Aspettando The Final Chapter: Resident Evil

mpw-48590 Regia – Paul W.S. Anderson (2002)

Alcuni film, la cui natura è spesso smaccatamente commerciale e povera di ambizioni, hanno però il potere di cambiare, anche in profondità, la storia di quella fetta marginale di cinema di cui questo blog si occupa. Che vi piaccia o no, Resident Evil, la tamarrata hi-tech del mio amore Paul W, ha impresso una direzione al cinema horror degli ultimi 15 anni, riportando gli zombie su grande schermo in un momento in cui non se li filava nessuno.
La saga cinematografica derivata dal primo Resident Evil è (insieme a quella di Final Destination) la mia preferita tra quelle nate nel XXI secolo e sta volgendo al termine: a febbraio uscirà al cinema The Final Chapter e una storia che stiamo seguendo dal 2002 ci saluterà per sempre. Per questo, ci tengo a celebrare l’evento andando a rispolverare, uno dopo l’altro, tutti i film dell’universo cinematografico di Resident Evil, diversissimo e autonomo rispetto a quello del videogioco, per scelta precisa della CAPCOM, che in anticipo sui tempi e seguendo un ragionamento alla base (per esempio) del 99% dei cinecomics odierni, preferì costruire una sorta di mondo contiguo e alternativo rispetto a quello dell’opera di riferimento, in cui gli affezionati del gioco potessero comunque ritrovarsi, ma in grado anche di attrarre una base di pubblico che ne era a digiuno o che lo conosceva per sentito dire. E lo so che tutto questo scatena l’ira dei puristi, ma a un livello puramente commerciale, si è rivelata un’idea vincente, altrimenti non staremmo qui a raccontare ben sei film.

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Tutti sapete che Resident Evil era, alle origini, un progetto cinematografico con a capo Romero. Il regista aveva già lavorato con la CAPCOM per Resident Evil 2 e si mise all’opera scrivendo una sceneggiatura basata sul primo capitolo del videogame.
Ma lo script non piace e viene scartato, rischiando di far finire nel limbo il film. Cosa che, in effetti, accade: la sceneggiatura di Romero risale al 1999, mentre si torna a parlare di una trasposizione al cinema di RE solo due anni dopo.
La Sony, allora, assume il nostro giovane eroe, Paul W. S. Anderson che, ricordiamolo di sfuggita, non se la passava benissimo, con alle spalle il mezzo disastro di Event Horizon e l’altro flop di Soldier. Di sicuro è un regista molto più accomodante di Romero e ha anche un certo fascino ipotizzare cosa sarebbe stato un RE diretto dallo zio George, se avrebbe avuto lo stesso impatto, se l’inventore degli zombie al cinema sarebbe stato adatto per un progetto simile o avrebbe combinato un pastrocchio nel gestire le pressioni di una produzione così grande e ingombrante, ambito in cui non si è mai trovato a suo agio e ha sempre fallito. Ma sono, appunto, tutte speculazioni, per quanto suggestive. Anderson era, infatti, la persona giusta al momento giusto: la sua sceneggiatura viene approvata e il film entra subito in fase di realizzazione. Si gira in Germania, nell’estate del 2001 e il film esce in sala nella primavera dell’anno successivo.

Successo immediato e travolgente?
Neanche per sogno: RE fa una certa fatica a imporsi e incassa meno del previsto. Alla fine riesce a portare a casa, in tutto il mondo, la bellezza di 104 milioni di dollari, ma il risultato non è così eclatante ed è segno che, comunque la si giri, quella di RE è una saga di nicchia. Prima di chiudere la pagina però, aspettate un istante. Lo so che la parola nicchia accostata ad Anderson e a RE sembra un’enormità, ma se ci pensate bene, si tratta di film mai riusciti a sfondare del tutto col pubblico generalista. La nicchia che la saga di RE si è ritagliata è ampia sì, perché permette di spendere ogni volta decine di milioni per il film successivo (65 per quello del 2012), ma non così ampia da farne un blockbuster estivo, per esempio. Sono film per affezionati, ecco. E lo stesso Paul W. non è uno a cui affideresti mai un film Marvel.
Il punto è che RE è un B-movie e Paul W. è un regista di B-movie a cui hanno dato qualche soldo in più. I criteri con cui il film è scritto e diretto sono quelli tipici della serie B e, se il primo capitolo può ancora ammantarsi di un briciolo di senso della misura, a partire dal secondo si esagera senza porre alcun limite o freno alla prepotenza cafona del mio Paul W. che diventa anche produttore, ha il controllo di tutto se non si trova direttamente dietro la macchina da presa, e fa sempre e comunque il cazzo che gli pare, infischiandone di inezie come coerenza narrativa, verosimiglianza, buon gusto.

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Che uno così sia da considerarsi responsabile per aver riportato al cinema lo zombie romeriano, pur in un contesto completamente diverso da quello in cui Romero aveva inserito i suoi cadaveri ambulanti, può sembrare un paradosso, ma non lo è.
Gli zombie del primo RE sono quanto di più simile alle creature portate dallo schermo da Romero nel 1968 ci fosse in giro in quegli anni. RE ha mostrato che i morti viventi erano ancora in grado di attirare pubblico in sala, che l’idea di un film basato su pandemie di scala globale poteva avere presa. 28 Giorni Dopo è arrivato in un secondo momento e con pretese d’autore, tra le altre cose. RE ha un primato che nessun film della sua specie possiede.
Oltre a questo, è un prodotto originalissimo per come si pone nei confronti del gioco (anzi, della serie di giochi) che lo ha ispirato, riprendendone scenografie, atmosfere, addirittura angolazioni di ripresa, alcuni nemici (i lickers e gli indimenticabili dobermann con la coratella, l’accenno a Nemesis) e, in generale, la struttura, ma inventando una storia completamente nuova e inserendo personaggi assenti nel videogame, a partire proprio dalla protagonista Alice (Milla Jovovich).

Io l’ho già detto, ma sono passati anni e quindi mi ripeto: Paul W. S. Anderson, per quanto possa essere accusato di ogni defandezza cinematografica sulla faccia della terra, è un regista molto attento e consapevole di ciò che fa. Certo, ha uno stile rozzo, quasi esclusivamente muscolare, superficiale, se vogliamo, ma per dirigere un action horror ispirato a un videogioco, si è rivelato una scelta azzeccatissima. Non si poteva chiedere di meglio.
Perché, se i seguiti sono tutti molto sbilanciati sul versante action (escluso forse il terzo, nonché migliore capitolo), RE è prima di tutto un film dell’orrore, marchiato con una bella R, mentre gli altri film (a eccezione sempre di Extinction) non sono vietati. Classificazione Restricted che fu Anderson a volere a tutti i costi, mente CAPCOM e Sony spingevano per il PG13.

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Un film di puro intrattenimento, quindi, concepito come un horror di serie B ambientato in un’unica location, l’Alveare della Umbrella, e con un pugno di militari che hanno una missione da compiere in un lasso di tempo molto breve, tra ostacoli, trappole, supercomputer impazziti e, soprattutto, gli zombie. Ma, se ci togli la patina dell’alta tecnologia della corporazione brutta e cattiva, le scenografie asettiche dei laboratori e il gusto di Anderson per girare scene d’azione fulminee e pompatissime, RE è un film che a Romero deve davvero tanto e non solo perché gli zombie sono lenti e putrefatti, quello è parte dell’iconografia del videogioco. In realtà, Anderson rende omaggio a Romero in diverse sequenze e, dato che i protagonisti sono soldati, si sbilancia a citare a rotta di collo proprio il film che a questo blog ha donato il nome: dalla prima resurrezione in massa nei sotterranei, alla scena dell’ascensore, fino ad arrivare al foglio di giornale per strada nel finale. Non sono citazioni tanto per far ingraziarsi il pubblico dei fan (nel 2002 c’era poco da ingraziarsi), sono veri e propri tributi all’uomo senza il quale non sarebbe stato possibile non solo il film, ma neanche il gioco a cui il film si ispira. L’uomo che avrebbe dovuto dirigere RE e che, per vari motivi, alla fine non lo ha fatto.

Eppure, è anche grazie a RE e al suo successo che Romero è riuscito a realizzare, tre anni dopo, La Terra dei Morti Viventi. In un certo senso, è grazie a RE se si è tornati a parlare di Romero e dei suoi zombie anche nel XXI secolo. Per cui, il film ha dei meriti che vanno oltre il suo valore effettivo che, vorrei sottolinearlo a costo di perdere dei lettori, è comunque molto alto: Resident Evil è un film capace di intrattenere e divertire anche quindici anni dopo la sua realizzazione. A differenza di molti horror tecnologici del periodo, è invecchiato con classe e non risente affatto del tempo passato. Contiene delle scene memorabili, come quella dei già citati dobermann e quella, senza zombie e affini, della trappola coi laser e, non so che dirvi, è un film che su di me ha sempre un effetto galvanizzante. Lo andai a vedere al cinema due volte e, da allora, quella dei RE è diventata una tradizione fissa della mia vita. Non ne ho mai perso uno in sala, quelli migliori come quelli peggiori e, anche con quelli peggiori, mi sono sempre divertita.
Un appuntamento fisso che mi mancherà. Per fortuna ho il cofanetto. E questo blog, dove posso infliggervi l’intera saga al ritmo di un film a settimana.

7 commenti

  1. Gabriela Guidetti · ·

    Ciao, ti seguo sempre e amo leggere i tuoi articoli. Sono una fan dell’horror da oltre quarant’anni… E anche se sono parecchio attempata non mi stanco mai di fare nuove scoperte. Una di queste è l’ombra della paura, un horror iraniano che sta girando su Netflix….. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi. Io lo ho amato.

    Grazie del tuo tempo.

    Gabriela

    1. L’ho recensito mesi fa ed è anche presente nella classifica dei migliori horror dell’anno che ho pubblicato il 31 dicembre.
      È che ne avevo parlato con il suo titolo originale, Under the Shadow.

  2. Il primo Resident Evil fu qualcosa di molto piacevole

  3. Romero diresse lo spot per Resident Evil della saga preferisco il primo è il terzo,ma il migliore e il film in computer grafica Resident Evil Degenerations,comunque Anderson con Even Horizon ha ispirato un’altra serie di survival horror Dead Space.

    1. Sì, per una campagna aggiuntiva del secondo videogioco, se non ricordo male. Ma aveva anche diretto alcune scene interne al videogioco stesso.

  4. Giuseppe · ·

    Infliggi, infliggi pure dato che me li sono visti tutti pure io 😉 e che mi trovi assolutamente d’accordo sia sul capostipite che sui seguiti, compresi quelli non certo eccelsi ma comunque divertenti (un divertimento che, al di fuori della nicchia di affezionati, credo sia quasi impossibile da spiegare): rimane per noi la curiosità su come sarebbe stata la versione Romeriana di Resident Evil, anche se il rischio di non riuscire a gestire al meglio le elefantiache pressioni “produttive” era davvero altissimo.
    P.S. So che non sei una fan dei film totalmente in CGI (a dire il vero nemmeno io, salvo rare eccezioni come ad esempio Shinji Aramaki e, parlando di RE, Makoto Kamiya) ma mi chiedevo se poi li avessi comunque visti anche tu Degeneration -menzionato da Denis- e Damnation: certo sono più legati al videogame ma, al pari dei film che la CAPCOM ha invece mantenuto del tutto a sé stanti, si possono benissimo vedere senza per forza essere dei giocatori…

    1. Sì, ti giuro che ho provato a vedere Degeneration, però non è proprio cosa per me. Apprezzo il lato tecnico e l’aderenza al fonte, ma non è il “mio” cinema. Non posso farci niente.
      Riproverò con Damnation 🙂

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