L’estate è sempre il momento migliore per recuperare i classici e ci sono pochi horror che possono essere considerati più fondamentali di Hellraiser, un’opera che ha lasciato tracce profonde in tutto il cinema dell’orrore a venire, soprattutto in quello dl nostro passato recente. Il suo immaginario e la sua estetica sono alla base di un numero infinito di epigoni. Pensate, solo per fare un esempio eclatante, a Martyrs: senza la geniale intuizione di Clive Barker, con ogni probabilità, non sarebbe mai esistito. Un’influenza, quella di Hellraiser e dei suoi cenobiti, che si estende anche al di fuori della sfera cinematografica. Non credo che sarebbe stato possibile concepire una qualunque delle varie creature da incubo che popolano Silent Hill, se Pinhead e compagnia brutta non avessero fatto il loro ingresso nei cinema di tutto il mondo nel 1987.
E parliamo di un film a bassissimo costo tratto da una novella di poche pagine.
Dicevamo una cosa simile giusto un annetto fa, in un post dedicato a Cabal: i film che hanno a che fare con la narrativa di Barker sono quasi sempre dei buoni prodotti, sia che li diriga lui personalmente, sia che non abbia in essi alcun ruolo creativo. La scrittura di Barker non è dettagliata come quella di King. Questo giova alle trasposizioni, concede molta più libertà a registi e sceneggiatori. Se leggete il racconto da cui è stato tratto Candyman, vi renderete conto di quanto poco lo scrittore dica esplicitamente dell’ambientazione e quanto invece si limiti a suggerirla con brevi pennellate, un modo di scrivere che io ritengo molto “cinematografico”, sebbene si tenda spesso a credere il contrario, ed è alla base del successo dei film derivanti dalle opere di Barker.
Stessa cosa si può dire per Schiavi dell’Inferno, l’origine di quel mito di Hellraiser.
Hellraiser è l’esordio dietro la macchina da presa di Clive Barker, che avrebbe poi ammesso candidamente di non avere alcuna nozione tecnica su come si girava un film e che, per questo, veniva spesso trattato con un certo sussiego dalla troupe, su cui dovette fare totale affidamento.
In seguito, Barker sarebbe molto migliorato, non tanto in Nightbreed, quanto ne Il Signore delle Illusioni, a mio parere uno dei fanta-horror più belli degli anni ’90. Ma la sua inesperienza è piuttosto evidente, se si guarda oggi al primo Hellraiser. Ciò non toglie che, al netto del budget basso della pellicola, al netto delle lacune di Barker e di una certa aria datata che il film si porta addosso come uno strato di polvere, Hellraiser sia il contenitore di un immaginario così estremo e di un’estetica così radicale, da saper suscitare, anche a quasi trent’anni di distanza dalla sua realizzazione, brividi a pacchi, disagio a tonnellate e disgusto a badilate.
Fa parte, nominalmente, della grande famiglia del body horror, Hellraiser. E tuttavia è anche un oggetto che fa storia a sé, che dal body horror recupera il gusto per le mutazioni e le mutilazioni del corpo e le unisce al cinema demoniaco. Ma non solo, ne fa il veicolo di un discorso erotico su sadismo e masochismo che poteva essere ancora più accentuato, se solo il film non avesse subito tutta una serie di tagli a partire dalla sceneggiatura.
Ed è anche un horror con una fortissima componente fantasy, divenuta ancora più evidente nel secondo capitolo, un horror che parla di dimensioni altre, edificate sulla sofferenza fisica che, portata all’esasperazione, si tramuta in piacere. E viceversa. Luoghi che solo per comodità chiamiamo inferno, ma sono in realtà molto altro.
Il primo capitolo della saga è quasi interamente girato in una casa, non ricostruita in teatro, ma una casa vera e propria, ambiente che limitò tantissimo i movimenti di macchina e le possibilità di utilizzare angolazioni diverse. Limiti che si notano soprattutto nelle scene in soffitta, dove si svolge gran parte del film, angusta e claustrofobica. Eppure sono proprio queste limitazioni a dare al film il suo look inconfondibile: povero, scalcinato e, allo stesso tempo, opprimente e dotato di un fascino unico.
La vicenda di Frank che, dopo aver acquistato e aperto la famosa scatola, riesce a sfuggire ai cenobiti e torna nella nostra dimensione come un viscido ammasso di carne scuoiata e ossa, di Julia che gli procura i corpi con cui tornare integro e di Kristy (una splendida Ashley Laurence) che commette l’errore di stringere con i cenobiti un patto per salvare suo padre, è nota a tutti. Pinhead, (Doug Bradley, la cui carriera resterà per sempre legata a questo ruolo) e soci compaiono per pochi minuti ed entrano di prepotenza nella variegata galleria di icone terribili di cui il cinema horror è popolato. Che poi, il demone con i chiodi in testa ancora non era Pinhead, nome attribuitogli in seguito e mai amato da Barker, ma semplicemente The Lead Cenobite.
I titoli di testa spartani, scritte bianche su fondo nero, con il tema orchestrale di Christopher Young resteranno invariati in quasi tutti i numerosi seguiti, diventando il marchio di fabbrica dell’intera saga. E potrebbero essere usati come sintesi di un film che è obbligato a essere essenziale per motivi meramente economici, ma che possiede un’anima barocca, esplicitata nei costumi dei cenobiti, nel gore eccessivo, nei brevi squarci che si spalancano sulla superficie del nostro mondo e fanno intravedere gli orrori cosmici che ci sono al di là di esso.
Hellraiser era costato 1 milione di dollari, una cifra ridicola, anche nel 1987. Nessuno si aspettava un successo simile: il film quadruplica il suo budget soltanto nel fine settimana, pur con una distribuzione limitata. Se l’incasso totale negli Stati Uniti si ferma a “soli” 14 milioni di dollari, è difficile da quantificare quanto il film abbia guadagnato all’estero, senza contare poi la sua lunga vita nel circuito dell’home video.
La novella Schiavi dell’Inferno viene ristampata in occasione dell’uscita del film. Le quotazioni di Barker, come scrittore e regista, salgono alle stelle. Ciò avrebbe poi portato dritti al disastro di Cabal. Ma, prima di Cabal e prima del suo flop critico e di cassetta, c’è un seguito di Hellraiser a cui pensare. La New World Picture stanzia un budget maggiore, Barker resta alla produzione esecutiva, mentre la regia viene affidata a Tony Randel, montatore non accreditato del primo film.
Hellraiser II è un film che soffre di troppi rimaneggiamenti in sede di scrittura: all’inizio doveva essere l’ultima apparizione di Bradley nel ruolo di Pinhead e il cattivo principale, quello destinato a continuare la serie, doveva essere Julia. Ma l’attrice Claire Higgins si rifiutò di proseguire. Odiava i film dell’orrore e gira voce che non abbia mai visto per intero nessuno dei due capitoli di Hellraiser a cui ha partecipato. Inoltre, dalle reazioni del pubblico a Hellraiser, era evidente che Pinhead fosse il personaggio rimasto più impresso nella fantasia dei fan. Un altro attore che non volle riprendere il suo ruolo fu Andrew Robinson, Larry, il padre di Kristy. Tutto questo accadde a sceneggiatura ultimata e a riprese iniziate, quindi il film venne, in pratica, riscritto in corsa.
Si spiega così la totale mancanza di coerenza narrativa che permea Hellraiser II. In poche parole, nulla di ciò che accade ha senso, ma accade benissimo, così bene che si perdona uno script zoppicante e pieno di forzature, e ci si gode la potenza visiva di un’opera che sfrutta un budget finalmente decente per mostrare tutto ciò che nel primo capitolo non era stato possibile mettere in scena.
Hellraiser II ha l’andamento di un incubo a occhi aperti. Anzi, di una paralisi notturna da cui non ci si può svegliare. Non solo si spinge ancora più a fondo sull’immaginario erotico di stampo sado-masochista, non solo aumentano sangue ed effettacci, ma possiamo dare uno sguardo più completo alla dimensione da cui i cenobiti provengono, alle loro origini, a quel nucleo di male e corruzione in cui si precipita nel momento in cui si mette mano alla scatola maledetta.
So che è un termine abusato, ma Hellraiser II è un film visionario per davvero, dove è l’estetica e non la narrazione a reggere tutta la baracca e, se può essere considerato frammentario e incoerente, è uno splendore da vedere.
Ma Pinhead aveva ancora un film dove sparare tutte le sue cartucce. L’ultimo, per quanto mi riguarda, perché, a partire da questo capitolo, la saga ha cessato di esistere e gli altri film sono spazzatura di bassa lega a cui non ho voglia neanche di pensare.
Per arrivare a un terzo film dedicato ai cenobiti, bisogna aspettare il 1992: la casa di produzione originale va in fallimento, il marchio passa alla Miramax e alla sua diramazione horror, la Dimension Film. Hellraiser III segna l’uscita di Pinhead dall’Inghilterra (dove erano stati girati i due film precedenti) e il suo arrivo, sia come ambientazione che come produzione, negli Stati Uniti.
Il regista è il mio amatissimo Anthony Hickox, quello di Waxwork, che conosce bene il mestiere, e imprime al film il suo stile.
Le atmosfere sono molto diverse da quanto visto nei due film precedenti. Cambia tutto: location, protagonisti, impostazione generale della storia e messa in scena.
È anche la prima volta in cui vengono fatti dei riferimenti espliciti alla religione, con la scena nella chiesa, quando Pinhead (mattatore incontrastato del film) mima una crocifissione.
L’inferno arriva sulla terra e Pinhead, imprigionato in una scultura acquistata dal proprietario di un locale, Il Boiler Room, non ci mette molto a liberarsi, sfruttando gli istinti più bassi e la malvagità insita negli abitanti di una grande città, quasi sempre ripresa di notte.
Ci sono tante sequenze memorabili, nel terzo Hellraiser: Pinhead che scuoia in una frazione di secondo una ragazza dopo averla uncinata, la strage nel club, tra lingue prese all’amo e CD usati come armi da taglio, l’apparizione di una nuova squadra di cenobiti che va a sostituire quelli vecchi, scomparsi nel secondo capitolo, la fusione tra Pinhead e l’uomo che un tempo era stato, il capitano Spencer. Il film è un susseguirsi di momenti pazzeschi e ha un ritmo molto più rapido dei predecessori, entrambi sospesi in un limbo onirico che a questo film manca del tutto. È più un horror d’azione che un fanta-horror, un film adrenalinico, che, senza voler bestemmiare e fatte le debite proporzioni, ricorda un po’ l’operazione fatta con Aliens: realizzare un qualcosa di completamente diverso e, tuttavia, in grado di rispettare lo spirito originario e l’immaginario di riferimento.
Se si esclude il primo, ormai entrato di diritto nella sfera del mito, capitolo firmato da Barker, questo resta il mio preferito di sempre.
È in lavorazione un ennesimo film che vedrà il ritorno dei cenobiti sullo schermo dopo quella porcata immonda di Revelations, del 2011. Si chiamerà Hellraiser: Judgment e, dalle prime immagini disponibili online, sembra segnare un ritorno alle origini. Il regista è noto per aver diretto un corto ispirato proprio a Pinhead e si tratta anche di un lavoro notevole. Potete vederlo qui.
Tutto questo fa ben sperare, ma nel frattempo, in questa calda estate 2016, io una bella maratona dei primi tre film ve la consiglio. E, mi raccomando, niente lacrime…
Niente sprechi!
Non si spreca così la sofferenza 😀
Bellissimi, del terzo ricordo anche la colonna sonora, con la canzone omonima di Ozzy, che se ricordo bene chiude il film con la visione dell’edificio realizzato con i disegni della scatola
Era Lemmy! C’era pure il videoclip in cui giocava a carte con Pinhead ❤
Non me ne intendo eh 🙂 io avevo guardato qua: https://it.wikipedia.org/wiki/Hellraiser_(Ozzy_Osbourne)
Ah ecco, a non studiare fino in fondo 🙂 l’hanno scritta loro ma nel film la interpreta Lemmy, ho capito https://it.wikipedia.org/wiki/Hellraiser_(Mot%C3%B6rhead)
L’idea del primo in cui Frank deve mangiare gli uomini per ricostruirsi e le torture degli uncini che ti strappano a pezzi mi sono sempre piaciute,Barker e stato più intelligente nei llbri non eccedendo nelle descrizioni cosi i lettori rimangono meno delusi dalla trasposizione cinematogafica rispetto a quelli di King.
Barker è uno degli scrittori più raffinati e intelligenti che l’horror abbia avuto la fortuna di avere.
Uno dei mostri più iconici del cinema horror senza dubbio
Forse quello dal look più inventivo.
concordo, non ci troviamo di fronte al classico mostro horror, ma a qualcosa di mostruoso e,a suo modo, “raffinato” nello stile
Più che nelle descrizioni, io direi che nei libri di Barker (a differenza di King) non si eccede con le caratterizzazioni dei personaggi. Per questo lo stile di Barker appare più cinematografico e rende meglio nelle trasposizioni. Paradossalmente King è più cinematografico nello scritto che su pellicola, proprio perché minuzioso nella descrizione visiva ed emotiva.
Ma è parco anche di descrizioni in quanto tali. Paradossalmente, Barker, che ha un immaginario più barocco di quello di King, lo mette su carta con parsimonia.
Una delle più grandi creazioni ever del mondo horror, una fonte di ispirazione continua. Il secondo capitolo per me shock totale, quando lo vidi rimasi paralizzato dalla bellezza dell’inferno rappresentato.
Coincidenza vuole che abbia giusto in questi giorni messo le mani sui comic che continuano la storia di Schiavi dell’Inferno… 🙂
Vero, il secondo capitolo, visivamente, è una cosa incredibile. Non solo l’inferno, ma anche il mostro in cui si trasforma il dottore di Kristy.
A me metteva una paura infinita e, anche oggi, mi mette sempre a disagio.
E la rivelazione di cosa erano i cenobiti prima di diventare tali…
I brividi.
Questa è una perla che mi sono sempre perso e che solo quest’anno sono riuscito a recuperare. E per fortuna, mi ero perso dei lavori incredibili.
Degli ormai otto seguiti, nessuno vale qualcosa? Io ricordo di essere arrivato a quello nello spazio ma a parte i flashback sulla vita del giocattolaio, mi pare, non ho altre memorie. Sono tutti spazzatura?
Quello sull’astronave aveva un concept meraviglioso, ma è stato completamente stravolto perché hanno cacciato il regista, ne hanno preso un altro, hanno rimontato tutto e tagliato almeno mezz’ora di girato, inserendo altre scene non presenti nella sceneggiatura originale. Ed è uscito un pasticcio.
Gli altri, secondo me, sono tutti inguardabili. Ciofeche di proporzioni cosmiche.
Tant’è che il quarto come regista porta il famigerato pseudonimo Alan Smithee, se non ricordo male (un capitolo potenzialmente grande -e ancora sufficientemente barkeriano, pur se non al livello dei primi tre- ma completamente sprecato, è vero). Per fortuna è stato preceduto da un ottimo terzo capitolo: alla prima sequenza memorabile che hai citato associo anche la battuta bastarda altrettanto memorabile rivolta da Bradley a Kevin Bernhardt… “Ti è piaciuta la ragazza? Anche a me” 😉
P.S. Revelations purtroppo l’ho visto. Di fronte a roba come quella, persino gli altri seguiti riescono a brillare di luce propria (per quanto, trovo che almeno il quinto e il settimo non siano poi del tutto da buttar via) 😦
Sì, perché in pratica presentarono al regista un’altro film e lui decise che era meglio non firmarlo. Una brutta storia, quello del quarto Hellraiser.
E sì, in confronto a Revelations, tutti gli altri capitoli sono dei capolavori 😀
Adoro sia i Cenobiti che i Notturni come un pò tutto l’immaginario di Barker. La scena del terzo capitolo che Pinhead che mima e sbeffegia la crocifissione è una delle mie preferite del cinema Horror.
P.S. Sapevi che in una scena del suo ultimo libro The Scarlet Gospel Barker fa dire a Pinhead cosa ne pensa del suo soprannome? Un mago fa l’errore di chiamarlo cosi e non fa una bella fine…
No, sapevo che Barker non ama affatto il soprannome 😀
Questo dettaglio è molto gustoso.
Ok… te l’avevo detto che passavo. Concordo su tutta la linea ed è un piacere che ci sia chi come te opera un revival così competente avendo gusti molto simili…
Mi sono sempre chiesto per quale motivo una saga comunque ben strutturata, con un cattivo promettentissimo come LeadCenobite, non avesse avuto il successo che Freddy o Jason o MM avevano riscosso… credo molto, moltissimo, stia nella non immediata semplicità delle “vocazioni” e delle “ragioni” dietro la figura di Pinhead… è proprio la morbosità complessa del binomio sesso/dolore, negli anni ’80 così semplici e diretti, ad aver tenuto lo splatter e l’extreme ai margini rispetto al più semplice slasher ed all’horror più rassicurante. Tu come te lo spieghi?
Ma io penso che sia più che altro un problema cronologico. Michael, Jason e Freddy appartengono a un’altra stagione dell’horror e hanno una funzione diversissima.
Pinhead arriva nel 1988, in pieno body horror, e quasi a cavallo degli anni ’90, quando l’horror ha smesso di essere un fenomeno di massa al botteghino ed è finito nei cestoni dei vhs.
Nightmare è, a suo modo, un film concettualmente estremo. E così il primo Halloween. Ma sono slasher e lo slasher non contempla, di per sé, un grande ammontare di splatter o deformazione del corpo.
Certo, se guardiamo il fenomeno in senso cronologico, non c’è grinza. Eppure sono anche convinto che siano proprio alcune tematiche non dichiaratamente easy a renderlo più di nicchia. Del resto, lo stesso romanzo da cui proviene il primo Hellraiser in Italia non ebbe grandissimo successo – più o meno come tutto lo splatterpunk (come genere di intrattenimento e riflessione)…
Ma forse in questa valutazione sono pesantemente condizionato da mie riflessioni personali sulla scarsissima diffusione di opere ed autori come la Brite e la Jacob (o il nostrano Battiago) che assieme a Barker o da Barker hanno cominciato a scrivere…
Ma in Italia l’horror ha sempre avuto una diffusione minore, soprattutto a partire dalla fine dell’esperienza del cinema di genere nel nostro paese. C’è stato un momento in cui in libreria trovavi ogni autore horror, anche quelli più viscerali, senza alcuna difficoltà. Poi sono spariti.
E l’ebook non ha purtroppo aiutato… ovvio, escludendo il mercato dei testi in lingua originale che fortunatamente è invece ormai a portata di click