1939: Il Mastino dei Baskerville

 Regia – Sidney Lanfield

“Murder, my dear Watson. Refined, cold-blooded murder.”

Il mio amico Davide, in questi giorni, sta parlando molto spesso di Sherlock Holmes sul suo blog Karavansara, e io mi ritrovo, dopo la pausa estiva, a cominciare l’ultimo giro di film della rubrica più longeva e fortunata de Ilgiornodeglizombi, proprio con il primo dei quattordici film che videro protagonista, dal 1939 al 1946, Basil Rathbone nel ruolo di Holmes. Ho anche fatto i compiti: non leggevo Conan Doyle dai tempi della scuola media e, prima di guardare Il Mastino dei Baskerville, ho recuperato il romanzo da cui è tratto e l’ho riletto in treno, andando al lavoro la mattina, perché io le cose le prendo sempre, tremendamente sul serio e mi sarebbe parso brutto avere solo un vago ricordo del libro.

Quattordici film, dicevamo: i primi due mantengono l’ambientazione vittoriana dei testi a cui sono ispirati e sono grosse produzioni della Fox, proprietaria dei diritti del personaggio; poi, a causa di una controversia con gli eredi di Conan Doyle, lo studio abbandona del tutto il povero Holmes, anche perché, con la Seconda Guerra Mondiale alle porte, quelle di un investigatore nella Londra dei primi del ‘900 non erano storie con una grossa presa sul pubblico. Rathbone e Nigel Bruce, nel ruolo di Watson, continuano a interpretare i loro personaggi alla radio, fino a quando la Universal non trova un accordo per acquisire i diritti del personaggio, rimette sotto contratto i due attori e chiude un contratto per produrre tre film di Sherlock Holmes l’anno. Questa volta, non si tratta più di cinema di serie A, ma di piccole produzioni di serie B e l’ambientazione viene spostata avanti nel tempo, con i nazisti come principali avversari del detective.

Per molti anni, il volto di Rathbone e quello di Sherlock Holmes si sono sovrapposti nell’immaginario collettivo e Rathbone rimane, ancora oggi, l’attore ad aver interpretato il ruolo più volte. Tra le centinaia di adattamenti del personaggio su piccolo e grande schermo, Il Mastino dei Baskerville resta uno dei più fedeli e riusciti. Fa sorridere ora pensare che la Fox avesse scelto di far apparire per primo, nei titoli di testa, Richard Greene, che interpretava il giovane Henry Baskerville, e Rahtbone solo come secondo nome.
Avevano paura che il film non avrebbe avuto successo, e puntarono tutto sulla sotto-trama romantica, a cui viene dato anche uno spazio spropositato sulla locandina che vedete in testa al post.
La love story tra Baskerville e Beryl Stapleton è in effetti una delle modifiche principali apportate dal film al romanzo, mentre per il resto, la trama ricalca a grandi linee quella del testo di Conan Doyle, con tre o quattro innocui aggiustamenti, volti a semplificarla il più possibile.

La differenza più macroscopica è il personaggio di Watson, che qui fa la spalla comica e che continuerà a farla per tutti e quattordici i film della serie.
Ma tutti voi (quattro, credo) vi starete chiedendo cosa ci fa una storia di Sherlock Holmes in una rubrica che si occupa della storia del cinema horror.
In realtà, Il Mastino dei Baskerville ha il tono e l’atmosfera di quel vecchio filone di horror, spesso imbastardito con la commedia, noto come old dark house, dove spesso si indagava su un presunto fenomeno soprannaturale destinato poi ad avere una spiegazione molto prosaica. È il caso della leggenda del malefico cane che perseguita i Baskerville da generazioni, dal XVIII secolo per la precisione, e che pare aver causato la morte di svariati signori del castello immerso nella brughiera.
E la brughiera è una old dark house su scala più ampia, messa in scena col il gusto tipico dei classici horror Universal, presentata con la stessa aura di inquietudine e mistero, poi dissolta dall’intervento della spietata logica di Holmes.
Certo, nel film, per ovvi motivi di effetti speciali (della mancanza di essi, in realtà), il mastino è un semplice cane e non la bestia abnorme, resa tale dai trucchi ottici del vero colpevole, che terrorizza tutti nel romanzo. Ma il risultato non cambia: l’orrore può sempre essere spiegato con una bella iniezione di pensiero razionale.

C’è un dettaglio presente nel film e assente nel libro, quello della seduta spiritica, che sembra messo lì appositamente per suggerire l’appartenenza de Il Mastino dei Baskerville al filone old dark house. È una sequenza smaccatamente horror in una storia che horror non è, ed è sinistra ed efficace nel suggerire una qualche presenza ultraterrena, senza tuttavia renderla esplicita. Quando la signora Mortimer (la moglie del medico che si è rivolto a Holmes per indagare sulla morte del signore di Baskerville e proteggere il suo giovane erede) si rivolge, in trance, al defunto e gli chiede chi lo abbia ucciso, l’unica risposta è un ululato proveniente dalla brughiera. Poco dopo, Holmes comparirà sulla scena (fino a quel momento c’era Watson da solo) e risolverà il mistero, una tipica storia di avidità, spogliandolo dall’alone leggendario e riportando tutti sulla terra.

Il film ebbe uno straordinario successo, e piacque persino alla critica inglese: “The Americans have done right by Conan Doyle!”, titolavano, non senza un certo stupore, i giornali britannici; le lodi per Rathbone furono unanimi. Era il miglior Sherlock Holmes mai apparso sullo schermo, e se volete proprio sapere come la penso, non credo ne esista uno, ancora oggi, in grado di reggere il confronto con lui.
A parte Rathbone, quello che di sicuro contribuì ai riscontri positivi e al gradimento del pubblico fu l’autenticità del film; ovvio che, visto con gli occhi di uno spettatore odierno, l’impressione sia differente, ma se proviamo a calarci un istante nei panni, e negli occhi, di chi frequentava le sale alla fine degli anni ’30, lo sforzo produttivo alla base de Il Mastino dei Baskerville, è tale che la brughiera sembra reale, la ricostruzione storica degli ambienti, dei costumi, delle scenografie, è curatissima, cosa non comune all’epoca per delle storie di detective, relegate nell’ambito della serie B girata in studio con tre lire. Il Mastino dei Baskerville è un colossal, realizzato per un pubblico esigente, un adattamento colto e messo in scena con ironia  e intelligenza, un tributo raffinato e, allo stesso tempo, pieno di appeal commerciale, all’opera di Conan Doyle.

Per il 1949 non c’è niente, ma proprio niente, da segnalare. Dobbiamo quindi saltare di un decennio e arrivare dritti al 1959, dove troviamo la bellezza di tre film: si parte con La Mummia di Terence Fisher, quello della Hammer con Christopher Lee e Peter Cushing; si prosegue con Un Secchio di Sangue, del nostro eroe Roger Corman; per finire, abbiamo un altro eroe del blog, ovvero William Castle, con il suo The Tingler.

 

 

7 commenti

  1. Il film riesce a rendere scorrevole quello che, nel romanzo, l’assenza di Holmes per quasi metà della narrazione rende piuttosto noioso.
    La questione della parentela di Holmes con l’horror è interessante – l’altro grande Holmes del cinema è dopotutto Peter Cushing, ed anche lui se la vide col Mastino, e anchein quel caso l’elemento orrifico era notevole. Potrei farci un post, in effetti.
    Interessante poi il discorso del miglior Holmes.
    Rathbone è assolutamente il più iconico degli holmes cinematografici.
    Purtroppo non c’è partita con Jeremy Brett, ma visto che non consideri la TV, temo la questione resterà aperta.

    1. Infatti è colpa mia, perché avrei dovuto specificare “del grande schermo”; non è che non considero la tv, è che tendo spesso a separare le due cose, anche se, nel caso di Rathbone, con ben 14 film a interpretare lo stesso ruolo, si può parlare tranquillamente di serialità.

  2. Adoro questa rubrica, Lucia (adoro tutto il tuo blog, in realtà), complimenti! Ma… sbaglio o hai saltato il 2008?

    1. Grazie ❤
      No, il 2008 c'è ed è anche ripetuto due volte, perché questo è il secondo giro della rubrica, che ormai va avanti da circa sette anni. Infatti ho un certo senso di vuoto a pensare che tra poco finirà.
      Il 2008 è presente con Martyrs e con Lake Mungo 😉

  3. […] of The Hound of the Baskervilles, featuring Basil Rathbone and Nigel Bruce. You can find the post here, and read it through the usual Google Translate thingy. It’s excellent, and it raises an […]

  4. Giuseppe · ·

    Tutti noi cinque, volevi dire 😛 E non troviamo affatto strana la presenza su queste pagine del Mastino, visto il suo innegabile potere di suggestione ultraterrena/orrorifica pur se alla fine “debunkata” implacabilmente dal grande Sherlock Holmes (ottimo Rathbone, senza dubbio, come negli equivalenti panni televisivi lo è stato anche Brett) 😉
    Nella tripletta per il 1959 c’è proprio quella Mummia che mi aspettavo ci fosse, ragion per cui (non me ne vogliano i degnissimi Corman e Castle) la mia preferenza andrà a lei…

  5. Il mio voto (Tardivo) a un secchio di sangue, so che non avrebbe mai potuto vincere un sondaggio contro La Mummia

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: