Regia – Martin Koolhoven (2016)
La distanza di gran parte della critica, non dai gusti del pubblico, ché si tratta di questione annosa e di scarso interesse, ma dall’evoluzione del cinema stesso, del suo linguaggio e del suo continuare a sporcarsi e imbastardirsi sempre più, sta cominciando a diventare preoccupante. Non perché un film come Brimstone debba piacere per forza, ci mancherebbe. Ma perché le critiche ferocissime, scandalizzate e sprezzanti che ha ricevuto a partire dalla sua prima apparizione al Festival di Venezia dello scorso anno sono indice di una scarsa comprensione del testo, non della cattiva qualità del film. Prendersela con l’opera di Koolhoven perché troppo ambiziosa e troppo violenta significa solo che non la si è voluta capire. Poi sì, Brimstone è un film imperfetto (come il 99% dei film che escono ogni anno, quindi la mia è pure un’affermazione pleonastica), a volte un tantino compiaciuto non nella rappresentazione in quanto tale della violenza, ma nella sua narrazione reiterata e, proprio per questo, con una ventina di minuti in più che avrebbero potuto essere tranquillamente tagliati. Eppure è anche un film potentissimo, un western che adotta (vera rarità nel genere) un punto di vista femminile, che si contamina con l’horror, con il rape & revenge, con il survival e, mentre sguazza nel genere come un bambino che gioca in una pozza di fango, ha anche il coraggio di voler essere un grande affresco storico ed epico.
E a me, fatte le debite proporzioni (uno è un capolavoro assoluto, l’altro è molto lontano dall’esserlo), sembra di essere tornata ai tempi de I Cancelli del Cielo, con la critica miope e ottusa impegnatissima a fare a brandelli un film solo per il gusto di farlo. E questa gente neanche si vergogna.
Che poi è sempre accaduto: la critica vuol che si voli basso, e tende a punire i progetti che peccano di eccessiva ambizione, come se fosse una cosa sbagliata, come se il metro di giudizio per valutare il lavoro di un regista fossero l’umiltà e il saper stare al proprio posto. Però due ore e mezza di primi piani di gente che urla vengono acclamati, mentre due ore e mezza di western li si sbertuccia perché il regista doveva essere più umile.
Questo non vuol dire, badate bene, che il lavoro della critica sia inutile o che, peggio ancora, il parere del primo massimo esperto su Facebook o su un blog (questo blog compreso) abbia lo stesso valore di quello di un critico, perché non è così. Purtroppo, in parecchi casi succede che il cinema vada avanti e la critica resti indietro e ciò accade soprattutto con il cinema di genere contro cui c’è da sempre una resistenza fortissima da parte della critica ufficiale.
Quando poi si tendono ad abbattere le distinzioni e il cinema di genere, del genere più di tutti bistrattato poi, l’horror, arriva strisciando alle spalle di un film d’autore, ecco che il critico impazzisce e comincia a sbavare di rabbia. Ora il problema è che l’horror è una scheggia impazzita che striscia alle spalle dei film d’autore da almeno una ventina d’anni a questa parte, a voler tenersi stretti, e prima o poi il suo ruolo andrà accettato.
Se ci si è tanto indignati di fronte alla violenza (che poi, signori, è quasi sempre fuori campo) di Brimstone, che cosa sarebbe successo a uno dei critici veneziani se gli fosse capitata davanti la macellazione del malcapitato vice sceriffo in Bone Tomahawk? Svenimenti in sala? Gente che fugge urlando?
Fidatevi che in Brimstone non c’è nulla, a livello di gore e scene esplicite, che uno spettatore con una decina di horror sul groppone non abbia visto. La differenza che passa tra un qualunque torture porn (categoria cui Brimstone è stato, in maniera del tutto errata, assimilato) e il film di Koolhoven è che Brimstone ti ferisce e ti lascia qualcosa, mentre un torture porn lo hai dimenticato dopo dieci minuti. È la stessa differenza che passa tra un film, a qualunque genere appartenga o finga di appartenere, con una impostazione autoriale e un film da supermercato. Perché non è il genere di riferimento che conta, ma la mente che sta dietro l’operazione e non è di sicuro la presunta natura shock delle immagini che deve essere usata come metro di giudizio, a meno che non la si consideri gratuita o meramente exploitativa. Ma Brimstone non è mai gratuito e non fa mai exploitation e anzi, stacca sempre quella frazione di secondo prima di cadere nella facile trappola dello scandalo fine a se stesso.
E allora qual è stato il problema? Ho paura della risposta, ma temo che la critica non specializzata non riesca a concepire ambizioni d’autore e linguaggio di genere in uno stesso film. Va in cortocircuito ed ecco che scattano l’insulto e il dileggio. A questo aggiungeteci che la stessa ambizione in quanto tale, viene vista con un certo disprezzo e una scrollata di spalle, perché bisogna essere trattenuti e minimalisti, ed ecco che Brimstone è stato davvero il film sbagliato al momento sbagliato. Un vero peccato, perché può contare su due delle interpretazioni più intense dell’anno, quelle di Dakota Fanning, muta per tre quarti di film e così espressiva che ti spezza il cuore, e di Guy Pierce, vero e proprio uomo nero a metà tra un incubo metafisico alla Carpenter e Robert Mitchum in The Night of the Hunter.
Non solo per gli attori dispiace che Brimstone sia stato prima sbertucciato e poi lasciato cadere nel dimenticatoio: è un film con un’identità molto spiccata, diverso da qualunque cosa vi capiterà di vedere in questi anni, un’esperienza che difficilmente si ripeterà in futuro, e dall’impatto emotivo, quello sì, davvero violento. Un film che non si trattiene mai, che vuole farvi soffrire, che procede per contrasti nettissimi, senza sfumature, va avanti come un colossale schiacciasassi nella sua missione di raccontare un’epoca in cui il corpo femminile veniva costantemente mortificato, violato e brutalizzato. La tradizionale estetica del western non ci ha preparati a uno spettacolo del genere, e lo dobbiamo subire sentendoci impotenti e impossibilitati a prendere una qualsiasi decisione proprio come la protagonista del film. È questa la vera violenza cui Brimstone sottopone gli spettatori, non una lingua tagliata fuori campo e un impiccato dato in pasto ai maiali. Quello non è nulla, anche perché non si vede nulla, ma si suggerisce tutto, quasi l’intero film fosse un’illusione ottica lunga 148 minuti.
Sfiancanti, tutti e 148. A tratti difficili da sostenere. E sì, pure ridondanti, ma chi se ne frega, se il risultato globale è così forte da annichilire. Ogni tanto un film così può solo fare bene, uno di quei film in grado di prendervi a badilate in faccia e passarvi sopra come un treno. Insomma, c’è ancora bisogno di un po’ di sana epica, di storie che agiscono per accumulo di contrasti, rinunciando consapevolmente a sfumature e sottigliezze e preferendo attaccare a testa bassa. È una scelta che va però saputa mantenere fino in fondo e tutto si può rimproverare a Koolhoven tranne di non aver portato questa scelta fino alle più estreme conseguenze.
Visivamente straordinario, di ampio respiro, gigantesco in ogni sua componente, con una struttura che procede a ritroso e che svela gradualmente quale sia davvero il legame tra i due antagonisti, diviso in capitoli dai titoli biblici e pieno zeppo di riferimenti religiosi, Brimstone è un film profondamente difettoso e tuttavia bellissimo. Anche molto doloroso, e non per la brutalità di un paio di sequenze, ma perché mira dritto al cuore e, se si ha la sensibilità di lasciarsi coinvolgere, se ne rimane segnati.
Brimstone brucia ancora, dopo giorni dalla visione, come una ferita che non si rimargina e, con ogni probabilità, mi resterà una cicatrice: ogni oltraggio subito dal personaggio della Fanning e dalle altre donne del film l’ho sentito come se fosse stato fatto direttamente a me, tanto che Brimstone è diventato anche la mia storia. La nostra storia.
Va visto e va vissuto, a prescindere da cosa ne pensi una critica incapace di valutare serenamente un film che porta con orgoglio la propria irriducibile diversità rispetto al classico prodotto da festival, rassicurante, docile, da inserire in caselle prestabilite senza sforzarsi troppo. Brimstone, al contrario, è una belva che non si può addomesticare. Avvicinatevi al film con circospezione, perché vi ridurrà a brandelli con i suoi artigli.
[…] Diviso in 4 capitoli non cronologici, che passano dallo slasher al survival, dall’home invasion al rape and revenge, Brimstone è un’esperienza assoluta, indimenticabile, e la prospettiva virata al femminile, degna erede della lectio verhoeveniana, ne sancisce la gloria sovversiva. Sia lodato il Dio del cinema, sempre sia lodato, e sia lodata anche la mia amica Lucia, che di Brimstone ha scritto qui. […]
[…] Diviso in 4 capitoli non cronologici, che passano dallo slasher al survival, dall’home invasion al rape and revenge, Brimstone è un’esperienza assoluta, indimenticabile, e la prospettiva virata al femminile, degna erede della lectio verhoeveniana, ne sancisce la gloria sovversiva. Sia lodato il Dio del cinema, sempre sia lodato, e sia lodata anche la mia amica Lucia, che di Brimstone ha scritto qui. […]
Se hanno catalogato questo film come torture-porn, è la conferma che ormai i termini vengono usati a caso, quasi come ne vecchio episodio di Twilight Zone, Wordplay. No, perché cosa diamine ha di torture ‘sto film? E non mi pare più o meno violento di qualsiasi altro western.
È che questi critici un torture porn non l’hanno mai visto in vita loro. E usano definizioni a cazzo.
Almeno l’ABC dovrebbero saperlo, però. Oppure, guardare il film, magari, ché mi viene il solito dubbio che abbiano la cattiva abitudine di vedersi una scena qui e una là.
Molti lo hanno visto al festival tra un sonnellino e l’altro. 😀
Splendida recensione. È un film che ho atteso molto, ho visto che si trova già sottotitolato in streaming… penso che una di queste sere cederò alla tentazione.
Purtroppo questo film temo che o lo vediamo per vie traverse o non lo vediamo proprio, dato che una sua uscita italiana, per il momento, non è neanche prevista…
Grazie! Spero ti piaccia 🙂
Beh dovesse trovare un distrubutore italiano sarei davvero sorpreso..
Cmq un’ ottima recensione, al netto del giudizio sul film, che anche tu poi ribadisci ha molte imperfezioni, di sicuro una visione che ti resta addosso per molti giorni.
ciao Luca
Gran bel film…peccato dover leggere i sottotitoli 😱 niente di così violento (ho visto altri western e questo in confronto è una “passeggiata”,passatemi il termine!!!Django com’è allora???!!!). Spero di vederlo presto al cinema e che esca il DVD italiano e ne consiglio a tutti la visione.