Io sono stanca.
Sono stanca di vedere e parlare di brutti film. Anche una volta al mese comincia a darmi fastidio, perché, vedete, non è vero che uno spera di trovarsi di fronte a qualche perla nascosta e dimenticata nel mare magnum delle uscite horror mensili. Sono cazzate: dopo un certo periodo di tempo si sviluppa una sorta di sesto senso e si sa già, in anticipo, cosa si sta per guardare.
E farlo consapevolmente è da stronzi. Soprattutto, farlo perché poi non hai idea di cosa scrivere nella tua rubrica mensile del blog, ti fa sentire stronzo due volte.
E quindi, basta così, questa è l’ultima volta che parliamo di porcherie da queste parti. Se dovessi incappare, non in maniera intenzionale, in profonde delusioni cinematografiche, me lo terrò per me, a meno che non senta di avere qualcosa di diverso da dire, oltre alla semplice stroncatura, che ha smesso di divertirmi da un bel po’.
È proprio l’idea di una rubrica fissa a stressarmi. Sono arrivata al punto in cui mi sentivo in obbligo di cercare spazzatura.
Ecco, anche no, grazie.
I tre film di cui parleremo oggi saranno gli ultimi. Tanto lo sapete già da soli quali film vedere e quali evitare. Non sono io a dovervelo dire.
L’idea del misterioso camionista che insegue automobilisti su stradoni deserti è vecchia, trita e stantia. Ma c’è ancora qualcuno che si sente molto Spileberg agli esordi e pretende di rifare Duel, ma con due ragazze su una Mustang rossa e una palese incapacità di dirigere scene di inseguimento.
Adesso, le suddette sequenze sarebbero poi il motivo principale per sedersi un’ora e mezza davanti a Wrecker, di Michael Bafaro.
Solo che diventa difficile trovare qualcosa di difendibile in un film dove non c’è neanche un’inquadratura in cui si vedano i due veicoli insieme. A Bafaro (che non è un pivellino, ha nove titoli, brutti, in carriera) piacciono tanto le soggettive dalla prospettiva del guidatore, così tanto che ci mette solo quelle. Oppure i controcampi sulle facce basite delle due protagoniste. Non propriamente attrici eccezionali. Una è Anna Hutchison, che abbiamo visto in The Cabin in the Woods e l’altra è una sconosciuta. Entrambe danno l’impressione di non sapere, non dico come recitare, ma almeno come stare di fronte a una macchina da presa.
Aggiungete che tutta la violenza è messa sistematicamente fuori campo e che, in compenso, ci dobbiamo sorbire le pene d’amore di una delle due ragazze, in viaggio per dimenticare il tradimento subito dal fidanzato, ed ecco che il motivo per cui ho deciso di smetterla con i brutti film vi sarà molto più chiaro.
L’espressione perplessa dell’orso in locandina dice tutto.
E a me dispiace, non di certo per Billy Bob Thornton, che tanto lui si è riciclato con tranquillità in tv e comunque ha la carriera cinematografica in caduta libera ormai da una quindicina d’anni a questa parte. Mi dispiace per Scott Glenn che meriterebbe un po’ di dignità in più. E mi dispiace moltissimo per Thomas Jane, a cui voglio un bene dell’anima e che non può continuare a essere sottovalutato in questo modo barbaro.
James Marsden è invece nel suo habitat naturale, quasi più dei grizzly presenti nel film. Lui in questi prodotti a carisma zero ci sguazza beato. Sono alla sua portata e non è degno di altro.
Storia di due fratelli ex cacciatori di orsi che si ritrovano a dover inseguire (e a essere inseguiti da) un grizzly impazzito. Com’è ovvio, tra i due c’è della vecchia ruggine, un conflitto insanabile che verrà tuttavia sanato durante questa lotta disperata (vi piacerebbe) per la sopravvivenza.
Personaggio da culto, Piper Perabo, che in teoria sarebbe una fotografa naturalista abituata ad avere a che fare con bestie feroci, ma in pratica, ogni santa volta in cui si trova in pericolo, finisce chiappe a terra a strisciare sui gomiti e a fare la faccetta impaurita fino a quando uno dei due maschi alfa non accorre a salvarla.
E il resto è noia mortale.
E qui c’è un discorsetto più complicato da fare ed è relativo al modo in cui ormai vengono recepite dal pubblico certe categorie di produzioni.
Ovvero, il famoso gusto per il brutto che se non ti diverti a vedere film di merda non sei abbastanza figo.
E la colpa è della Asylum, riscattatasi da poco per quel gioiellino di Z Nation (che della sua casa madre mantiene solo la follia, ma è in tutto e per tutto una serie professionale). Da quando la Asylum ha dimostrato di saperci fare con la promozione dei suoi filmacci, è diventato lecito, e anzi auspicabile, realizzare prodotti al di sotto degli standard qualitativi anche della peggior soap opera mai apparsa su un piccolo schermo. Bastava ci fossero i mostri.
E le donnine nude. Imprescindibili le donnine nude. Possibilmente con capacità recitative pari a quelle di un bulldog assonnato.
Ecco, The Sand non porta il marchio Asylum, ma è fatto con la stessa filosofia.
E fa schifo.
L’idea alla base del film è pure divertente, sa di fumetto macabro anni ’80 e in effetti è La Zattera, ma con la spiaggia al posto del lago.
Dopo un party notturno, alcuni ragazzi si risvegliano con un discreto dopo sbronza e si accorgono che tutti i loro amici sono spariti nel nulla. Quattro dei protagonisti sono in macchina, due sulla torretta del bagnino, e il terzo incastrato in un barile (sì, lo so. Non è colpa mia). Una quinta se ne sta (nuda) sdraiata su una panchina. Si alza e la sabbia se la mangia.
Ora, io non ho nulla contro la sabbia assassina che ti divora, strappandoti via la pelle: ci sta benissimo in un film a episodi alla Creepshow. Ma sostenere un lungometraggio così, e per di più con un budget ridicolo, un regista incompetente e un gruppo di attori cani, diventa complicato.
E non mi interessa la scusa del piccolo film fatto con pochi soldi, perché non si tratta di questo, non è cinema indipendente, è cinema commerciale nel senso più deteriore e offensivo del termine, fatto con il solo intento di guadagnare il massimo con il minimo sforzo.
Si giunge alla canonica durata di un’ora e mezza allungando e stiracchiando all’inverosimile dialoghi da fucilazione, primi piani infiniti di reazioni che neanche nella filodrammatica della parrocchia e, tanto per cambiare, dettagli insistiti su tette e culi.
Quando poi si passa a mostrare le conseguenze dell’entrare in contatto con la sabbia del titolo, la CGI suscita pena e ribrezzo. Io so che c’è chi apprezza questa roba e la prende a ridere.
Per me è solo la morte catastrofica del cinema. E non c’è proprio un cazzo da ridere.
Quindi, coi film di merda ho chiuso e lascio la palla ad altri.
D’ora in poi, qui da me, solo cose belle.
Quanto mi devasta umanamente il plaudire al brutto al grido di : ma è traaaaashhh! Si ride
Se volessi ridere, avrei un Buster Keaton nel dvd.
Però codesta storia della spiaggia che ingoia le persone non è nuova, c’era un film di inizi anni 80, o comunque di quel periodo che trasmettevano qualche volta su tmc. No? O sto delirando?
Sì, era Blood Beach, del 1980 😀
Ma era un po’ diverso. Questo, come struttura, è proprio La Zattera. Pari pari. E fa schifo, ma l’ho già detto 😉
Brava sorellina. L’indifferenza e l’oblio per il brutto sono le armi che preferisco
Solo indifferenza, infatti. E solo bei film, d’ora in poi.
Giusto dare risalto a chi merita. E basta!
Anche a me pare di ricordare qualcosa con la sabbia predatrice; ma sono notoriamente di memoria difettosa. Comunque approvo: abbasta col trash volontario.
Sì sì, ricordi bene, vedi commento sotto 😉
Bel post , riguardo alle capacità interpretative , la mia boxerina se la gioca con Piper o con chiunque , dovresti vedere quando interpreta quella che non mangia da un mese …. e la ciotola è ancora sporca di sugo …
La tua boxerina farebbe un figurone in film ben migliori di questi 😉
Le persone venivano ingoiate dalla sabbia, per poi riemergere “diverse”, in Invaders from Mars, del ’53. Non ricordo se succedesse anche nel remake del 1986.
Comunque quelli erano film dignitosi.
Questi, no.
Mi ricordo una cosa del genere anche nel remake.
E poi sì, come dicono altri commentatori qui sotto, c’è il Blood Beach degli anni ’80
E comunque è il giusto destino per cotanta merdaviglia su pellicola… Se si devono dedicare tempo e soldi a qualcosa, che almeno questo qualcosa ne sia meritevole! Quindi non altre dolorose recensioni, d’ora in poi, ma solo l’insabbiamento (appunto) 😉
P.S. A Marsden, considerando anche quest’ultima minchiata con plantigradi, consiglierei caldamente di restare legato SOLO agli X-Men…
Credo che un film brutto vada recensito solo se viene incontrato per caso. Andarseli a cercare è autolesionistico!
Complimenti per il blog 🙂