Regia – Jacopo Rondinelli (2018)
Una gran bella botta di adrenalina e un esordio eccellente: questo dovrebbe bastarvi ad andare in sala e dare una possibilità a un film italiano che cerca di essere diverso e coraggioso. Ride è un esperimento, un film girato quasi tutto con una serie di Go-Pro, alla maniera di un found footage, ma meglio di un found footage, perché realizzato per far sentire allo spettatore tutta la frenesia di una gara di downhill in bicicletta. È quindi, prima di tutto, un film d’azione e, in seconda battuta, un survival horror. E, se la prima componente prevale sulla seconda e funziona anche meglio, non mancano i bei salti sulla sedia e i momenti in cui si suda freddo.
In poche parole, e al netto di un paio di difettucci nel finale, è bellissimo e voi dovete andarlo a vedere e riempire le sale, perché se lo merita.
Protagonisti di Ride sono Max (Lorenzo Richelmy) e Kyle (Ludovic Hughes), due amici ciclisti acrobatici e appassionati di imprese estreme, tipo arrampicarsi sui grattacieli. Entrambi hanno bisogno di soldi, Max a causa di un debito da gioco e Kyle perché la moglie minaccia di lasciarlo e portarsi via la figlia se non mette la testa a posto e non si trova un lavoro vero.
Ricevono l’invito a una gara segretissima, con in palio una grossa somma di denaro. Kyle, più posato e serio del suo amico, è dubbioso se accettare o no, mentre Max, che non solo è più matto, ma anche chi vuol fargli la pelle se non restituisce subito il debito, spinge per partecipare.
Alla fine partecipano e ai due bastano poche ore per capire che questa non è una gara come tutte le altre e che, molto probabilmente, in palio c’è la loro vita.
Dietro al progetto Ride ci sono i due Fabio di Mine, Resinaro e Guaglione, che hanno scritto il film e lo hanno prodotto. L’intenzione, in teoria, è quella di dar vita a una factory con giovani registi per provare a scuotere un po’ questo cinema italiano che non sembra voler uscire dai facili binari della commedia e del drammone borghese. Insomma, c’è il tentativo lodevole di rianimare un cadavere con una bella iniezione di cinema di genere che, lo abbiamo detto tante volte, possiede una vitalità selvaggia che soltanto in Italia viene snobbata, come se essere vitali equivalesse a comportarsi male, come se il genere fosse un bambino che vuole giocare ai giochi degli adulti. Ma se persino la Tunisia si presenta al festival di Venezia con il suo primo horror, è evidente che la musica sta cambiando un po’ in tutto il mondo.
E pure da noi, che siamo refrattari al cambiamento da sempre.
Quello che stupisce di Ride è che non lo si può assimilare ad alcuna tradizione cinematografica nostrana, neanche a quella del cinema di genere degli anni ’70-’80, del quale non ha niente, neanche la più piccola citazione per far felici i nostalgici all’amatriciana.
Ride è un film modernissimo e scatenato, che ha come maggior pregio un ritmo in continua ascesa, senza neanche un istante di pausa.
La scelta di girare il materiale con le Go-Pro si rivela strategica per l’andamento forsennato del film, perché la loro maneggevolezza e la possibilità di posizionarle ovunque permette di avere una frammentazione pressoché infinita di punti di vista e quindi di poter procedere con un montaggio rapidissimo che, una volta tanto, non fa diventare il film confusionario, ma accresce il senso di pericolo, e ti fa percepire la velocità delle biciclette come se in sella ci fossi tu. Forse tutto questo è meno efficace quando Ride sveste i panni dell’action puro ed entra nei territori dell’horror, ma c’è per esempio una sequenza, ambientata in un bunker, che vi farà affondare le unghie nelle poltrone del cinema per la tensione che si accumula e cresce istante dopo istante.
La gara a cui partecipano Kyle e Max è del tipo “pedala o crepa” e rimanda a uno schema sperimentato da cinema e narrativa svariate volte, a partire da La Pericolosa Partita, con qualche reminiscenza di Hostel, ma senza la componente torture porn.
Gli scenari sono quelli delle montagne del Trentino, molto suggestivi e anche ben sfruttati. La regione non viene mai nominata direttamente, perché i personaggi non sanno dove si trovano e Max fa riferimento, in maniera generica, alle Alpi, ma anche questa è una nota di merito, perché porta il film in una dimensione altra, che è la nostra realtà e allo stesso tempo non lo è, mentre la situazione dei protagonisti si fa via via più disperata e senza vie d’uscita se non correre, correre finché le gambe reggono, correre con la certezza che non si arriverà mai da nessuna parte, e il terrore che forse la gara non ha neanche una fine.
Nell’ultima mezz’ora Ride perde qualche colpo: ci sono un paio di finali, oltre a quello vero e proprio, e ogni volta si ha la sensazione che, se il film fosse terminato lì, ci avrebbe guadagnato. Eppure, anche quando zoppica, si lascia guardare e intrattiene a dovere. Se non si fa caso a qualche macchinosità di troppo nello svolgimento della gara e nella sua risoluzione, ci si gode il viaggio che è un piacere e si spera vivamente che questo, come anche The End, non sia un caso isolato, ma l’inizio di un movimento di giovani registi, con una formazione cinematografica variegata e non per forza tradizionale, capaci di proporre novità e opere al di là delle convenzioni stantie del nostro cinema.
Per il momento, vorrei soltanto che Ride avesse successo e che non venisse tolto dalle sale in una sola settimana. Ma questo dipende da voi, non dal film.
Edit: mi dicono che esiste anche un fumetto, che espande l’universo del film e che potete trovare in edicola.
Qui c’è un’analisi approfondita dell’opera. Buona lettura.
Oibò, ce l’ho nel cinema sotto casa, anche se solo per un paio di giorni, aggiungerò 80 chili di pubblico pagante. Immagino che “possiede una vitalità selvaggia che soltanto in Italia non viene snobbata”, contenga un non di troppo, o ho capito male?
No, hai capito bene 😀
Correggo subito il refuso, maledetta me!
Il Trentino è dove vado in ferie, quindi chissà che non mi capiti di riconoscere i percorsi dei due protagonisti (e darò un’occhiata pure al fumetto) 😉
P.S. Anche Il fatto di non aver vinto nessun premio al festival di Venezia dovrebbe fungere da ulteriore incentivo per l’Italia a rompere finalmente le vecchie convenzioni: d’accordo, c’era in concorso pure Suspiria di Luca Guadagnino ma, francamente, rimaneva poco più che un fatto isolato rispetto alle proposte italiche (NON di genere) presenti anche nelle altre sezioni…
C’è anche un romanzo, l’ho visto ieri in libreria, quindi è proprio un’operazione cross mediale.
Io ci vedrei bene anche un videogame!
Comunque sì, siamo usciti da Venezia senza neanche mezzo premio e ci sta bene.
Lo hanno girato dalle mie parti 😀
Purtroppo non ne sono rimasto molto entusiasta…