Forse non sono la persona più adatta per parlare di questo sequel, che arriva con quei bei 23 anni di distanza dal capostipite e finisce nella zona che compete a un certo tipo di operazione: il DTV. Non sono la persona più adatta, dicevo, perché non ho mai amato il film di John Woo del ’93 e, a dirla tutta, non sono mai stata un’appassionata di Woo. Hard Target poi, se lo si dovesse vedere proiettato a velocità normale, credo durerebbe una ventina di minuti. Intendiamoci, non è un brutto film, è solo che lo stile del regista di Hong Kong non è proprio nelle mie corde e quel continuo enfatizzare ogni gesto, persino Van Damme che va al gabinetto, è l’esatto contrario della mia, personalissima, concezione di buon gusto cinematografico. Certo, in Hard Target c’era Lance Henriksen che faceva il cattivo e ogni film in cui sia presente Lance val la pena di essere visto, anche se è brutto, perché prima o poi, quando meno te lo aspetti, l’attore riuscirà a nobilitarlo in qualche modo.
Quindi, il fatto che sia stato realizzato, fuori tempo massimo e direttamente in video, un secondo capitolo di Hard Target, non va a toccare nulla di sacro. Ho visto il film con un atteggiamento molto laico e distaccato e come una specie di antipasto per quel Boyka che si sta facendo attendere un po’ troppo. E, tutto sommato, mi sono divertita un mondo.
Ciò che mi ha spinto a voler scrivere un post è stato chiedermi se fosse possibile parlare di un film di questo tipo seriamente, senza sciocche battutine e ammiccamenti al chirurgo plastico di Rhona Mitra, per esempio. Parlarne da un punto di vista cinematografico, evidenziandone pregi, difetti e limiti dovuti alla sua stessa struttura di prodotto che non nasce per il grande schermo e che vive all’ombra di un qualcosa di più grande di lui. Perché esiste, ed è inutile nasconderselo, un problema critico relativo a quei film considerati di seconda fascia. Film di genere, quasi sempre, a meno che un autore riconosciuto non si cimenti nel genere e allora ci sarà la corsa a dire che quel film non è un film di genere. Sta succedendo, proprio in questi giorni, con Arrival, al Festival di Venezia. O, per addentrarsi in territori meno nobili della fantascienza, con gli horror Brimstone e Prevenge. Ci sono, da parte della critica, un vergogna e un’incapacità dichiarate di parlare di cinema di genere a cui fa da contraltare la completa mancanza di serietà nell’affrontarlo da parte di chi si professa appassionato. Con questo, non voglio dire che un film come Hard Target 2 necessiti di chissà quali disamine approfondite, ma almeno sarebbe il caso, se proprio se ne deve scrivere, di non ridurre il tutto a burletta o all’esternazione della parte peggiore di noi, che di solito consiste nel sottolineare quanto e come la macchina da presa (ma i critici dell’internet continuano a usare il termine telecamera) indugia sul posteriore dell’attrice di turno. E no, ciò non implica affatto una rinuncia alla leggerezza, ché questi tipi di film esistono apposta per alleggerirci la vita.
Detto ciò, non so quanto sia lecito parlare di seguito, a proposito di Hard Target 2, dato che gli unici riferimenti all’opera di Woo consistono nella celeberrima caccia all’uomo e nella presenza, ogni tanto, di qualche colomba svolazzante. Per quanto riguarda la caccia all’uomo, è un espediente narrativo che ha origini ben più lontane del 1993 e quindi, se si escludono il titolo ingombrante e i pennuti di cui sopra, Hard Target 2 è completamente autonomo: Scott Adkins è un lottatore che uccide il suo migliore amico sul ring, durante un combattimento. Tormentato dal rimorso e dai sensi di colpa, lo ritroviamo qualche mese dopo in Tailandia, dove partecipa a combattimenti clandestini pagati una miseria e cerca di mettere da parte i soldi per comprare una casa alla vedova del suo amico. Una sera, gli si avvicina un losco figuro (Robert Knepper) e gli offre un milione di dollari per un incontro in Myanmar. Ovviamente tutti tranne Adkins si accorgono che si tratta di una truffa e il nostro Scott si ritrova con una bottiglia d’acqua in mezzo alla giungla e sei individui armati di balestra che gli danno la caccia. Uno degli individui armati di balestra è Rhona.
Quando parliamo di horror, sappiamo tutti che i i film non distribuiti in sala (o dalla distribuzione estremamente limitata) mostrano cose che i loro colleghi cinematografici non si potrebbero neanche permettere di immaginare: è così anche per il cinema d’azione. Per quanto il DTV sia spesso una faccenda abbastanza miserabile, è comunque un sottobosco brutto, sporco e cattivo, un’isola di libertà dove il sangue scorre a più non posso, dove le ossa si rompono, dove le frecce lasciano ferite nella carne e dove nessun montatore si azzarda a staccare una frazione di secondo prima che un colpo vada a segno. Anzi, se facesse una cosa del genere, ci finirebbe lui in mezzo alla giungla a fare da bersaglio per le balestre.
Insomma, se si ha un budget non proprio da disperati e si possono spendere due spicci per assemblare un cast di belle facce, tra caratteristi e atleti, se avanza qualcosa per un paio di esplosioni vere da affiancare a quelle aggiunte in post produzione, e se poi ci rientrano anche qualche elefante e tre o quattro motociclette armate, si può confezionare un prodotto solido e credibile, in cui la violenza circoli selvaggia e senza freni dettati dalla censura. Il che, con il nuovo cinema azione asettico e pulitino che circola in sala oggi, è davvero una manna dal cielo.
E Hard Target 2 possiede, per sua fortuna, tutte queste caratteristiche, oltre a un discreto regista, con decine di titoli DTV sul groppone, che riesce a estrarre il meglio da tutto ciò che ha a disposizione. E così, per i primi 20 minuti, noi assistiamo a una successione ininterrotta di botte, con Adkins in grandissimo spolvero. L’intelligenza del film (sì, ho detto intelligenza) sta nel saper raccontare una storia, per quanto esile e scontata sia, attraverso le botte, che è comunque molto più di quanto facciano tanti action distribuiti in sala in pompa magna, spreco di quattrini e velleità autoriali. Dalle botte sul ring e nei tuguri fatiscenti degli incontri clandestini, si passa alla caccia, alla fuga, ad altre mazzate, tra campi minati, accoltellamenti, inseguimenti in moto, scontri corpo a corpo e con armi da fuoco. Un’ora e quaranta minuti di azione pura.
Forse, ecco, un piccolo appunto sulla durata eccessiva è da fare, perché reggere un ritmo del genere così a lungo non è facile e, ogni tanto, si rischia di essere ripetitivi. Reiné sembra pagare dazio allo stile Woo e, ogni tanto, abusa del ralenty, allungando sequenze che sarebbero state più efficaci a velocità normale.
Anche perché, il film funziona meglio quando va a rotta di collo: c’è una sequenza di morte così fulminea e brutale che sono saltata sulla poltrona. Avviene in un attimo, ma è una scena che fa male e che difficilmente si dimentica. Ed è giusto così: nei DTV si muore in campo e si muore male, i cattivi sono cattivi sul serio, se ti colpiscono sanguini e, se ti sparano, il tuo corpo diventa un colabrodo.
In un momento storico in cui i film d’azione soffrono una crisi profonda, dovuta soprattutto agli annosi problemi di censura di cui si è discusso un’infinità di volte, rivolgersi al settore anarcoide e un po’ lurido del DTV può anche riservare qualche sorpresa positiva. Basta saper scegliere bene.
Tra quelli che bazzicano il tuo blog sono uno di quelli che più soffre le limitazioni del pg13 nell’action contemporaneo, ho fastidio fisico per i vari Toretto e The Rock che cadono da un aeroplano e non si fanno un graffio. Quindi, ben venga Hard target 2 e il glorioso action DtV!
Per quanto a me piaccia molto tutta la saga di F&F, il sangue e le botte mi mancano sempre tanto.
In effetti, più che un sequel vero e proprio di quell’ottimo action movie che per me è sempre stato l’Hard Target originale, pare esserne una rivisitazione contemporanea. Vedibile, al limite, anche indipendentemente dal primo film (i richiami alla storia nonché allo stile di Woo -da me amato assai anche come produttore dell’anime Appleseed Ex Machina- sono ridotti all’essenziale, appunto, e forse non a caso se ci si vuol rivolgere anche a un pubblico che Woo non lo conosce o lo apprezza granché).
Parlando dei sadici “cacciatori”, se Knepper qui mi ricorda il ruolo che fu di Henriksen, il personaggio di Rhona sembra assimilabile a quello del socio impersonato da Arnold Vosloo…
Sì, se lo stile di Woo piace, Hard Target (anche se la produzione americana ruppe parecchio le scatole al regista) è un ottimo action.
Questo è, ovviamente, molto più povero di ambizioni. Ma è comunque divertimento assicurato.