She Who Must Burn

 Regia – Larry Kent (2015)

Ci ho messo un anno per trovare questo film, e almeno altri sei mesi per prendere un bel respiro e decidere di vederlo. Ora mi trovo nella strana ma non inconsueta situazione in cui non so se consigliarvelo. O forse sarebbe più corretto nei vostri confronti dire che non posso consigliarvelo a cuor leggero. Se pensate di essere pronti perché avete visto The Sacrament, Red State e Pro-Life, non avete proprio idea di ciò a cui state andando incontro. Per trovare qualche analogia cinematografica con questo film dobbiamo spingerci parecchio indietro nel tempo e andare a pescare negli anni ’70, sia nel cinema più impegnato e politico che nella exploitation più violenta ed estrema. E infatti la cultura di riferimento del regista è quella: Larry Kent è un signore di 80 anni che dirige con la rabbia e la ferocia di un esordiente incazzato nero. Il che è in linea con la sua storia di irriducibile autore indipendente, attivo in ambito underground dai primi anni ’60.

Kent si avvicina all’horror imprimendo al genere una forte valenza politica, ma non lo usa per fare in realtà altro: She Who Must Burn è, a tutti gli effetti, un film dell’orrore. Lo è nella struttura, lo è nel climax di efferatezze, lo è nel non voler mai distogliere lo sguardo da ciò che sta accadendo in campo, per quanto atroce sia, nell’insistere sul dettaglio splatter. Non cinema “impegnato” che prende in prestito il linguaggio del cinema commerciale per veicolare un messaggio, ma cinema puramente di genere che, con i mezzi che gli competono, questo messaggio lo veicola lo stesso, senza avere bisogno di essere rispettabile.
So che qui da noi il cinema rispettabile lo prendiamo a pernacchie, ma è solo un’altra avvertenza, magari per un lettore che si trovasse a passare sul blog per caso: She Who Must Burn è un film dell’orrore che non nasconde la sua natura e non ha alcuna intenzione di farvela passare liscia.

Immaginate il classico horror su una setta satanica che perseguita una giovane coppia fino a render loro la vita impossibile; al posto dei simpatici e innocui adoratori del demonio metteteci dei fondamentalisti cristiani antiabortisti e avrete, con qualche approssimazione, lo scheletro della trama di She Who Must Burn. Aggiungete una piccola comunità rurale dove il vero padrone è la chiesa locale, un tasso di mortalità infantile elevatissimo e dovuto all’inquinamento e delle autorità, nella persona dello sceriffo, con la tendenza a non interferire nelle faccende religiose, e vi sarete fatti un’idea più completa di quello che vi aspetta.


Già l’incipit rappresenta una dichiarazione d’intenti abbastanza esplicita: un uomo misterioso è seduto nella sala d’aspetto di una clinica (sapremo poi che si tratta di un consultorio), un’infermiera gli chiede se ha bisogno di qualcosa, lui non risponde, l’infermiera chiama il medico e l’uomo gli spara in testa. Poi si inginocchia e comincia a cantare Amazing Grace.
Titoli di testa.
Angela (Sarah Smyth) faceva la consulente per la clinica dove è avvenuto l’omicidio. Ora la clinica è stata chiusa e lo stato ha chiuso i rubinetti, ma Angela non è tipo da arrendersi facilmente. Continua, infatti, ad aiutare le altre donne della comunità di cui fa parte, mentre un gruppo di bifolchi esaltati le fa i picchetti davanti casa chiamandola assassina. Quando la moglie del leader religioso del paese (interpretata dalla sempre meravigliosa Jewel Staite) si rivolge ad Angela dopo aver lasciato il marito, la situazione precipita.

Quello che fa Larry Kent, sin dalle primissime inquadrature, è di immergerci in un microcosmo infernale in cui il vero potere è detenuto da una famiglia di fanatici. La cittadina senza nome in cui la vicenda si svolge è contraddistinta dal grigiore e dallo squallore. Gli ambienti sono poveri e spogli, il paesaggio arido, gli abitanti si aggirano come morti viventi imbrattati dal carbone della miniera che fornisce il sostentamento economico a tutti, ma che è anche la fonte primaria di inquinamento e quindi di morte. La gente si ammala e in chiesa viene persuasa a non curarsi perché è la volontà di Dio. Chi ha bisogno di assistenza medica deve farlo di nascosto e, se scoperto, viene aggredito dal branco.
Quello dove Angela sceglie di rimanere è un contesto difficilissimo e la difficoltà è aggravata dall’isolamento in cui la donna è costretta a operare: il suo compagno (il fatto che non siano sposati è già motivo di scandalo) è il vice sceriffo, ma questo non basta a evitare le continue intimidazioni e minacce, perché vige uno stato di completa anarchia e l’unica legge possibile è quella spietata e punitiva della Bibbia.

Per raccontare questo incubo, Kent sceglie uno stile vicinissimo al documentario. Conoscete tutti la mia idiosincrasia nei confronti della macchina a mano, ma ci sono alcune storie che hanno bisogno di una messa in scena così. Magari sarà una scelta banale o risaputa, ma resta efficacissima ed è comunque più intelligente di quella del mockumentary perché, a differenza di esso, implica la presenza di uno sguardo e ci offre una prospettiva esterna. Così, mentre la MdP perennemente incollata ai personaggi in strettissimi primi piani ci fa sempre stare “dentro” l’azione, lo sguardo di Kent è un’astrazione, un’entità giudicante. E ciò che viene giudicato non è la fede, ma la mancanza di empatia di questi personaggi che non sembrano rendersi conto di avere di fronte degli esseri umani  e vedono solo peccatori.
È ovvio che non sia possibile alcun lieto fine e che i protagonisti abbiano il destino segnato. Ma, anche se volutamente prevedibile, data la cura con cui è stato costruito pezzo per pezzo, il crescendo finale di violenza arriva lo stesso come un’auto senza freni che ti passa sopra a 180 l’ora. L’incredulità iniziale fa posto all’orrore e si resta attoniti, davanti allo schermo, a tremare.

Non è una visione comoda o confortevole, She Who Must Burn; è fatto apposta per mettere a disagio, per portare alla luce un qualcosa che non abbiamo voglia di vedere o sapere: che queste persone potrebbero essere i nostri vicini di casa, che a volte è solo la presenza di un agente esterno che funga da freno inibitorio a evitare una strage e che è il nostro girarci dall’altra parte a permettere che avvenga. Che basta poco per trovare una scusa atta a far uscire la bestia famelica addormentata dentro ognuno di noi. E che i più deboli soccombono, sempre.
Il vero “villain” della situazione non è infatti rappresentato dalla comunità di fondamentalisti, ma dallo sceriffo che lascia correre fino a quando gli eventi vanno del tutto fuori controllo e lui resta da solo, all’indomani di un’apocalisse con tanto di fulmini scagliati dal cielo ed enormi chicchi di grandine a lapidare i colpevoli, che arriva troppo tardi perché ci sia ancora qualcosa da salvare.
Lo sguardo di Kent, fino a quel momento impegnato a sezionare la regressione bestiale di un intero paese, si permette qualche sprazzo di lirismo, abbandonando quest’omuncolo pavido a contemplare il disastro che non ha voluto fermare in tempo.

7 commenti

  1. Andrea · ·

    è un film che ti aggredisce a partire dalla locandina, splendida. Non ammutolivo così dai tempi di Red, White & Blu di Rumley… e Kent ha 80 anni??

    ps: a proposito di Rumley, il suo ultimo Johnny Frank Garrett’s Last Word spacca parecchio, te lo consiglio 🙂

    1. Sì, 80 anni esatti: classe 1937!
      Prima di vedere un film di Rumley ho bisogno di un po’ di preparazione psicologica, ma Frank Garrett’s Last Word è già lì pronto che mi aspetta 🙂

  2. Giuseppe · ·

    No, effettivamente già solo dai primi minuti si riesce a intuire quanto The Sacrament, Red State e Pro-Life non possano averti “vaccinato” da quello che ti aspetta dopo… qui Kent lavora decisamente su di un altro livello.

  3. kelevra · ·

    Non riesco a trovare un link o un modo per vederlo anche sottotitolato… help: consigli, dritte(?)

    1. kelevra · ·

      La rece mi ha ingriffato di brutto…

    2. Allora, non esiste sottotitolato in italiano, ma soltanto con i sub in inglese. Qui da noi non si sono mai presi il disturbo di tradurlo.

      1. kelevra · ·

        Ok, grazie. Trovato. Preparazione psicosomatica in buffering….

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: