Danko

locandina Regia – Walter Hill (1988)

Nei primi 17 minuti di Red Heat assistiamo, nell’ordine, a una scazzottata in mezzo alla neve, una sparatoria in una bettola, un inseguimento a piedi e una retata della polizia a Chicago. Roba che basterebbe a coprire, da sola, un intero film d’azione. Ma Walter Hill economizza: se lui può raccontarti una scena con cinque inquadrature ne usa tre, se può impiegarci cinque minuti, ne usa due. È sempre stato allergico a ogni forma di ridondanza, è il regista pratico per eccellenza. Forse è per questo motivo che la critica ha sempre faticato a definirlo autore. A volte si rende invisibile. Ecco, Danko è un esempio di cinema essenziale, primordiale, privo di orpelli, così come il suo protagonista, un ruolo cucito addosso a Schwarzenneger da Hill. Anzi, il film nasce proprio dal desiderio dei due di collaborare. Hill stimava Arnold non come montagna di muscoli, ma come attore. “Arnold has an ability to communicate that cuts through cultures and countries. They just love to see this guy win. But everyone thinks it’s his muscles. It’s not that at all: it’s his face, his eyes. He has a face that’s a throwback to a warrior from the Middle Ages, or ancient Greece.
E l’idea era proprio quella di far interpretare a Schwarzenneger un eroe sovietico che non si pente di essere tale e rimane, per tutto il film, fedele a se stesso. Scommettere sulla simpatia istintiva che il pubblico provava nei suoi confronti per far passare un personaggio poco in linea con quelli classici dell’action americano. 

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A fargli da spalla e contraltare comico, c’è Jim Belushi, che di eroico non ha proprio niente. È anzi, ricalcando uno schema tipico dei buddy movie di Hilll (e a seguire, di tutti i buddy movie), l’esatto opposto di Danko, individuo puro e adamantino consacrato al dovere. È sul contrasto tra i due, ancora più marcato che in 48 Ore, che vive tutto il film. Un rapporto che non diventa mai amicizia vera e propria ma finisce per basarsi sul rispetto reciproco e sul riconoscimento dei rispettivi meriti, pur con tutte le differenze del caso. Sono due mondi inconciliabili, quelli di Danko e di Art Ridzik e forse la cosa migliore del film è che restano tali fino alla fine. Nessuno dei due personaggi cambia idea sul sistema a cui appartiene e che rappresenta, nessuno dei due personaggi si piega o smussa gli angoli. Rimangono fedeli a loro stessi e, nonostante questo riescono a lavorare insieme.

Se ci fate caso, Danko potrebbe essere interpretato quasi come una sintesi perfetta del cinema di Hill: personaggi granitici (cosa c’è di più granitico di Arnold agente sovietico?), collaborazione temporanea che procede tra attriti e frecciatine e, quando l’indagine si è conclusa e i cattivi hanno fatto una brutta fine, separazione definitiva tra i due protagonisti, senza voltarsi indietro. È così dai tempi di Bronson e Coburn in Hard Times. Sono sempre relazioni transitorie e di circostanza, quelle raccontate da Hill, sempre dettate da necessità superiori o da un tornaconto personale. Non c’è spazio per lirismo o sentimenti, nel cinema fisico e immediato di Hill. Si scava fino all’essenza pura del film d’azione, fino a quando non rimane altro se non l’azione.

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Ma non è azione messa lì tanto per far casino, con tutto che Danko è un film commerciale, realizzato con lo scopo di incassare (obiettivo raggiunto, anche se, quell’anno, venne superato da un altro film con Arnold, Twins) e senza particolari ambizioni. L’azione, per come Hill la concepisce e la traduce in immagini, è il motore stesso della storia, è l’anima di ogni suo film, il cuore pulsante delle sue opere più riuscite. Quel dinamismo incessante che si realizza facendo apparire tutto facile, naturale, come se il film si facesse da sé e non ci fosse nessuno a dirigerlo, quando invece l’orchestrazione di ogni sequenza è altamente complessa. Solo che Hill non te lo fa vedere, non si mette mai in mostra, anche quando, come in Danko, punta all’esagerazione al larger than life più spudorato.
Anche più eccessivo di 48 Ore, di cui Danko potrebbe essere quasi una versione esasperata, pompatissima, muscolare.

Un atteggiamento mutuato dal cinema classico, a cui Hill è sempre stato devoto e dove ha sempre trovato ispirazione. Nel caso di Danko, oltre agli ovvi riferimenti a John Wayne e Clint Easwood, è nella commedia che bisogna andare a cercare molti degli spunti senza i quali Danko non sarebbe così riuscito. In una commedia in particolare, del tutto insospettabile: Ninotchka, di quel genio di Ernst Lubitsch. Addirittura, Hill disse a Schwarzenegger di studiare la recitazione di Greta Garbo in quel film, per prepararsi a interpretare Danko.
Greta Garbo e Arnold Schwarzegger. Solo a leggerli uno accanto all’altro viene da sorridere, ma se avete visto entrambi i film, vi renderete conto che il consiglio di Hill è stato seguito dal suo protagonista e che Danko è sì un film d’azione pazzesco, ma è anche (quasi) una screwball comedy, dove ci si spara addosso e ci si insegue a bordo degli autobus per le strade di Chicago, ma con un ritmo interno, soprattutto quando Belushi e Schwazenegger battibeccano e si scambiano frecciatine, tipico delle commedie della vecchia Hollywood, quelle dirette da Hawks o, appunto, da Lubitsch.

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Se Jim Belushi (a cui Hill chiese di prendere peso per girare il film, mentre ad Arnold fu chiesto di dimagrire) è molto a suo agio in un ruolo comico, è Schwarzenegger la vera sorpresa del film. Che fosse capace di essere autoironico, all’occorrenza, lo sapevano tutti. Eppure non si tratta di quello, in Red Heat: Danko funziona sia come eroe pronto a spaccare grugni e a difendere il socialismo a pistolettate sia come perno della comicità scatenata dai contrasti con Belushi che, ribadiamolo, gli fa da spalla. Non il contrario.
Nick Nolte, in 48 Ore, lasciava volutamente tutta la comicità sulle spalle di un Eddie Murphy incontenibile. Il suo compito era di essere burbero e taciturno. Danko è un ruolo con più sfumature e io lo so che chiudete la pagina se parlo di Schwarzengger e di sfumature nella stessa riga, ma date un’occhiata alla scena alla tavola calda, quando Belushi ordina per lui un tè al limone, o alla faccia che fa quando accende la tv nella sua stanza d’albergo e subito parte un film porno, notate il modo in cui pronuncia la parola “capitalismo”. Io avrò un senso dell’umorismo poco raffinato (e sicuramente deviato), ma ogni volta che lo vedo, non riesco a smettere di ridere.

Perché la grandezza di un regista come Hill sta anche in queste piccole cose, nelle sfumature che distinguono un film soltanto buono da un grande film. Mischiare i generi tra loro in una fusione perfetta, assorbire come una spugna centinaia di influenze cinematografiche diverse e anche antitetiche tra loro ed estrarne un qualcosa di nuovo, vitale, che non invecchia e, anzi, migliora di visione in visione. Una conoscenza profonda e introiettata della macchina cinema che, alla fine, diventa parte di te. Quando fare cinema è come respirare. E, come respirare, sembra un riflesso spontaneo e naturale.

12 commenti

  1. Gabriela · ·

    “Tu conosci Miranda?” …. indimenticabile 🙂

    1. Assolutamente 😀

  2. “Danko nato stanco” detto da Pruit Taylor Vince che affittta la camera di albergo e una genialata di doppiaggio ,un’altra battuta di Peter Boyle “per lo stress cosa usate ,vodka” infatti la sua vendetta e spietata lascia andare Gena Gershon per catturare Victor Rosta sapendo che cosi la farà uccidere.
    Cinema essenziale ma pieno di dettagli comunque su un sito ho visto il bluray di Driver a 3,50 euro se vi può interessare.
    Un saluto Lucia.

    1. Ecco, anche la presenza di Peter Boyle nobilita ancora di più il film. Grande, grandissimo caratterista.

  3. Giuseppe · ·

    Se parli di Schwarzenegger e di sfumature nella stessa riga io non solo non chiudo pagina, ma ne apro all’istante un’altra: quella dove avevi egregiamente recensito Maggie 🙂 Perché, in fin dei conti, considerandolo attore vero, Hill ci aveva già avvertito in largo anticipo -e con cognizione di causa- che un giorno Arnold avrebbe benissimo potuto arrivare a sostenere anche un ruolo come quello…
    Davvero brillante il consiglio di recitare alla “Ninotchka”, questa non la sapevo proprio. E a proposito di momenti duri e umoristici allo stesso tempo, non è male nemmeno quello dove Belushi/Ridzik chiede a Danko di tradurgli quello che Rostavili gli ha appena detto 😉

    1. E in quella sequenza in particolare, Belushi è grandioso 😀

  4. Schwarzenegger e la Garbo avevano un problema in comune, e Hill lo sapeva – a causa del loro accento erano stati limitati a parti con una espressività limitata. Usare un ruolo leggero (se non proprio comico) per sfuggire al typecasting era ed è un’ottima idea.
    Ah, due problemi in comune, Arnold e Greta: anche il numero di scarpe.

    1. Sì, infatti decisero di lavorare insieme a Danko proprio per dare la possibilità ad Arnold di recitare in modo un po’ diverso dal solito.

  5. Alberto · ·

    Bisognerà che vada a rivedermelo, perchè lo ricordo solo come un 48 ore meno scanzonato. Vado.

  6. Un classico, pochi cazzi

  7. Supecult totale.
    Ogni volta che lo rivedo mi pare più bello.

    1. Sì, un filmone della Madonna

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