I Cavalieri dalle Lunghe Ombre

long_riders_ver3_xlg Regia – Walter Hill (1980)

È impossibile, per me, rispondere alla domanda su quale sia il mio film di Hill preferito, perché è una domanda crudele, l’equivalente di “vuoi più bene a mamma o a papà?”. Ma, se proprio dovessi dire, costretta con le spalle al muro, quale tra le sue opere ha l’impatto emotivo più violento sulla sottoscritta, risponderei di sicuro The Long Riders. Sarà per la colonna sonora di Ry Cooder, qui alla prima di una serie di proficue collaborazioni col regista, sarà per quella sparatoria finale, così drammatica, intensa ed esteticamente superba che quasi fa male al cuore. O forse sarà perché si tratta del primo western di Walter Hill e certe cose, se sei uno spettatore un minimo suggestionabile, ti restano dentro e non te le levi più di dosso.
Perché il western, per la generazione di registi di cui Hill fa parte, era una specie di ossessione. Erano tutti stati nutriti, e si erano formati culturalmente, guardando i grandi western dell’epoca d’oro di Hollywood. E poi avevano assistito, un po’ più grandicelli, e alcuni di loro agli albori della loro carriera, a quello che un signore chiamato Peckinpah aveva combinato con il western.

L'uomo più bello del mondo

L’uomo più bello del mondo

L’influenza del cinema d’autore europeo arriva in un secondo momento, a consapevolezza cinematografica ormai acquisita. Ma la fascinazione per i generi hollywoodiani, western tra tutti, è un qualcosa che ti segna quando sei un ragazzino affamato di film e te ne stai in sala, a bocca aperta, a guardare John Ford e Howard Hawks.
E tutto questo, quando si vede The Long Riders, ritorna alla mente, filtrato attraverso il cinema degli anni ’70, la calata degli autori sul terreno hollywoodiano, lo scardinamento dei generi classici, il sorgere di un nuovo modo di fare cinema, contaminato e imbastardito.
I Cavalieri dalle Lunghe Ombre. Jesse James secondo Walter Hill. E cosa mai potremmo chiedere di più, al Dio del cinema?

Sembra quasi assurdo pensare che si tratta di un film su commissione. Eppure, sono stati i fratelli James e Stacy Keach a proporre una sceneggiatura a Walter Hill. Ai due era venuto in mente di voler interpretare Jesse e Frank James. A quel punto, l’idea dei fratelli si è estesa e così, a interpretare i Miller sono stati chiamati Randy e Dennis Quaid, a interpretare i Younger  sono arrivati i Carradine, Keith, David e Robert e, a recitare nel ruolo dei due Ford, che misero fine alla vita di Jesse James, ci sono i fratelli Guest.
Il progetto viene finanziato dalla United Artist, ma non è che i soldi siano poi molti, come al solito e allora quasi tutto il cast rinuncia a parte del compenso e si accredita come produttore esecutivo. Non è un film costoso, The Long Riders, appena sette milioni e mezzo di dollari.
Il film, non senza difficoltà, viene portato a termine e presentato, in concorso, al festival di Cannes nel 1980, dove passa inosservato. Non è stato neanche un grande successo di pubblico e, a oggi, va ad aggiungersi alla già folta schiera di capolavori dimenticati di Walter Hill. Non possiede lo status di cult venerato che ha I Guerrieri e non può vantare il seguito dei film di Hill degli anni ’80, Danko e 48 Ore su tutti. Se ne sta lì, isolato, come se fosse quasi un episodio spurio nella sua carriera. E invece The Long Riders è Hill al massimo della sua forza espressiva. Un film su dei fuorilegge e ribelli diretto da un fuorilegge e da un ribelle, profondamente americano per trama e ambientazione, ma con il solito occhio al cinema d’autore europeo, da cui Hill recupera gli elementi realistici e minimali della messa in scena, accoppiandoli a un racconto dal respiro epico su una banda di rapinatori negli anni immediatamente successivi alla Guerra Civile.

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The jokes are funny but the bullets are real. That’s really what this movie is about. These were big, reckless, high-spirited guys that were unaware of the ripples they caused.” 
Hill pensava che il film fosse parecchio strano, con la sua atmosfera familiare, dovuta al cast composto quasi interamente da fratelli, la leggerezza con cui i protagonisti vivono il rischio costante di essere catturati, uccisi nel corso di una sparatoria o impiccati, la scarsa consapevolezza dell’aura di leggenda che gli si stava creando intorno e la percezione delle loro azioni non come atti criminali, ma come una sorta di vendetta per il Sud sconfitto.
Eppure, i proiettili sono reali. Feriscono, uccidono, fanno schizzare il sangue sul terreno e colpiscono soprattutto persone innocenti, come il contadino che tiene l’intera banda nascosta nel suo fienile e viene ucciso a sangue freddo dalla polizia nordista. O il fratello minore degli Younger, di appena 15 anni, che non si vede mai in campo, ma muore a causa di un fumogeno che gli esplode dentro casa.
Ed è proprio quando i ragazzi della banda iniziano ad acquisire una certa coscienza della reazione a catena di morte causata da loro che il film cambia tono e si fa cupo e dolentejokes diminuiscono e aumentano i bullets, fino a quando non restano soltanto quelli.

Anche lo stile di Hill si modifica in corso d’opera, aumenta la violenza mostrata in campo, aumenta il sangue che sgorga dai fori di proiettile, i rapporti tra i componenti della banda cominciano a incrinarsi e Hill sottolinea questa degenerazione isolando sempre di più i vari personaggi, che prima erano sempre presentati come un gruppo compatto, che si muoveva in sintonia. Fa anche una cosa che, nel suo cinema, può essere considerata relativamente una novità: usa tantissimo il ralenty. In Hard Times, in Driver, persino ne I Guerrieri della Notte, dove la violenza aveva, in un certo senso, un ruolo simile a quello che ha in The Long Riders, le sequenze d’azione più concitate non erano rimarcate con l’enfasi del rallentatore. Qui, al contrario, abbiamo la sequenza, già citata in apertura di post, della fuga dopo la rapina finita malissimo. Diversi minuti di ralenty continuo. Una scena che è poesia pura applicata all’azione.

Non è un espediente retorico, non serve a Hill per rendere le cose più grandi di quello che sono: siamo assistendo alla fine di un sogno, lo sappiamo, lo abbiamo sempre saputo. La progressione narrativa del film non poteva che condurci lì. Ma Hill è un regista, da sempre, refrattario a ogni forma di retorica. e il suo è un cinema secco e scarnificato, spogliato da tutto ciò che non è necessario.
Nel caso della rapina a Northfield, il ralenty è una necessità. Siamo stati insieme a questi personaggi per quasi un’ora e mezza e la loro sconfitta, ineluttabile, deve essere narrata in quel modo. Perché quella fuga, con i cavalli che sfondano delle grosse vetrate e saltano i muretti, il sangue che esplode dalle ferite (memorabile quella in faccia a Keith Carradine) e nessuna colonna sonora se non quella dei rumori degli zoccoli sul terreno e delle pallottole che sibilano intorno ai nostri eroi, segna il punto di non ritorno. Ma comunque Hill è sempre il solito: per non caricare troppo, toglie la musica, in un film che è pieno zeppo di musica, quella è forse l’unica scena dove non la sentiamo.
Riprende dopo l’abbandono, da parte di Jesse e Frank, del resto della banda, per un film che ha già raggiunto il suo culmine e termina, volutamente, in maniera anticlimatica, con un epilogo amaro e dai toni sommessi.
The Long Riders è uno di quei pezzi di cinema da contemplare estasiati. Non ci si stanca mai di vederlo e, ogni volta, si apprende qualcosa di nuovo. Da qui in poi, fino a metà anni ’90, Hill avrebbe infilato un’apoteosi dietro l’altra. Ma la purezza adamantina di questo film resta un qualcosa di irraggiungibile.

20 commenti

  1. Alessandro Cruciani · ·

    possibile che non l’abbia mai visto?

    1. Perché è un film dimenticato. Però ora recuperalo 😀

  2. Struggente, malinconica, dolorosa ballata southern. Uno dei miei film preferiti. Peraltro penso che la storia della banda James sia tra le più tragiche, amare e allo stesso tempo “americane” nelle sue contraddizioni e ricerca di gloria forse fino ai tempi di bonnie e clyde o dillinger. Memorabile pellicola che amo visceralmente.

    1. Tanto, tantissimo amore per questo film.

  3. Lo ricordo. E lo ricordo soprattutto perchè nel suo omaggio al Wild Bunch di Peckinpah non potevo fare altro che onorarlo!

    1. E che omaggio, fratellone 🙂

      1. Un tributo forse è termine più corretto

  4. Alberto · ·

    Splendido, splendido. Chissà perchè nei miei ricordi lo accoppio sempre a I guerrieri della palude silenziosa. Forse per l’assonanza nel titolo. Comunque, uno di quei film che rimpiango di non aver visto al cinema.

    1. Anche perché c’è Keith Carradine in entrambi e la colonna sonora è sempre di Cooder.
      Lo rimpiango anche io… rimpiango di non aver visto al cinema neanche un film di Walter Hill.

      1. Alberto · ·

        Come, neanche uno? Non per chiedere gli anni che non si fa, ma avrei scommesso che dai ’90 l’età ce l’avevi. In ogni caso io mi persi I cavalieri dalle lunghe ombre perchè nel cinemino del mio paese non arrivò – l’anno prima avevano invece preso I guerrieri della notte che fu il mio primo Hill su grande schermo.

        1. Aspetta, che sciocca… Ho visto al cinema Undisputed!

  5. La sparatoria finale in cui li fanno girare in tondo mi sembra quasi da film horror e se noti in un cameo c’è James Remar vestito da indiano con mi sembra la giacchetta dei Warriors(se non sbaglio lo stemma era un’indiano).
    Aspetto il prossimo Hil,I guerrieri della palude silenziosa un’altro capolavoro.
    Un saluto Lucia.

    1. Sì, che fa la lotta al coltello con Carradine 🙂

  6. dinogargano · ·

    Visto al cinema , quando è uscito , in effetti un film che non si dimentica , soprattutto perché girato in un periodo in cui si sentiva dire in lungo ed in largo che il western era morto , poi è arrivato Silverado , ma sono passati anni … e tutto è ricominciato .

    1. Il western viene dato periodicamente per spacciato. Poi ritorna, magari in forme un po’ diverse, magari aggiornato o, come dicono quelli bravi, destrutturato. Ma alla fine, è sempre lui. Non muore mai.

  7. Bello ❤ ❤ ❤ poco da aggiungere, hai già detto tutto te ❤ ❤ ❤

    1. Grazie! E sì, è un film meraviglioso

  8. Giuseppe · ·

    io non riesco a capire come un Walter Hill a questi livelli possa essere finito nel dimenticatoio: questo è un GRANDISSIMO western, un SIGNOR western che dovrebbe ancora oggi essere proiettato in sala, altroché!

    1. Ma infatti, sarebbe il caso di restaurarlo e riportarlo al cinema in tutto il suo glorioso splendore ❤

      1. Giuseppe · ·

        Noi l’idea l’abbiamo lanciata, e adesso che si sbrighino a metterla in pratica! 😉

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