No, questo non è un post sul fatto che i cinecomics abbiano rotto le scatole, perché non lo penso e non me ne perdo uno neanche per sbaglio. Qui sul blog capita una volta l’anno (due, quando proprio sono in vena di esagerare) che si parli di supereroi, perché non mi sento così esperta in materia da mettermi a disquisire su quanto, come, fino a che punto i vari film che stanno uscendo uno dietro l’altro in questo periodo, siano aderenti ai testi di riferimento, rispettosi degli universi narrativi a cui appartengono e in grado di soddisfare i fan delle varie testate fumettistiche. Lascio questo tipo di lavoro ad altri che lo sanno fare meglio di me.
Qui si è sempre parlato di cinema, tra alti e bassi, e intendo continuare a farlo. Quindi, per una volta tanto, vorrei provare a fare un’analisi dei film di supereroi da un punto di vista esclusivamente cinematografico. O, almeno, mi piacerebbe provarci, perché ogni grossa produzione che si cimenta nel genere (ormai è un genere a sé stante) ha un suo approccio particolare, che vale la pena prendere in considerazione, che può essere efficace in alcuni casi, fallimentare in altri, portare alla riuscita di bei film o di ottimi spettacoli che, però, con il cinema hanno sempre meno a che spartire.
Parto subito da un presupposto di carattere soggettivo: se penso ai tre colossi arrivati in sala tra aprile e maggio, in ordine cronologico, Batman v Superman: Dawn of Justice, Captain America: Civil War e X-Men: Apocalypse, il mio preferito è l’ultimo, perché al timone non c’è un qualche executive Marvel e neanche un macellaio come Snyder, ma un signore che si chiama Bryan Singer, che tiene in mano la saga dagli albori (tranne due film, gli altri sono tutti suoi) e che lascia la sua impronta, in quanto regista e non galoppino, su ogni fotogramma del film.
E capisco che questa è davvero un’opinione minoritaria, come capisco anche che Civil War sia un prodotto più compatto, coeso, basato su una formula che si è dimostrata vincente e sia in grado di funzionare come intrattenimento in maniera pressoché perfetta.
Ma a me interessa il cinema. E c’è più cinema in una sola scena (prediamo a esempio quella di Magneto nel bosco, che non racconto onde evitare spoiler) di X-Men Apocalypse che in tutto il carrozzone Marvel dal 2008 a oggi. Fatte, logicamente, le dovute eccezioni: il primo e (parzialmente) il secondo Avengers e I Guardiani della Galassia. Il motivo? La presenza di due registi con una personalità propria, Joss Whedon (che infatti è stato fatto fuori in favore dei più docili e accondiscendenti fratelli Russo) e James Gunn (che ancora resiste, forse in virtù del peso minoritario della sua sua saga rispetto alle altre).
Ormai, i film del MCU si sviluppano secondo uno schema che è proprio delle serie tv: c’è uno showrunner che imposta uno stile ben definito e poi ci sono i registi che si avvicendano nel dirigere i vari episodi, senza che questo influenzi, neanche in minima parte, la loro resa visiva, concettuale, contenutistica, che è predeterminata in partenza. Per metterla giù semplice, ci potrei essere pure io a dire azione e stop sul set e non cambierebbe niente. Quando sentite dire: “i film Marvel sono tutti uguali”, sentite dire una cosa vera, ma non va intesa come una critica. L’obiettivo del MCU è quello, uniformità totale, che permette allo spettatore di sapere già in anticipo cosa lo aspetterà, una volta seduto in sala. Per portare sullo schermo un universo narrativo vasto come quello della Marvel, non esiste un metodo migliore, anche perché non sono prodotti rivolti a un pubblico di appassionati di cinema. Alla Marvel, del cinema frega quanto può fregare a me della numismatica. Ciò che conta, ai fini della resa del prodotto, è che si possano vedere i supereroi in azione su grande schermo.
E si vedono, ci si diverte come matti a vederli, io per prima mi diverto, ma sono consapevole di non star assistendo a un film, ma a un qualcosa di diverso, da un certo punto di vista, inedito, un esperimento riuscito che andrà avanti fino a quando il suo pubblico di riferimento non si stuferà e non si sposterà su altri spettacoli.
Il MCU è una catena di montaggio dove ogni singolo componente fa il proprio dovere e si mette al servizio della causa, un imponente, luccicante, meraviglioso circo che sbaraglia tutti i suoi avversari puntando su una coerenza interna che deve essere ferrea e, in quanto tale, non può permettersi quella cosa chiamata personalità. Non può permettersi il cinema, insomma.
Sul fronte DC, sembra quasi di vedere la nascita di una brutta imitazione di un modello, quello MCU, irripetibile. Trovatisi orfani di Nolan e della patina di rispettabilitá che il regista aveva conferito alla saga cinematografica di Batman, la DC/Warner ha pensato di correre ai ripari, tentando di battere la concorrenza sul suo stesso terreno: l’universo narrativo condiviso. Si è affidata a Snyder per mettere in scena il primo tassello di un mosaico che dovrebbe portare alla formazione della Justice League e ha fatto partire gli altri film, destinati a uscire a scadenze regolari. Vediamo che succede con Wonder Woman, ma BvS (per quanto non mi sia affatto dispiaciuto, per molti motivi, al di là dell’argomento principale del post) è un bel pasticcio, a cui manca proprio la lenta e progressiva costruzione di personaggi e linee narrative che, alla Marvel, è iniziata la bellezza di otto anni fa. L’impressione è che sia stato tutto assemblato in fretta, quasi non si volesse capire che l’anima del progetto MCU è sempre stata una attenta programmazione.
Ciò non toglie che BvS sia il miglior film di Snyder e, ve lo giuro, ammetterlo mi costa tantissimo. Tutto ciò che funziona poco e male quando si tratta di gettare le basi affinché anche la DC abbia il suo Cinematic Universe, è comunque compensato da una fortissima impronta (non ci credo che lo sto per scrivere) autoriale che Snyder ha infuso al film. Nel bene (poco) e nel male (tantissimo), BvS è un film di Zack Snyder, prima ancora di essere un film su Superman, Batman e l’embrione della Justice League.
Ed è, forse, proprio questo il suo problema principale, se si ragiona secondo il “modello Marvel”, che ha, tra i suoi valori fondanti, anche la spersonalizzazione. Questo ha permesso di licenziare gente come Edgar Wright, assumere il primo che passava da quelle parti, e condurre comunque in porto una cosetta dignitosa come Ant-Man. Nessuno, tra dieci anni, si ricorderà chi c’era dietro la macchina da presa per tutti questi film. Ma comunque ancora ci ricordiamo che, a dirigere Batman a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90, c’era Tim Burton e che lo Spiderman del 2002 era di Sam Raimi. Creature dei registi, prima che degli studi di produzione. La Marvel (con la Disney, non ce lo dimentichiamo) ha realizzato un qualcosa di inconcepibile, fino a qualche anno fa: ha azzerato completamente il peso del regista nell’economia di un film. Non che altri non ci abbiano provato, per carità e, spesso, la logica del blockbuster hollywoodiano è proprio quella legata al regista di servizio. Ma mai era stato fatto a questi livelli, in maniera scientifica, chirurgica e, duole dirlo, con una discreta resa artistica.
E la Fox? La povera, sfigatissima Fox si tiene aggrappata ai diritti sugli X-Men perché ha combinato un disastro epocale con i Fantastici 4, proprio tentando di esautorare un giovane regista talentuoso, stroncandogli la carriera, sottraendogli il film sotto al naso e presentando al pubblico una roba indecorosa. Più che aggrapparsi agli X-Men, si aggrappa a Bryan Singer, che è il papà dei mutanti cinematografici e può anche permettersi di dirigere i film come vuole lui.
Ed ecco che X-Men: Apocalypse è il film di supereroi più cinematografico che vi capiterà di vedere su grande schermo. A livello di sceneggiatura, possiede tutti i difetti tipici degli altri prodotti sui supereroi, sono endemici al genere e derivano dalla necessità di comprimere universi narrativi giganteschi in un paio d’ore di montato. Decine di personaggi, una quantità impressionante di avvenimenti, tutto spiegato nei minimi dettagli perché ci si possa godere il film singolo anche se non si sono viste le puntate precedenti. Ma alla Marvel si perdona ogni cosa, mentre si accusa Singer di aver messo troppa carne al fuoco. A me pare che in ogni film di questo tipo la carne al fuoco sia troppa e non me frega assolutamente niente. Non cerco la logica in una storia di uomini in tutina, soprattutto se si tratta comunque della versione per tutti di una narrazione che, su carta, è per forza di cose più complessa e sfaccettata.
Faccio parte di una fascia di pubblico un po’ strana: non sono un’appassionata di fumetti, sono una cinematografara (non cinefila, per la carità di Dio) e, per quanto mi riguarda, non c’è scazzottata tra Iron Man, Capitan America e Bucky Burnes che tenga, se posso vedere una singola sequenza che mi ricorda che non sono a uno spettacolo pirotecnico, ma in una sala buia a vedere un film.
E di grandi sequenze, girate da chi vuole esprimere la sua visione personale, pur raccontando una storia di stampo popolare, in Apocalypse ce ne sono a pacchi e tonnellate. C’è direzione degli attori, c’è il gusto per la bella inquadratura, c’è l’occhio di un innamorato di cinema che è lì per intrattenere, ma anche per fare bene il proprio mestiere. Che non è dire sì al capoccia Marvel di turno. Ma fare il regista.
Singer fa il regista quando arriva il momento per Jean Grey di scatenare i suoi poteri, fa il regista quando si tratta di introdurre Angel e Nightcrawler, quando bisogna, per esigenze produttive, far scatenare di nuovo Quicksilver e spararla più grossa della volta precedente. Colleziona momenti di cinema e non lo ringrazierò mai abbastanza per questo. Ma il suo sguardo unico si evince non soltanto dalle scene più roboanti. Singer non è uno spaccone come Snyder, è un talento più sottile, quasi invisibile.
Eppure non anonimo. È una presenza che permea il film, il suo film. Non il film degli X-Men, il film di Bryan Singer.
Ora, sta a voi scegliere quale approccio preferite. Non siamo tutti cinematografari e va benissimo così. Spero soltanto che gli X-Men non cadano mai sotto l’egida del MCU. Non per altro, ma solo perché vorrei ancora poter scegliere di andare al cinema a vedere un film. Anche se si tratta di un blockbuster con i supereroi, non è detto che il modello proposto dalla Marvel sia l’unico possibile.
Di cosa vuoi, Quicksilver che salva tutti sulle note di Sweet dreams è memorabile
Quella è davvero una scena enorme.
Ti giuro: avevo la pelle d’oca…
Che poi è la stessa logica delle serie televisive. Stessi personaggi, stessi attori, registi diversi. Eppure anche lì, la personalità del regista vero emerge sempre.
Dipende anche qui moltissimo dalla forza dello showrunner. Pensa a TWD: io fatico a rendermi conto dei cambi in cabina di regia, ma questo proprio perché si tende sempre ad assumere registi molto docili.
Pensa anche a True Detective: nella seconda stagione manca un po’ un’impronta visiva chiara, com’era successo nella prima, con tutti gli episodi affidati a un unico regista.
E niente, condivido in BLOCCO.
Hai riassunto benissimo quello che ancora non sono riuscito a mettere online sui tre film (per motivi di tempo MIO, spero di farcela in settimana)
Anche io, per motivi di tempo, ho preferito un consuntivo rispetto a un’analisi di ogni singolo film 😉
No io invece ho scelto la lenta agonia XD troppe cose da dire
Parlando di supereroi al cinema, io mi sono imposto da parecchio tempo una regola fissa: separare gli originali universi narrativi cartacei da quelli cinematografici -con un occhio di riguardo, semmai, alla produzione fumettistica derivata- che così posso cercare di seguire senza la sterile e “fanboysta” necessità di spaccare ogni microsecondo il proverbiale capello in quattro: questo vale per la DC/Warner, per il MCU e per la Fox mutante (sì, solo gli X-Men: i Fantastici 4 sono un terribile incidente di percorso, nient’altro) con le loro non piccole differenze di approccio al mondo supereroistico che hai ben sviscerato nel post.
Riguardo agli X-Men cinematografici, poi, dopo anni dovrebbe ormai essere chiaro a tutti quanto siano molto più “figli” del Bryan Singer regista che non dello Stan Lee editore/produttore/fumettista (come è stato anche per lo Spiderman di Raimi, appunto)… dico dovrebbe, perché dalle critiche circa la troppa carne al fuoco, l’affastellamento e la bidimensionalità dei personaggi, l’incongruenza con le controparti cartacee ecc.ecc. rivolte a X-Men: Apocalypse mi pare invece non sia stato capito nemmeno questo 😦
Ma l’incongruenza è presente anche nel MCU, solo che pare nessuno voglia farci caso. Al MCU si perdona tutto, perché ha un successo stratosferico. Sono bravissimi, per carità, l’ho anche scritto, solo che c’è un’acquiescenza nei confronti di tutto ciò che fanno, che un pochino mi spaventa.
Ti ho scelto per i Liebster Awards di quest’anno. Quando vuoi passa da me per il riconoscimento…Bye!
http://lastanzadigordie.blogspot.it/
[…] anche – e sopratutto – dai cinecomics. (Molte delle cose che penso le ho ritrovate sul post di una nostra amica, che vi consiglio di leggere, e cercherò quindi di non […]
Non sono olto d’accordo con la frase “a livello di sceneggiatura, possiede tutti i difetti tipici degli altri prodotti sui supereroi, sono endemici al genere e derivano dalla necessità di comprimere universi narrativi giganteschi in un paio d’ore di montato”. Nel senso che convengo con te che X-Men abbia una sceneggiatura poco coesa e troppo confusionaria, ma altri film, come il quasi contemporaneo Civil War, riescono a superare questo limite. In questo senso, ho trovato Civil War nettamente superiore ad X-Men, come ho scritto da me. E’ vero che Synger è un signor regista e si vede, ma la differenza rispetto agli altri film MArvel (compreso Civil War) non la vedo così evidente.
Io tutta questa sceneggiatura di ferro, in Civil War, non l’ho vista.
A me pare che alla Marvel si perdoni tutto quanto, mentre invece, stringi stringi, alla fine le conclusioni della cosiddetta “guerra civile” sono virtualmente identiche a quelle, tanto vituperate, di BvS.