Fantasmi per Halloween: The Legend of Hell House

 Regia – John Hough (1973)

Il miglior film sulle case infestate di cui non conoscete l’esistenza. E anche forse in termini meno relativi, se si esclude The Haunting che è fuori scala e di cui questo film è quasi una filiazione diretta: Hell House come Hill House. C’è solo una lettera a divedere le due magioni, ed entrambe hanno nobili natali letterari. Hill House sappiamo tutti da dove arriva e, se servisse una spolverata ai ricordi, qualcosina la potete trovare qui; Hell House, o Casa Belasco, dal nome del suo proprietario morto in circostanze misteriose, è invece frutto della penna di Richard Matheson. Il romanzo da cui lo stesso Matheson ha tratto la sceneggiatura del film è del 1971 e si intitola, appunto, Hell House, uscito dalle nostre parti come Casa d’Inferno, mentre al film è stato affibbiato il titolo opinabile di Dopo la Vita.
Le due storie, quella della Jackson e quella di Matheson, hanno un simile spunto di partenza, ovvero l’isolamento di un gruppo di personaggi (medium o studiosi del paranormale) all’interno di una casa che si suppone essere infestata, allo scopo di stabilire quanta verità ci sia nella leggenda.

A visitare Hell House saranno, chiamati a raccolta da un uomo anziano e facoltoso che vuole sapere se c’è qualcosa dopo la morte, una medium, uno scienziato, sua moglie e l’unico sopravvissuto (medium anche lui) a un tentativo precedente di indagare in quella casa. Solo quattro persone e un edificio con un passato di violenza, omicidi, cannibalismo, accompagnati da ogni tipo di devianza sessuale sulla faccia della terra, perché il signor Belasco, in vita, non si faceva mancare niente.
Se i presenti a Hill House si trovano lì perché selezionati dal dottor Montague in seguito a delle esperienze soprannaturali, diciamo così, casuali, quelli che si recano a Casa Belasco per passarvi una settimana (curiosamente, la settimana di Natale), sono tutti professionisti del settore: c’è lo scienziato che ha intenzione di dimostrare al di là di ogni dubbio la non esistenza di spettri, infestazioni e affini e riconduce tutti i fenomeni pur riscontrati nella casa a un eccesso di elettromagnetismo, c’è la medium religiosissima e dalle convinzioni opposte, con cui è destinato a scatenarsi un conflitto, esacerbato poi dall’atmosfera non proprio serena di Hell House; ci sono gli altri due personaggi che nella prima metà del film, restano in ombra rispetto al classico scontro tra razionalità e fede di cui sono protagonisti i loro compagni di sventura, ma che col tempo assumeranno un’importanza sempre maggiore nell’economia della storia.

Sullo schema reso famoso dalla Jackson prima e da Wise poi, Matheson costruisce un meccanismo basato sullo scetticismo: di Hill House sappiamo sin dalle prime battute che è insana, che è nata sbagliata, che da qualcosa è sicuramente infestata; la sua figlioccia Hell House è invece sottoposta al vaglio del dottor Barret  (Clive Revill), che si reca sul posto non per dimostrare scientificamente, come Montague, l’esistenza del soprannaturale, ma per avvalorare la sua teoria sull’elettromagnetismo e per smontare le credenze della medium Florence (la divina Pamela Franklin, che con gli spettri aveva già avuto a che fare in tenera età). Personaggi diversi con obiettivi opposti e il dubbio, che persiste fino a un quarto d’ora dalla conclusione, su chi dei due abbia ragione. Rispetto a Hill House è quindi tutto più semplice: si prende un’ambientazione tetra il giusto, si scatenano fenomeni di varia natura (un po’ di attività poltergeist, un po’ di ectoplasmi, una dose generosa di porte sbattute, sussurri e possessioni) e si fanno reagire gli attori in campo di conseguenza.

Ed è proprio sulle manifestazioni che John Hough gioca al meglio le sue carte: nonostante Matheson in sceneggiatura avesse alleggerito gli elementi più scabrosi ed espliciti del romanzo, non si può certo dire che The Legend of Hell House si limiti a suggerire l’orrore invece di mostrarlo, perché lo mostra con ogni mezzo a sua disposizione. Costruisce un’ottima atmosfera di mistero e di paranoia, ma soprattutto infila una dietro l’altra cinque o sei sequenze in cui i presunti fantasmi di Casa Belasco si scatenano a più non posso. Neanche abbiamo fatto in tempo a varcare la sua soglia che subito Florence viene posseduta e comincia a parlare con la voce di un giovane uomo; non passa neppure un giorno ed ecco l’ectoplasma verdastro che le esce dalle dita; c’è una discussione con Barrett e cominciano a volare piatti e lampadari, rischiando di accoppare tutti i presenti. Casa Belasco è fisicamente pericolosa, non come Hill House che lo è da un punto di vista mentale e psicologico. Agisce anche sulla psiche delle persone, certo, le cambia (le donne, in particolare, vedremo poi come), ma più di tutto il resto, sembra che quelle mura siano lì per ucciderti, e senza risparmiarti alcun dolore.

Hough è stato un eccellente regista, mai troppo osannato, anche tra gli appassionati. E anche un vecchio volpone che conosceva (si è ritirato da tempo) benissimo i meccanismi della paura e sapeva come creare le giuste attese, come prendersi i tempi esatti per poi calare con la potenza di una slavina addosso al povero spettatore. The Legend of Hell House è un film fatto di queste attese: lunghe inquadrature nelle stanze vuote della casa, attimi di sospensione che sembrano durare un’eternità, momenti distensivi che sono solo preparatori per una deflagrazione. Credo che un film come Poltergeist, tanto per fare un esempio, abbia contratto parecchi debiti nei confronti di quest’opera poco nota, eppure ancora oggi validissima.
Ma andrebbe riscoperta l’intera filmografia di genere (e non) firmata da Hough, a partire dalla sua unica collaborazione con la Hammer, Le Figlie di Dracula del 1971, passando per Dirty Mary Crazy Larry, fino ad arrivare a quello strambo horror per ragazzi che è Gli Occhi del Parco. Si tratta di uno di quei registi capaci di comporre l’inquadratura in maniera tale da farla essere, da sola, racconto.
Mai che venisse in mente a qualcuno di rivalutare quelli davvero bravi.

Un’altra cosa che Hough fa benissimo, filtrando l’autocensura di Matheson è di suggerire (in questo caso sì) tutta una serie di problematiche di natura sessuale, che vanno a investire i due personaggi femminili principali, la medium Florence e Ann, la moglie del dottor Barret, interpretata da Gayle Hunnicutt. Data la natura sadica e perversa del defunto proprietario e titolare di Casa Belasco, è ovvio che il suo spirito inquieto si accanisca sulle donne presenti a Hell House, mettendone in discussione i valori e principi, ma giocando anche con le loro caratteristiche specifiche: la frustrazione di Ann, il cui marito è troppo occupato con i suoi esperimenti per darle retta, e la tendenza al martirio di Florence, il cui corpo diventa, nel corso del film, un vero campo di battaglia, tra ferite, sfregi, graffi e un episodio che somiglia moltissimo a uno stupro. Se Ann sviluppa delle preoccupanti tendenze ninfomani, è Florence che subisce le aggressioni fisicamente più sfiancanti e traumatiche, come del resto è lei ad avere un contatto diretto con gli spiriti di Casa Belasco.
Sono temi difficili per un film dei primi anni ’70, ed è incredibile che il film non sia stato vietato negli Stati Uniti. Al contrario, in Gran Bretagna venne classificato con l’infamante X, perché i censori inglesi forse sono meno boccaloni e non sono caduti nel raffinato e complesso barcamenarsi di regista e sceneggiatore tra reticenze, scandalose esplicitazioni e brusche frenate quando la materia diventava incandescente.

Certo, a differenza di opere come The Haunting e The Innocents (che però non appartiene proprio allo stesso filone) che sembrano girate ieri, in qualche frangente The Legend of Hell House fa sentire il peso dei suoi anni. Non sempre però, e solo a causa di qualche effetto speciale un po’ datato e dell’atteggiamento compassato dei personaggi tipico del cinema gotico inglese di quegli anni. Per il resto, si tratta di un gran bel film a tema infestazioni e in questa umile rubrica di Halloween, dove cercherò di dare spazio a film meno noti, gli spetta di diritto un posto d’onore.

10 commenti

  1. valeria · ·

    ottima recensione per un ottimo film 🙂 è vero, in alcune scene risente del peso degli anni, ma quell’atmosfera malsana e perversa che si respira fin da subito non è invecchiata affatto, anzi! una piccola perla da scoprire e rivalutare 🙂

    1. E, ribadisco, andrebbe ritirata fuori quasi tutta la filmografia di Hough perché è stato un regista di genere indispensabile.
      Grazie! 🙂

  2. Le figlie di Dracula l’ho visto e un’ottimo horror gotico pervaso da una vena erotica e Peter Cushing sembra un’invasato religioso peggio del vampiro che era uno che si divertiva

    1. Sì, è vero, Le Figlie di Dracula ribalta completamente alcuni cliché del genere vampiri. È molto interessante.

  3. Un film indispensabile.
    Aggiungo in nota una citazione per Roddy McDowall, che interpreta il medium sopravissuto alla prima, catastrofica avventura a Villa Inferno. Un caratterista colossale spesso sottovalutato, qui in un ruolo-chiave.

    1. Giusto, McDowall è stato un grande caratterista. E qui ha un ruolo fondamentale, che però viene fuori nella seconda parte del film e, soprattutto, nei dieci minuti finali. È anche interessante il fatto che quelli che sembrano essere i due personaggi principali del film non partecipano all’ultimo atto. Ma non volevo spoilerare, perché è un film che conoscono in pochi e non volevo rovinare alcuna sorpresa.

  4. Non ho avuto il piacere di vederlo, ma me ne hai fatto venire la voglia 😀
    E ti dirò, anche Gli occhi nel parco, che ho visto solo una volta negli anni ’90 e che hai citato al volo 😉

    1. Una delle ultime apparizioni di Bette Davis, tra le altre cose…

  5. Giuseppe · ·

    Eppure sai che, nonostante i nomi coinvolti (e che nomi, tutti) The Legend of Hell House non è mai riuscito a catturarmi? Non per fare una gara fra due superbi autori ma, parlando nello specifico di Hill e Hell House, mi sono sempre trovato a preferire l’approccio più sfumato della Jackson rispetto a quello “para-scientifico” di Matheson (e le relative trasposizioni cinematografiche)… a proposito, sei poi riuscita a dare un’occhiata a The Stone Tape? 😉

  6. Non lo conoscevo e su tutto a me hanno colpito certe inquadrature, sia qualche interno stile Hammer sia quegli esterni gotici, stupendi, che alcune riprese sui personaggi, ad esempio durante uno dei dialoghi iniziali, con la camera che va quasi addosso al medium.

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