri affetti.
Le relazioni famigliari, soprattutto quelle tra fratelli, sono tema ricorrente nella filmografia di Flanagan dall’inizio della sua carriera (le protagoniste di Absentia erano due sorelle e una aveva un passato di tossicodipendenza) e qui si nota ancora di più l’importanza che l’autore dà a questo tipo di legame: è tutto lì, il senso di The Haunting of Hill House, in un amore complicato tra cinque persone che in un certo momento della loro vita si è rotto e adesso va ricomposto, perché ne va della loro vita.
I fantasmi del senso di colpa, del fallimento, dei tradimenti, delle aspettative deluse si incarnano nelle apparizioni spettrali di Hill House e i fratelli ne sono perseguitati (haunted), perché li affrontano da soli, senza il conforto e l’appoggio degli altri.
E non è sempre così, a prescindere da fantasmi e infestazioni? L’amore è forse quella cosa che permette di non farci vivere in condizioni di assoluta realtà e, se qualunque cosa cammini per i corridoi di Hill House, cammina da sola, non è detto che da soli dobbiamo camminare anche noi.
Il resto, come dice Eleanor, sono coriandoli.

45 commenti

  1. Salvatore · ·

    Lo sto vedendo in questi giorni, e devo dire che mi prende abbastanza bene.belle ambientazioni, bei dialoghi e qualche sobbalzo ci sta tutto.non ho letto il libro, non ho visto il primo film, ma ahimè ho visto il remake del 99…una ca…..ta pazzesca.comunque sempre ottimo articolo è sempre arguta nella lettura.

    1. Il film del ’99 è un insulto, una cosa che davvero mi domando chi mai abbia avuto il coraggio di girarla e proporla al pubblico…

  2. Il libro è un capolavoro di malinconia e tristezza. Io della Jackson ho letto solo quello e la Lotteria. Stupendi e indimenticabili. Come il film di Wise. Poi c’è stata la tragedia di un’altra trasposizione su schermo ma stendiamoci un velo pietoso. Non l’ora di vedere codesta serie. Trovo anche molto bello che Flanegan gli abbia dato uno sviluppo personale. Non sono un fanatico della fedeltà al testo, anche operazioni simili possono riuscire solo a grandi autori, come il buon Mike. Visto che non c’entra nulla col libro posso dire a mia moglie di veder la serie e poi leggerlo, quando finirà il suo mucchio di libri sul comodino.

    1. Guarda, di sicuro se hai letto il libro apprezzi di più certe cose della serie, certi snodi narrativi che sono presi di peso dal romanzo, ma Vale può guardare tranquillamente la serie (e amarla, come sono sicura che farete entrambi) senza conoscere il libro.
      Poi lo leggerà e amerà anche quello 😀

      1. Ma infatti lo guarderò. Il problema è che lo si deve fare di giorno… per cui sarà relegata ai fine settimana 😉

        1. Sì, lo si deve fare di giorno, almeno i primi cinque episodi, che sono i più classicamente spaventosi. Poi subentra altro!

  3. Blissard · ·

    Ora le aspettative per la serie saranno altissime, sono già in terepidazione.
    Se ho capito bene, scalza Sharp Objects dalla tua classifica dei serial del 2018?

    1. Allora, se devo essere oggettiva, Sharp Objects non è una produzione di genere, è chiaramente un lungo film d’autore di 6 ore e quindi ha un altro pubblico e altre ambizioni. Non so se è migliore o peggiore, di Hill House, ma quello che mi ha lasciato Hill House non me lo ha lasciato nessuna serie quest’anno, neppure The Terror, che è magnifica.
      In un eventuale podio, credo che Hill House, Sharp Objects e The Terror starebbero in quest’ordine.

  4. enricotruffi · ·

    La sto vedendo anch’io in questi giorni, e noto (con piacere) che Flanagan sembra sempre di più guardare al miglior Stephen King, anche se con il suo tocco così personale. Abbiamo il trauma condiviso di un gruppo di ragazzini, l’avanti e indietro fra passato e presente, il modo in cui gli spaventi prendono forma, alcuni dei temi trattati sia nei rapporti familiari sia nella delineazione psicologica dei personaggi. Se mantiene il livello (e credo che lo farà) sta insieme a The Terror sul podio, un anno incredibilmente fortunato per la serialità horror

    1. Sì, è vero: ha delle atmosfere kinghiane, e King viene anche citato direttamente in un paio di circostanze che ora non ti sto a dire perché non so dove sei arrivato e temo gli spoiler.
      Però non solo King: a me il tutto ha anche ricordato molto Ballata Macabra di Dan Curtis, e il romanzo da cui è tratto.
      È una sorta di compendio del miglior gotico americano, pesca anche da Matheson: ma non hanno pescato un po’ tutti da Matheson?

  5. Mike Flanagan, wow, aspettavo questa serie da molto tempo.
    Ho visto tutti i suoi film (grazie Lucia) e questa propria mi manca.
    Speriamo che le aspettative siano buone (sto evitando di leggere per non spoilerarmi), e non sia come quella merda di “Insidious” che ho avuto la pessima idea di guardare ieri

    1. No, guarda, ti assicuro che con Insidious non ha niente a che spartire. Io apprezzo Wan, ma lui e Flanagan sono proprio come il giorno e la notte 😉

      1. Ti credo, infatti di Flanagan mi sono innamorato di tutti i suoi film.
        Di Wan non conosco la sua filmografia, ma Insidious e’ una presa in giro per i puristi dell’horror, anche per via della sceneggiatura banale e scritta con i piedi.
        Domani comincio la maratona, solo pane e acqua.

        1. Insidious secondo me è girato alla grande ma scritto coi piedi. E i seguiti senza Wan sono anche peggio.

  6. Giuseppe · ·

    Qualsiasi buon prodotto a riguardo che possa far dimenticare l’incredibile ciofeca del ’99 è il benvenuto, e la serie di Flanagan (un nome, una garanzia) mi sembra un OTTIMO prodotto… mi chiedo solo quando riuscirò ad iniziare a vederla (causa arretrati, come sempre).
    P.S. Oso pensare che, come al sottoscritto, anche a Shirley Jackson sarebbe garbata assai la tua analisi riguardo all’assoluta realtà (compreso quell’amore che permette di affrontarla – NON da soli – facendocela sembrare un po’ meno assoluta)… ❤

    1. Lo spero, che le piaccia, altrimenti me la ritrovo come fantasma incazzato nero a tirarmi i piedi la notte 😀
      Che, non lo so, ma ho l’impressione che far incazzare Shirley Jackson non dovesse essere un’ottima idea 😀

      1. Giuseppe · ·

        No, proprio per niente 😀

  7. Ho visto le prime due puntate di fila ieri sera, poi sono andato a letto.
    Un incubo che termina con qualcosa che mi afferra da fuori le coperte mi fa svegliare, resto un attimo fermo lì a far sbollire, poi accendo il telefono: le tre e cinque.
    Rido perchè è assurdo, che ottima coincidenza.
    M’ha preso molto bene direi bella serie!

    1. Io non so con che coraggio sei riuscito a riaddormentarti, se ci sei riuscito 😀

      1. Quanta più paura fa qualcosa che farebbe meno paura quando è resa in una situazione cui puoi sentirti partecipe? Con persone che riconosci come vere, vive?
        È sempre la solita storia, ma quando te la trovi evidente davanti agli occhi…
        Un “jump scare” mi fa, letteralmente, saltare sulla sedia. Una bend-neck lady, Nell e Arthur, mi spaventa e lasciano strascichi.

        Se posso fare un accostamento casuale, è il bello del King in forma, creare un ambiente in cui l’orrore possa proliferare.

        1. p.s.
          ed è pure riferito a un fatto, “la felicità vive di istanti, il dolore nel tempo”, uno spavento che si esaurisce nell’istante in cui avviene non ha corpo; un qualcosa che ti accompagna, di cui senti la presenza e sai di non aver scacciato, e non poter scacciare con una -soluzione-, l’è ‘na bruta bestia.

          1. Eccheccavolo, scusa, ma sono alla puntata 6 con il piano sequenza. Eccheccavolo.

          2. No, no, non chiedere scusa. Anche io sono giorni che rompo le scatole al mondo intero su questa serie e non riesco, letteralmente, a parlare d’altro.
            La sto rivedendo per la terza volta di fila e non mi stanca mai!

          3. “…Walls never work that way”

  8. The Butcher · ·

    Basta! Questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Ora me lo vado a vedere e che sia benedetto Flanagan! Stupenda recensione, si vede che ha toccato del corde profonde.

    1. Sì, tocca delle corde profondissime da subito. Più ci penso, più credo si tratti di un capolavoro.

  9. Salvatore · ·

    Capolavoro assoluto.bellissima seria. Non manca nulla.il monologo nella stanza rossa di nelly è da pelle d oca.cosigliatissima

  10. Salvatore · ·

    Capolavoro assoluto.bellissima seria. Non manca nulla.il monologo nella stanza rossa di nelly è da pelle d oca.comsigliatissima

  11. Vittorio Cugnolio · ·

    Bellissima veramente così ricca di riferimenti e di analisi dei personaggi che mi sa meriterà una seconda visione. Mi ha anche fatto venire in mente “My Amityville Horror” per come i bambini ormai adulti devono gestire gli accadimenti traumatici dell’infanzia, sopratutto nei personaggi dei fratelli più deboli che non hanno retto al peso degli eventi; in quel caso si trattava di un falso ma le conseguenze per il protagonista del documentario erano state devastanti

    1. Sì, hai ragione, ci ho pensato anche io. Le conseguenze su dei bambini che si trovano a vivere quel tipo di avvenimenti sono sempre terribili, che si tratti o no di un falso.

  12. Finita oggi. Forse una delle serie più belle mai viste. Di sicuro, quando mi sarò ripreso, scrivere due righe a riguardo ma soprattutto di sicuro la riguarderò e ci troveremo altri spunti, altri particolari, altro da dire. Bella, bella, bella.

    1. Io la sto rivedendo, centellinandola: un episodio al giorno e basta, perché la prima volta l’ho divorata in due giorni 😀

  13. Daniele · ·

    Se non è un capolavoro ci va molto vicino, di sicuro l’ennesima prova del talento di Flanagan, la summa del lavoro del miglior regista horror contemporaneo. Avendo diviso la stagione “a due a due”, l’accoppiata episodio 5 e 6 è stata una delle cose più belle e sconvolgenti degli ultimi anni, e finalmente qualcuno che non abusa di jump scares, ma quando li usa provoca brividi dietro la schiena e non risatine come succede il 99 % delle volte. E ne approfitto per ringraziarti, senza le tue recensioni non so se avrei recuperato tutta la sua filmografia (soprattutto Absentia che ho adorato), quindi grazie per avermi e averci fatto scoprire questo fantastico regista.

    1. Ma figurati: per me è un piacere e un onore diffondere la filmografia di Flanagan.
      Credo che non ci sia un regista di genere migliore in circolazione, oggi.

  14. Blissard · ·

    Sono alla settima puntata, la sto centellinando perchè emotivamente è il corrispettivo di un tram che ti viene addosso mentre sei di spalle.

    1. Un tir a 18 ruote 😀
      Io ho fatto l’errore di guardarla tutta di fila e mi ha davvero lasciato qualche cicatrice.
      Ora sto cercando di rivederla, ma con un minimo di disciplina: un episodio al giorno.

      1. Blissard · ·

        L’unico vantaggio del binge watching, nel caso di THoHH, è che si supera presto il trauma della prima puntata, nella quale non si capisce quasi niente e, come se questo non bastasse, alla fine ti colpisce con un colpo basso in grado di regalarti notti insonni.
        Per il resto, invece, centellinare per me è l’unica opzione. La sesta puntata, ad esempio, è soffocante e non vedi l’ora di uscire da quella camera (e da quella casa, in parallelo), poi scopri che ti tocca ritornarci anche nella settima… no signori, io emotivamente non me la sento, chiamatemi pure codardo, ma non reggo proprio….

        1. Tu hai perfettamente ragione. Io proprio non sono riuscita a smettere. Stavo male, dovevo tenere tutte le luci accese, eppure andavo avanti come se fossi in trance. UN’esperienza molto strana.

  15. Blissard · ·

    L’ho finita.
    Non credo di avere nè gli strumenti nè tantomeno la credibilità per recensire un’opera del genere, che rappresenta – come scrivevi tu – non solo quanto di più “definitivo” Flanagan abbia mai realizzato, ma anche un compendio di situazioni kinghiane (elementi da It, La zona morta, Shining, persino Eddie de La torre nera) che si incanstrano alla perfezione – grazie al magistrale, vorticoso susseguirsi dei piani temporali e spaziali – con la struttura del romanzo di Shirley Jackson. C’è persino un fugace, bellissimo omaggio a Lovecraft. Tutta roba che non posso analizzare a mente fredda perchè a me molto vicina.
    Non sono completamente plagiato, ho rilevato anch’io momenti faticosi, un ricorso martellante ai dialoghi, la necessità di uno snellimento (in teoria almeno due puntate, se non tre, potevano essere accorpate in una); però faccio fatica a immaginare la serie diversa da come effettivamente sia.
    Quindi, mi adagio sul puro piano emotivo, the rest is confetti.

    1. Esatto: logico che su 10 puntate qualcosa non sia perfetta (lavoro nell’ambito, ho fatto parecchie serie e succede sempre), ma ha un impatto emotivo così alto che alla fine neanche ci fai troppo caso.
      Poi è anche vero che Flanagan, di suo, è un regista verboso. Ma va benissimo così, the rest is confetti.

  16. Per il momento posso dire capolavoro..e ottima recensione come sempre!.. grazie Lucia 👍

  17. Alberto · ·

    Mi è piaciuta, ma non mi ha toccato il cuore, non so nemmeno bene perchè. Forse troppe parole, e groppi alla gola emotivi non sempre utili, in qualche modo insinceri. L’ho vissuto come certi racconti di Poe, abili costruzioni dalle quali non vengo quasi mai risucchiato. La bambina, Luke Wilson dico, è un angelo, l’unico personaggio a cui mi sono davvero affezionato. Non ti dico a cosa mi ha fatto pensare il finale aperto se no mi meni. Forse mischio banane con pere, ma ho trovato molto più horror e coinvolgente, a suo tempo, Tredici – la prima stagione. A quello sì, ci penso ancora.

    1. Blissard · ·

      Sui groppi alla gola “non sempre utili” ti seguo perfettamente, del resto è uno dei difetti imputati più spesso ai romanzi di (e conseguentemente alle opere tratte da) Stephen King. Ma come per King non credo siano insinceri, credo al contrario che siano talmente sinceri da essere fastidiosi; però, a vederla da un’altra angolazione, è anche uno degli elementi che rende la serie più intensa, perchè a chiudere con cinismo siamo bravi tutti, per farlo con uno (pseudo)lieto fine ci vuole più coraggio e personalità.

  18. Finalmente sono riuscito a liberarmi dagli impegni e iniziare questa serie.
    La partenza e’ stata un po confusionaria, per via dei salti temporali, pensavo che i personaggi erano ambientati nella stessa epoca, poi andando avanti i tasselli hanno cominciato a incastrarsi. Che dire, e’ ancora presto per esprimere un parere, sono ancora alla seconda puntata, ma gia’ la amo, la regia di Flanagan non delude, la sceneggiatura e’ solidissima. Mi aspetto meraviglie (non ho letto i commenti per non spoilerarmi), giudizo finale a fine visione, ma gia’ il punteggio e’ alto.

  19. “Sono stata sempre qui, ma voi non riuscivate a vedermi”

    “…l’ho toccata. E non ho sentito… …niente.
    E questo niente si è diffuso ovunque dentro di me finché non sono più riuscita a sentire niente.
    Ero come in un buco nero, vuoto e oscuro.
    E mi sono trovata a fluttuare in questo oceano di niente.
    E mi sono chiesta se è così, la morte.
    Un’immensa oscurità. Oscurità, torpore e solitudine.”

    Capolavoro assoluto, la bellezza di questa serie ha qualcosa di indescrivibile.
    La regia di Flanagan e la sceneggiatura non tralasciano niente, tutto si incastra alla perfezione, il passato e il presente sono collegati con gli stacchi dal passaggio dei protagonisti da età adulta a bambini, e viceversa.
    Gli attori sono tutti al top, restituiscono a ogni personaggio una loro personalità e uno spessore piscologico molto profondo, cosa molto rara di questi tempi nelle serie tv e al cinema (mi riferisco a quella cazzata di film Insidious, da molti ritenuto il miglior horror, seguito dai altri ancora peggio, ma andate…)
    Carla Gugino , Elizabeth Reaser, e Kate Siegel avevano già recitato in altri film di Flanagan
    Non ho letto il libro di Shirley Jackson e non so se la trama e uguale alla serie, ma caspita il regista ha fatto un ottimo lavoro, ho letto in giro che Stephen King lo giudica “uno dei più importanti romanzi horror del ventesimo secolo”.

    E adesso cominciano ad analizzare le cose che non mi sono piaciute.

    Dicevo all’inizio, Capolavoro assoluto, si è vero.
    Ma fino all’episodio otto.
    Poi la rovina, finale senza senso e cose non spiegate lasciate a metà, la stanza rossa, perche’ accadeva questo, era un sogno o la realta’, niente.. che peccato, poteva essere una delle serie più belle degli ultimi anni, Flanagan non ha mai sbagliato un film (ho visto tutta la sua filmografia) ma gli ultimi 2 episodi sono veramente brutti, non so’ se per scelta registica, di sceneggiatura o imposizione della produzione (Netflix).

    voto 8

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