Terzo appuntamento con questo nuovo sistema che sembra piacervi parecchio. E piace anche a me: è un modo facile e veloce di tracciare e ricordare i film che vedo. Quest’anno, per la prima volta in tutta la mia vita, sto tenendo il conto dei film. Dal primo gennaio a oggi, ne ho visti 50, tra sala, recuperi di roba vecchia e film inediti. Non sono tutti horror, sia chiaro (non sono monotematica e vado spessissimo al cinema), ma è ovvio che l’horror sia una categoria molto presente nella lista. Se però vedere quanti horror ho recensito, sempre dal primo gennaio a oggi, vi renderete conto dell’enorme scrematura che effettuo sui titoli: se ne salva una percentuale bassissima (e vi parlo solo dei film che ho portato a termine). Da questa piccola percentuale, ne va estratta un’altra, ancora più bassa, quella dei film che alla fine arrivano sul blog e si meritano un articolo tutto loro. Non è questo grande onore, lo capisco, ma da quando ho scelto di non fare più, nei limiti del possibile, recensioni negative, è diventato complicato approdare qui. Spesso poi, gli articoli non riguardano neppure film che ho particolarmente amato. Per farvi un esempio, I Am Not a Serial Killer mi è piaciuto molto di più di altri film che invece ho recensito, ma non avevo poi molto da dire a riguardo, se non: “Correte a vederlo, perché merita” e quindi è stato inserito tra le pillole.
Questo solo per dirvi di non sottovalutare i brevi consigli della rubrica stagionale, perché ci sono cosette molto pregevoli e succulente.
La colpa, all’inizio, è stata tutta del poster, con quell’aspetto all’antica che mi conquista sempre, e che ricorda un po’ gli slasher degli anni ’80. Poi mi sono accorta che la protagonista è Caitlin Stasey, per cui ho una cotta adolescenziale pazzesca (sì, me ne vergogno) dai tempi di All Cheerleaders Die. E quindi, voi mi capite, dovevo vederlo.
All I Need rientra nella categoria “film che nessuno si fila neanche per sbaglio”. Poi succede che, una sera in cui non hai nulla di meglio da fare, e ti manca persino la forza di alzarti dal divano, cominci a guardarlo, complice (oltre ai due fattori sopra menzionati) la sua breve durata, e va a finire che ti piace molto di più di quanto ti saresti aspettata.
Prima di tutto, non è uno slasher, ma un thriller girato da un esordiente di talento, Dylan K. Narang, che racconta due storie parallele, quella di una ragazza che deve liberarsi da una casa dove è tenuta prigioniera insieme ad altre sue coetanee e quella di un uomo disperato a cui arriva, come ancora di salvezza, un’offerta di lavoro bizzarra. Come e perché queste due storie siano collegate (certo che lo sono), si verrà a sapere solo negli ultimi dieci minuti. All I Need non è nulla per cui strapparsi i capelli, non a livello narrativo, almeno. Rientra nel novero dei film dignitosi, senza grandi sorprese. Ma ci presenta un regista da cui sarà lecito, in futuro, aspettarsi i botti, se gli sarà data l’opportunità di continuare a lavorare. Narang ha un’inventiva, un occhio per le angolazioni, una capacità di gestire la tensione (in alcune fasi del film insostenibile) che nobilitano questa sua opera prima, un disastro in mano ad altri, un bel viaggio nelle sue. Insomma, lo aspettiamo al varco, magari con un film più robusto.
Non so se vi ricordate Christopher Smith, il regista inglese facente parte dell’ondata di film britannici che, nel decennio scorso, sembrava destinata a rivoluzionare il genere e che, come purtroppo spesso accade, si è spenta nel silenzio e nella dimenticanza. Smith aveva diretto, tra le altre cose, uno degli horror più amati dalla sottoscritta (se di horror si può parlare), Triangle, dove si era divertito a giocare con i loop e i paradossi temporali. Era poi stata la volta di un ambizioso film in costume, Black Death, dopo il quale era sparito senza lasciare traccia. Lo ritroviamo negli Stati Uniti a girare questo Detour, che non è il remake del leggendario film di Ulmer del ’45, anche se Smith lo cita con devozione a più riprese, ma un neo-noir in cui il regista torna a battere lo stesso terreno di Triangle, raccontando una versione brutta, sporca e cattiva di Sliding Doors.
Ve lo dico a scanso di equivoci: Detour non è riuscitissimo. Ha delle belle intuizioni e un cast interessante; è coloratissimo e quindi in controtendenza con il genere di cui fa parte, si svolge quasi tutto in pieno sole e lungo la strada, cosa che rappresenta, per quanto mi riguarda, un valore aggiunto e l’espediente del farci vedere le differenti direzioni prese dalla storia a seconda delle scelte del protagonista è portato avanti molto bene. Ma, se si esclude questo elemento, è un prodotto troppo derivativo per colpire sul serio, più un atto d’amore di Smith nei confronti del noir che un film in grado di stare in piedi da solo. Vale comunque la pena di festeggiare il ritorno di Smith dietro la macchina da presa, in attesa che si tolga un po’ di ruggine di dosso e torni a fare un film dei suoi. Per il momento, ci facciamo bastare questo e ce lo godiamo, perché è comunque godibile.
Che ne dite di un bello slasher olandese ambientato in un mulino a vento per passare una serata in allegria? The Windmill Massacre è un filmetto spietato, crudele e violento su un gruppo di turisti a bordo di un autobus per un giro nelle campagne olandesi, alla ricerca dei mulini più belli e famosi della storia. Quando il bus ha un guasto, i nostri si ritrovano nel bel mezzo del nulla, inseguiti da un maniaco armato di falce che non solo sembra intenzionato a farli a pezzi uno a uno, ma sembra anche conoscerne i punti deboli, i peccati e le colpe, quasi tutti i personaggi fossero lì per un motivo. Anche in questo caso si tratta di un esordio, nonostante il regista Nick Jongerius non sia un novellino del genere, avendo prodotto Frankenstein’s Army nel 2013.
Per la sua prima prova da regista, confeziona uno slasher classico, ma con qualche guizzo e con una dose di perfidia che non risparmia nessuno, un bel finale beffardo come pochi e delle sequenze di omicidi ad alto tasso di splatter, teste tagliate, arti amputati e sventramenti vari. Come spesso accade con film del genere, non è tanto l’originalità il metro di giudizio da usare, ma la capacità di sapersi distinguere da tante produzioni analoghe, dai medesimi contenuti, di solito di origine statunitense. The Windmill Massacre al 90% dei suoi colleghi americani può giusto degnarli di una pernacchia, che altro non meritano. E non perché si ponga come obiettivo chissà quale rivoluzione, rivisitazione o rielaborazione (Dio ce ne scampi) dello slasher. Al contrario, se ne sta tranquillo nel solco della tradizione e da lì, ben nascosto, ogni tanto ti tira una zampata dritta sulla faccia.
Girato prevalentemente in inglese e con un cast internazionale (c’è anche Noah Taylor), Windmill Massacre è un’alternativa validissima agli slasher fatti in serie, la prova che questo genere ha ancora qualcosa di buono da dire.
E ora fate spazio all’orgia splatter messa in scena dall’ennesimo esordiente della giornata, il canadese Jason William Lee, The Evil in Us. Anche qui, non siamo di fronte ad assolutamente nulla di nuovo, ma ha importanza, quando il regista è così, uno a cui si vuole bene a prescindere e per principio. Ed è anche bravino, sempre che abbiate la pazienza di sopportare una mezz’ora di nulla sotto vuoto spinto prima che decolli la strage. Resistete alla tentazione di troncare il film a causa di personaggi che sono stereotipi di stereotipi, battute che avranno fatto ridere soltanto la zia di Lee e recitazione da filodrammatica parrocchiale. Resistete perché moriranno malissimo. Tutti. Resistete perché quello che vi aspetta è un bagno di sangue. E pure diretto con classe, che non ci si crede, non dopo essersi sottoposti a quell’inizio torturante. E invece, a un certo punto Lee si sveglia dal coma letargico, comincia ad ammazzare chiunque entri in campo e ci mette un sacco di cuore, di passione, di gioia.
La storia è sempre quella, di provata solidità, del contagio epidemico alla Cabin Fever, con una spruzzatina di Evil Dead che ci sta sempre bene. Il tutto è accompagnato da una sotto-trama a base di scienziati pazzi e gente chiusa in un bunker che pare priva di qualunque senso.
E invece…
Invece Lee riesce persino a sorprendere, inserendo un colpo di scena “politico” niente affatto malvagio e, soprattutto coerente con quanto abbiamo visto.
Se All I Need ha un poster da urlo, The Evil in Us si candida ai titoli di testa più fighi della storia, con serie possibilità di vincere.
Si nota che c’è stato un lavorone alle spalle di questo piccolo film, che il reparto tecnico è in forma smagliante e si è dilettato con un’esorbitante quantità di protesi, sangue finto, mascheroni, frattaglie, senza però quella patina di povertà e sporcizia presente in tante produzioni indie.
Erano anni che non mi divertivo così. Davvero.
Cercherò di recuperarli tutti, anche se ho ancora centinaia di film in coda, visto che nell’ultimo anno e mezzo sto guardando poco o nulla (avendo poco tempo e preferendo dedicarlo a videogiochi e serie tv)…
Tra quelli che segnali ho visto solo The Windmill Massacre, che mi è piaciuto con la sua atmosfera da low budget anni 90; di Detour non sapevo assolutamente niente, lacuna grave perchè anch’io ammiro Christopher Smith.
Mi iscrivo ufficialmente alla lista dei fan della tua rubrica “Pillole di visioni” 🙂
Windmill è un gioiellino di slasher gustosissimo.
Non ho scritto una recensione completa solo perché avrei dovuto copiare e incollare quella di Bodom!
Mi ispirano un sacco gli ultimi due, soprattutto quello sui mulini a vento. Non so, l’idea di un branco di turisti fatti a pezzi in mezzo ai tulipani ha un che di affascinante XD
E Smith è quello di Severance? Venduto!!!
Lui! Severance, Triangle. Black Death!
Tante belle cose!
Ohh, finalmente Smith è tornato! Magari non in formissima, d’accordo, ma almeno è tornato! Anche se, a dire il vero, più del suo Detour qui nel gruppetto è The Windmill Massacre a stuzzicare la mia curiosità…
Smith un po’ sottotono, ma almeno è riuscito a tornare dietro la MdP dopo 7 anni…
The Windimill Massacre è davvero uno spasso. Poi fammi sapere se hai gradito!
Visto! Uno slasher niente male davvero, splatteroso quanto basta e con un sapiente retrogusto “sulfureo” (i mulini a vento di certi mugnai possono essere pericolosi, specialmente se NON hanno poi tutto questo bisogno di vento per mettersi in moto) 😉
Stuzzicato in particolare da The Evil in us perchè sai che ho una passione pornografica per i film che puzzano di sangue… tra l’altro si trova su YT!
Ah, non sapevo si trovasse addirittura sul Tubo. Ottimo!
Visto oggi, senza sottotitoli facevo un po’fatica ma un bagno di sangue si guarda sempre con piacere! Ci ho visto solo qualche ammiccamento anche a Cabin in the wood?
Ho visto All I Need e mi è piaciuto tanto tanto tanto. Narang gioca di sottrazione, si prende tutto il tempo che vuole e fa assaporare allo spettatore ogni istante di dolore, ogni sussulto di paura, ogni moto di frustrazione e ogni ansimo di fatica dei suoi personaggi. Si permette pure di piazzare il colpo di scena che non ti aspetti ben prima della fine del film. Una bellissima sorpresa questo film, grazie per la segnalazione.