Lo so che avevamo detto ogni mercoledì, ma questa settimana facciamo appuntamento doppio, perché l’occasione è troppo importante e ghiotta per non approfittarne. Mercoledì ci occuperemo di uno slasher anni ’80 e oggi festeggiamo il ritorno di Mark Pavia, che non si metteva dietro la macchina da presa dal 1997, da quel The Night Flier che la sottoscritta continua a considerare la miglior trasposizione mai realizzata da un racconto di King.
Non so cosa abbia fatto Pavia in tutto questo tempo, ma sono cinque anni che lo seguo su Facebook e due cose mi hanno sempre stupita di lui: un entusiasmo e una carica positiva che scuotono anche i muri e un amore sincero per tutto ciò che riguarda il cinema dell’orrore. Roba che persino io, tendente al nichilismo più estremo. a volte mi faccio contagiare dall’energia di un suo status. O dal sorriso smagliante e dalla faccia da ragazzino che mostra nelle foto.
Uno così, che riesce a tenere questo atteggiamento dopo vent’anni di inattività, si merita tutto il meglio possibile. Perché Pavia ci ha sempre creduto. E, finalmente, ecco un nuovo film, prodotto dalla Scream Factory (sempre sia lodata) e basato su una sceneggiatura originale dello stesso Pavia. L’idea, a quanto pare, gli è venuta in mente durante un giro in macchina con un amico: un tamponamento da niente, i due guidatori che scendono dal veicolo e si scambiano generalità, numero di telefono e indirizzo. E se uno dei due fosse un assassino che adesso sa tutto di te?
Questo lo spunto da cui parte Fender Bender, espressione significa, appunto, ammaccatura, piccolo incidente di poco conto. Jennifer (Makenzie Vega), una diciassettenne che ha appena preso la patente, sta vivendo il peggior giorno della sua vita: scopre che il ragazzo la tradisce e, mentre torna a casa in lacrime, viene tamponata da un altro veicolo. Come se ciò non bastasse, i suoi genitori, quando vendono i danni subiti dalla macchina, la mettono in punizione, chiudendola in casa per tutto il fine settimana, mentre loro partono e Jennifer rimane sola e si deve anche sciroppare le beghe con l’assicurazione.
L’uomo che l’ha tamponata (e che noi vediamo in faccia sin dall’inizio), interpretato da Bill Sage, le scrive la sera stessa. Un po’ inquietante, ma apparentemente innocuo. Qualcuno le manda una torta con su scritto “sorry” e lei pensa sia stato il suo ormai ex ragazzo che si vuole scusare. I suoi amici si presentano alla porta per consolarla. Tutto nella norma.
Ma poi la luce va via e inizia il film.
Che è uno slasher molto classico e molto pulito. Entrambi gli aggettivi, per me, corrispondono a complimenti di un certo rilievo.
Classico perché ricalca il modello dello slasher dal ’79 in poi, ma rifugge con un certo coraggio da una facile ambientazione negli anni ’80 e si confronta con la tecnologia moderna, sfruttandola anche ai fini degli sviluppi della storia. Anzi, si può dire che gli smartphone ricoprano un ruolo importante nell’economia del film. Classico nel senso di non voler rielaborare o destrutturare alcunché, ma di riproporre, invariata e intonsa, una formula che continua a funzionare, ma con la consapevolezza e la competenza necessarie a non scivolare nello stereotipo, in particolar modo per quanto riguarda i personaggi. Ecco, nessuna regola alla Scream, per esempio, ché ormai le conosciamo tutti e non è importante ribadirle ancora. Soltanto un’ombra che si muove silenziosa nella notte e uccide senza alcuna motivazione, per il semplice gusto di farlo.
Pulito nel senso di essenziale e scarno, da un punto di vista estetico. Molto bello da vedere, con colori caldi, movimenti macchina lenti e avvolgenti, nessuna isteria in sede di montaggio, uso praticamente nullo della macchina a mano. Tante inquadrature fisse, tanti campi lunghi e medi, tanti carrelli in avvicinamento e spostamenti impercettibili della camera negli ambienti. Una composizione del quadro sempre geometrica, rigorosa, che permette all’occhio di godersi appieno l’azione.
Non è un film rozzo o amatoriale, Fender Bender, e neanche ricade nei vezzi tipici di certo cinema indie della parrocchietta iconoclasta che, perdonatemi, ormai fatico a sopportare. Ed è forse il motivo per cui piacerà solo a me. Perché classicità e pulizia non sono più di moda. Come del resto non lo è più la semplicità. Ecco, Fender Bender è film semplice, un manuale dello slasher perfetto pronto all’uso. Niente di rivoluzionario, per carità, ché qui di rivoluzioni del genere horror siamo pure un po’ stanchini. Ma, se volete vedere un buon prodotto che vi regali un’oretta e mezza di tensione, un paio di momenti spaventosi (senza jump scares, ribadisco, senza jump scares) e una regia che mostra grande attenzione ai dettagli, allora allacciate le cinture e godetevi il giretto.
Il body count non è particolarmente alto, anche perché il film dura poco, ma gli omicidi a cui assistiamo (tutti in campo) sono violenti e ottimamente messi in scena. Uno di essi contiene persino un certo accanimento sadico, tipicamente da giochino del gatto col topo, che non guasta mai. Come in ogni slasher che si rispetti, non è tanto la deflagrazione splatter dei corpi fatti a pezzi, quanto l’attesa della prossima mossa del killer e la sua risoluzione brutale a stare al centro della scena. Killer che è caratterizzato benissimo e riesce a essere uno spauracchio da incubo nonostante lo vediamo in faccia subito e sappiamo sin dall’inizio chi sia. Merito della maschera, davvero un bel colpo per il reparto costumi, ma anche del suo incedere implacabile, della postura che ricorda Michael Myers. Tutte caratteristiche che, sommate, contribuiscono a dar corpo a un essere a metà tra l’umano e il mostruoso.
La colonna sonora retro, firmata dai Night Runner fa un gran lavoro d’atmosfera ed è, insieme al gusto di Pavia nella messa in scena, l’unico elemento davvero vintage di Fender Bender. Ho apprezzato molto l’utilizzo del tema principale (venato da una certa malinconia), che diventa spesso diegetico, come nel caso del carrillon della protagonista. In generale, la musica non è onnipresente e non martella le orecchie dello spettatore, alzandosi all’improvviso per causare lo spavento pavloviano. Si tratta più di un tappeto sonoro, che aiuta a immergersi nel film e genera inquietudine con pochissime note.
Sono i piccoli particolari a farmi amare Fender Bender: lo sfruttamento degli agenti atmosferici come il vento e i lampi; alcune scelte di illuminazione che rimandano a Carpenter e al modo unico di far emergere oggetti e persone dalle tenebre tipico del Maestro; i piccoli tocchi crudeli disseminate ad arte da Pavia lungo tutto il film e che esplodono nel finale, vissuto dalla sottoscritta come un bel calcio dritto sul grugno. Il problema è notarle, perché non c’è nulla, nel film, che sia gridato o anche solo ostentato. Fender Bender è un piccolo e sottile slasher, dalla concezione antica, ma dalla resa modernissima.
E speriamo sia un punto di partenza per Pavia e per rilanciare una carriera interrotta troppo presto. Ben tornato, Mark. Grazie.
1) niente jump scares;
2) niente musica onnipresente/invadente;
3) rimandi a carpenter/michael myers.
venduto al 100% 🙂
Spero ti piaccia! E spero anche sia disponibile il prima possibile in dvd anche in Italia perché voglio averlo sul mio scaffale!
Ogni tanto ci vuole un bel film che, semplicemente, ti faccia passare quell’ora e mezza con piacere. Puro piacere, senza pretese di essere un capolavoro oppure senza la sensazione di star lì a guardare ‘nammerda. Alla fine ti senti leggero, rinato.
Grazie per portare alla luce questi film!
Grazie!
L’intrattenimento serve a questo: a volte un bel film, pulito e ben messo in scena è il modo migliore per passare la serata.
Fra gli altri, il killer mi ricorda -oltre a Michael Myers- anche un po’ del personaggio di Cronenberg in Nightbreed…
Sarebbe stato un vero peccato se il cammino orrorifico di un talento come Pavia si fosse interrotto definitivamente già ai tempi di The Night Flier, ma per fortuna vedo che non è andata così! E, adesso, spero che sia tornato per rimanere a farci compagnia, continuando a prendere spunti per creare altri gioiellini “minimali” (nel senso più nobile del termine) come questo 🙂
Sì, la “fisionomia” della maschera è simile a quella dell’assassino di Nightbreed.
Ora vedremo cosa combinerà in futuro, se la collaborazione con la Scream Factory continuerà. Speriamo bene!
Appena finito di vedere: un buon film con un ottimo finale, a mio giudizio la parte migliore. Validissima anche la musica, proprio come dici tu. Io l’ho trovato molto Carpenter degli anni Ottanta, soprattutto nei movimenti di camera. Ciò di cui non mi capacito mai è perché la vittima, una volta in vantaggio, non trasformi in poltiglia fine la testa del carnefice… Ah sì, vero, è un film.
Un caro saluto e grazie del consiglio, Simone.
Più che un film, è uno slasher! 😀
Ma questa volta gli aveva dato fuoco, all’assassino.
Se quello non muore neanche per sbaglio, che deve fare lei? 😛
Questo mi è veramente piaciuto. Ormai per l’horror non do retta a nessun altro (solo una volta un film che avevi caldamente consigliato non mi è proprio andato giù, ma non ti dico quale se no mi insegui col forcone). Comunque, con tutte le desolanti pellicole che escono, non capisco come non si trovi un posto nelle sale per cosine tanto ben fatte.
No, ora devo sapere 😀
Giuro solennemente che non avrò reazioni incontrollate!
Ah, la distribuzione si muove in modi misteriosissimi, non sapremo mai cosa spinge a fare uscire in sala un titolo sì e un altro no. Purtroppo, da noi arrivano sempre cose moscette.
Ehm… It Follows.
No, non ti inseguirei mai con il forcone per una cosa del genere. Se avessi detto The Babadook, ci avrei fatto un pensierino 😀
Salvo 🙂
Ah, a proposito, sta per cominciare Z-Nation 3 su Axn. Lo guardo?
Sì! Soprattutto guarda il pilota di quasi due ore che è favoloso. Un film, in pratica.
Obbedisco.
L’ho visto un paio di giorni fa, in anteprima e in sala, durante Lucca Comics & Games e confermo la qualità a cui (nel bene e nel male) questa serie TV ci ha abituato. Il personaggio di The Man è un grande villain, ma almeno in questo pilot non ho riscontrato la usuale vena ironica… Speriamo non inizino a prendersi un po’ troppo sul serio!
Ciao, Simone.