Non credo sia necessario presentarvi James Herbert: è uno dei maestri della narrativa horror e sci-fi del decennio ’70-’80, uno scrittore che qualunque appassionato del genere dovrebbe conoscere e rispettare. Purtroppo, qui da noi, Herbert è stato pubblicato l’ultima volta nel 1997. Neanche la sua morte, nel 2013, ha risvegliato l’attenzione della nostra editoria nei suoi confronti. Il romanzo di cui parliamo oggi è arrivato in Italia la prima volta con Urania nel 1976, l’anno dopo la sua uscita in Inghilterra, ed è stato in seguito ristampato nel 1989, per i Classici Urania. Dopo quella data, il nulla.
Eppure Nebbia è un libro che ha venduto carrettate di copie e, ve lo assicuro, è famoso e ha, in un certo senso, anticipato molti elementi che, negli anni successivi, sarebbero stati definiti “tipicamente kinghiani”.
Ecco, ora forse ho catturato la vostra attenzione: ho nominato l’unico e solo autore horror reperibile tra gli scaffali delle nostre librerie.
Facciamoci dunque un paio di calcoli.
King ed Herbert sono contemporanei: il primo romanzo di Herbert (The Rats) esce nel 1974 e anche Carrie esce lo stesso anno. Le due carriere proseguono in maniera parallela, anche se King è più prolifico del suo collega britannico, che sforna almeno un romanzo l’anno fino al 1988, mentre il Re ne caccia fuori un paio, tra quelli scritti a suo nome e quelli scritti dal suo alter ego Bachmann.
King ha una popolarità maggiore, di certo. Ma, quando l’horror era un genere capace di fare cassa più di ogni altro, non pensate che fossero poi così distanti, come vendite e riconoscimenti.
Nel suo saggio Danse Macabre (1981) King cita proprio Nebbia, di Herbert, come esempio di ottimo romanzo contemporaneo dell’orrore. Sì, non fate quella faccia, lo so anche io che in Italia è stato pubblicato da Urania e ha una trama facilmente ascrivibile alla fantascienza, ma King ci ha visto lungo e ha chiamato il romanzo con il suo vero nome, horror.
The Fog parla di una misteriosa nebbia giallognola fuoriscita da una crepa durante un terremoto in un borgo rurale in Inghilterra. La nebbia fa impazzire tutti quelli con cui viene a contatto, trasformandoli in psicopatici omicidi e suicidi. A indagare sul fenomeno c’è il funzionario del ministero dell’ambiente Holman, che si trovava sul luogo del terremoto per smascherare alcuni esperimenti illeciti compiuti dal ministero della difesa. La nebbia, per sua stessa natura, è inarrestabile e si espande per tutto il paese, fino ad arrivare a Londra.
Come vedete, la trama è un classico della narrativa apocalittica. L’improvvisa follia che coglie persone fino a quel momento normali, portandole a compiere gesti atroci (ma non sono solo le persone a subire gli effetti della nebbia: anche gli animali ne vengono colpiti), è un cliché sempre pronto all’uso. Non lo era ancora a metà degli anni ’70. Certo, la filmografia sugli zombie aveva reso familiare a spettatori e lettori uno scenario basato sul crollo della civiltà, non in seguito a un attacco nucleare o a qualche catastrofe naturale, ma per un mutamento improvviso nei comportamenti degli stessi cittadini. Che si tratti di morti o di vivi non è poi così importante, perché si tratta sempre di non riconoscere chi ci sta vicino, non potersi fidare di loro, arrivare a temerli e, in casi estremi, a ucciderli per assicurare la nostra sopravvivenza.
È nella prima parte del romanzo che Herbert dà il meglio di sé, instaurando, appunto, un clima di terrore e paranoia diffusi e mostrandoci che nessun personaggio è davvero al sicuro. La nebbia, per sua stessa natura intangibile e inafferrabile, è il mezzo ideale attraverso cui diffondere violenza e paura. E Herbert non si fa scrupoli e colpisce con la grazia e la raffinatezza di un rullo compressore.
Non siamo di fronte a un romanzo sottile o elegante. In Nebbia non c’è tempo per essere sottili o eleganti. Herbert mira allo stomaco del lettore e usa ogni colpo basso a sua disposizione per farlo star male. Non cercate approfondimento psicologico, caratteri di spessore, riflessioni o lirismi vari, perché non ne troverete. Nebbia procede di efferatezza in efferatezza e funziona proprio perché, come il vapore giallo del titolo, non è possibile fermarlo.
Eppure, e qui torniamo al discorso dell’anticipazione di alcune caratteristiche “kinghiane”, Herbert non è solo abilissimo nel mettere su carta gli effetti più brutali della nebbia, altrimenti non staremmo neanche qui a parlarne e il romanzo sarebbe solo una messa in fila scoordinata di atrocità assortite. Herbert è davvero bravo quando si tratta di raccontare i microcosmi in cui la follia si scatena. Delinea con poche righe i tratti distintivi di un personaggio, ce ne racconta, con una sintesi perfetta, passato e presente e poi lo espone alla nebbia e lascia che l’orrore deflagri. A parte il protagonista, che è un abbastanza stereotipato eroe ribelle, che si batte per l’ambiente e finisce per essere l’unico in grado di salvare la situazione (entra in contatto per primo con la nebbia e ne diventa immune), vediamo una carrellata infinita di personaggi diversi, dislocati in ogni angolo dell’Inghilterra e, di ognuno di loro, veniamo a sapere qualcosa.
Questa abitudine di dare spazio a gallerie di caratteri secondari, fatti fuori senza pietà alcuna, ma raccontati nelle loro piccole angosce, gioie, preoccupazioni quotidiane, è abbastanza tipica dei romanzi corali di King. Non c’è da stupirsi se il Re ha usato Nebbia, nel suo saggio, proprio per spiegare come sia possibile scrivere un romanzo semplice, diretto, violento e crudele, e allo stesso tempo preoccuparsi di non rendere tutti i morti ammazzati semplice carne da macello, dotarli di quel minimo sindacale di storia personale che ci permette di investire nella loro sorte, solitamente orribile.
Gente comune, colta a soffrire per amore, a sbattersi per una promozione, a cercare la propria rivalsa nei confronti di un superiore, di un ricco prepotente, di un matrimonio infelice; spiata a fantasticare su un futuro che, lo sappiamo, non arriverà mai, a tentare di difendere la famiglia e i figli, a uscire di casa pensando alla giornata appena iniziata. E tutti loro saranno investiti dalla nebbia e si trasformeranno, perdendo quell’umanità che Herbert ci aveva descritto così bene o soccomberanno alla follia altrui, addirittura dei propri animali rivoltatiglisi contro. Leggere Nebbia equivale a ricevere una tonnellata di cattive notizie.
La spiegazione del fenomeno rientra comodamente nei canoni della fantascienza, così come la soluzione del problema e le misure adottate dal governo per farvi fronte. Ma l’impianto del romanzo è horror puro, che non risparmia nessuno e di nessuno si cura.
Come abbiamo detto, Nebbia è introvabile in italiano. Vi conviene setacciare le bancarelle e cercarlo usato. Al contrario, se leggete in inglese, potete acquistarlo qui, in cartaceo e digitale, insieme a tutta la produzione di Herbert, che comunque vi consiglio di recuperare in blocco, I Topi, Fluke e Stregata (in originale Haunted). Dall’ultimo è stato tratto anche un discreto film nel 1995.
di herbert ho letto “the secret of crickley hall” giusto un paio di mesi fa e l’ho letteralmente adorato. avevo in mente di leggere altro, quindi questa recensione capita a proposito 😉
tra l’altro ho realizzato ora che “haunted” é stato tratto da un suo libro! é stato il primo horror che ho visto (a 7 anni su una nave, in una sala completamente vuota) e mi aveva abbastanza traumatizzata 😀
Haunted è un buon film e, visto a una certa età, mette addosso una discreta strizza. Poi io ho un debole per quel tipo di ghost story 🙂
Letto parecchi anni fa, mi era piaciuto, ma non in maniera esagerata. Però ho come l’impressione di averne letta una versione mutilata. Hai ragione nel dire che procede come un rullo compressore, ma quella la trovo una caratteristica comune a tutti i romanzi di herbert, perché tra quelli che ho letto, di raffinato c’è ben poco.
Se hai letto la versione Urania originale (non quella dei Classici pubblicata circa dieci anni dopo) è una versione mutilata.
Sì, Herbert era uno schiacciasassi. Non è mai stato uno scrittore raffinato e va bene così. Leggerlo è uno spasso 😀
Non solo anticipa tipici elementi kinghiani ma presenta anche delle interessanti assonanze Romeriane, direi: penso a “La città verrà distrutta all’alba”, con la sua minaccia di origine militare -praticamente pari effetti sulle vittime, al netto degli animali- pur se certo meno suggestiva ed inquietante della nebbia di Herbert…
O.K., si va di bancarelle ben “Uraniate” (che non mancano, per fortuna) 😉
Però attenzione a prendere la versione dei Classici di Urania, che è quella integrale, perché l’Urania normale lo hanno mutilato 🙂
E infatti punto proprio ai Classici, visto che gli anni del “magico” duo Fruttero e Lucentini me li ricordo bene (anche troppo) 😉
Di Herbert ricordo il romanzo “Il superstite”, anch’esso pubblicato su Urania. Un horror bello e buono e anche abbastanza terrificante.
Sì, i romanzi di Herbert fanno paura. Si divorano in un attimo e non ti stancano mai.
Mi dispiace sapere che autori di questo tipo non siano pubblicati (o almeno ristampati) in Italia. Ne varrebbe veramente la pena e non dovrei ogni volta cercare in ogni luogo i loro lavori.