Ricominciamo, dopo la pausa estiva, con i brevi consuntivi di tutte le brutture a cui mi sono volontariamente sottoposta negli ultimi mesi. In realtà non sono proprio tutte, anzi. La maggior parte non verrà neppure menzionata, perché il mio masochismo ha dei limiti e mi ha impedito di arrivare fino in fondo al film. Qui restano solo gli obbrobri visti dalla prima all’ultima inquadratura.
Sì, magari addormentandomi tra una stronzata e l’altra. Giusto pochi minuti di sonno. Il mio cervello reagisce ai pessimi film andando in stand by e per tenerlo sveglio devo prenderlo a calci. O promettergli una maratona di Michael Mann come compensazione.
Come sempre, avverto il gentile pubblico che quanto segue non è consigliabile ai deboli di stomaco e a chiunque possieda il più elementare buongusto, e procedo all’elenco.
Cominciamo con I-Lived, il cui titolo dovrebbe essere ragion sufficiente per non avvicinarsi al film neanche se armati di bastone.
Ma, vedete, sono in parte giustificata: il regista è Franck Khalfoun, già pupillo di Alexandre Aja, nonché responsabile del recente remake di Maniac. Mentre aspettavo il suo Amityville: The Awakening (nel frattempo hanno posticipato la data di distribuzione al 2016), ho scoperto che, addirittura dopo aver completato il nuovo capitolo di Amityville, il nostro aveva diretto anche questo film, incentrato su una app malvagia.
Eh, lo so…
Josh è un giovanotto spiantato e sfigatissimo, che vorrebbe sbarcare il lunario recensendo app per smartphone su un canale youtube. La fidanzata lo ha giustamente mollato perché è un personaggio scritto coi piedi, la padrona di casa lo perseguita chiedendogli l’affitto arretrato da mesi (e tutti si domandano perché non lo abbia sbattuto fuori, dato che è simpatico come uno sciame di formiche nei pantaloni)e, come se non bastasse, sua madre sta molto male.
Recensisce la app I-Lived che dà il titolo al film, una specie di motivatore, che ti aiuta a raggiungere degli obiettivi facendoti superare delle piccole prove. Per esempio, perdere dei chili in un determinato lasso di tempo. Usando la sulfurea app, Josh si accorge che le cose ricominciano a girare per il verso giusto e, quando le prove da superare cominciano a diventare prima imbarazzanti, poi moralmente discutibili e, infine, apertamente criminali, Josh si rende conto con rammarico di aver accettato le condizioni del servizio senza averle prima lette.
Già.
I-Lived è un horror socialmente utile che ci avvisa di quanto sia pericoloso cliccare su “Accetto i termini e le condizoni” senza sapere cosa stiamo accettando.
O forse bastava semplicemente leggere il nome della app al contrario, cosa che Josh fa con quei sei o sette mesi di ritardo rispetto agli spettatori, rimanendoci oltretutto di stucco, con musica sinistra in sottofondo.
Giuro che non ho inventato niente e che questa è la trama del film. Non mi pare il caso di aggiungere altro, tranne che ora le mie aspettative sull’Amityville diretto da Khalfoun si sono drasticamente ridotte. E il fatto che persino la Blumhouse abbia difficoltà a distribuirlo, fa presagire un’altra porcheria da ritrovare a breve su queste stesse pagine.
A me dispiace per Abigail Breslin. Sono convinta che abbia un talento enorme e che possa dare tanto al genere. Lo ha dimostrato con Maggie e spero che possa dare ottima prova di sé nella serie slasher in arrivo il 22 settembre, Scream Queens. Ma spero anche che la sua partecipazione a questo indigeribile pastrocchio, dal titolo fuorviante e inopportuno di Final Girl, venga dimenticata in fretta.
Lei si impegna pure, non è di certo la presenza della Breslin il problema del film.
Il problema è che non è un film, ma lo show reel di un ragazzino presuntuoso che usa il genere per dimostrare al mondo che lui ha stile da vendere.
Però, ecco, se insieme allo stile forse avesse ricordato di allegare una sceneggiatura, tutto questo non sarebbe mai accaduto.
La Breslin interpreta un’orfanella, prelevata quando è ancora un bambina dall’istituto in cui si trova da un Wes Bentely completamente fuori parte. Viene poi arruolata in una misteriosa (e farraginosa) organizzazione che ha lo scopo di punire i responsabili di crimini ignoti alle autorità, e quindi destinati a restare impuniti. Sì, il rumore che sentite è quello degli stuzzicadenti su cui si regge questa storia complicata, pesantissima e piena di lacune che si spezzano uno a uno, facendo schiantare al suolo il film dopo neanche un quarto d’ora.
La prima missione della Breslin dopo l’addestramento è quella di farla pagare a un gruppo di quattro giovinastri ricchi che amano sedurre e poi uccidere ragazze bionde.
Il tutto è ambientato in una dimensione al di fuori dello spazio e del tempo e totalmente decontestualizzata, ove il nostro esordiente Tyler Shields può divertirsi a comporre sequenze che a lui devono essere sembrate di elevato impatto estetico e di raffinata eleganza. In realtà si tratta di una serie di videoclip appiccicati l’uno all’altro con lo sputo per arrivare a durare un’ora e mezza.
E se ve lo state chiedendo, la vendetta della Breslin è quasi del tutto anemica, perché al regista interessa inserire i propri personaggi in un’atmosfera cerebrale e rarefatta, con illuminazione di impianto pseudo teatrale, costumi anacronistici e violenza zero.
Final Girl si gioca persino la carta del trip allucinogeno, con la scusa di una droga che materializza le peggiori paure di chi la assume.
Neanche si ride, perché prosopopea e spocchia sono tali da suscitare solo fastidio, un tantinello di ribrezzo e quel pizzico di pietà che non ci sta mai male.
Evitatelo come la peste bubbonica.
Non possiamo archiviare la pratica porcherie senza l’apporto della Blumhouse. Intendiamoci, io a Jason Blum non voglio affatto male. Riconosco che il suo lavoro ha del miracoloso e che gran parte dell periodo fortunato che l’horror più commerciale sta vivendo a livello di incassi e di presenza nelle sale, è dovuto a lui. Potrei persino arrivare ad affermare (dopo averne bevuti un paio) che tra mezzo secolo ci ricorderemo di Blum con lo stesso affetto che ora riserviamo a Roger Corman, anche se spero di essere già morta quando accadrà una cosa del genere.
Però dopo un po’ pure basta, perché al found footage numero quattrocentoventisette, identico a tutti gli altri quattrocentoventisei found footage che lo hanno preceduto, può succedere che uno si stufi e che la formuletta inizi a mostrare la corda.
Capisco le esigenze dovute al basso costo e, ancora più importanti, quelle dovute al marchio di fabbrica della casa di produzione, ma se riesci con quattro lire in croce a mettere in piedi un gioiellino come Unfriended, non mi ti puoi presentare, a distanza di pochi mesi, con la fiera delle banalità rappresentata da The Gallows. Non è una questione di budget, ma di semplice scrittura.
Durante una rappresentazione teatrale scolastica, per un malfunzionamento della forca di scena uno degli studenti attori ci lascia le penne.
Vent’anni dopo, la compagnia teatrale del liceo decide di riportare sul palco quella stessa rappresentazione. Tra i protagonisti c’è il capitano della squadra di footbal che è del tutto incapace a recitare, ma ha una cotta bestiale per la prima attrice, cotta che teme di confessare ai suoi amici atleti, dato che i teatranti, nel culturalmente avanzatissimo ambiente della scuola superiore americana, sono considerati al più infimo gradino della scala sociale.
Il ragazzo, intelligente come un criceto, non riesce a memorizzare le battute e il suo migliore amico (nonché facente funzione di tizio generico e stronzo portatore di telecamera), per salvargli la faccia, partorisce con grande sforzo l’idea di introdursi di notte nel teatro, la sera precedente la prima, e fare a pezzi tutte le scenografie.
Inutile dire che ci saranno sinistre presenze, vendicative, incazzate, e con la tendenza a uscire di sorpresa dagli angoli bui, accompagnate da uno sbalzo di volume.
A prescindere da come la pensiate sulla telecamerina traballante, le riprese amatoriali e gli interminabili minuti di gente che corre e grida “fuck” a ripetizione, The Gallows è un film sbagliato dall’inizio alla fine. Non è un problema legato allo stile (o assenza di esso). Quella è una scelta che a me quasi mai piace, ma non posso prendermela con un found footage perché è un found footage.
Il problema sta nei personaggi, nella storia, nella prevedibilità di ogni singolo avvenimento, nell’uso insistito dell’apparizione improvvisa per veicolare la paura e, in una mezz’ora e più di film in cui non accade nulla e dobbiamo sorbirci il tizio portatore di telecamera che brutalizza i ragazzini rei di partecipare allo spettacolo. Pare quasi Glee, se in Glee ci fossero operatori col delirium tremens e se Glee fosse una serie dalla parte dei bulli.
È troppo chiedere un personaggio che sia, non dico amabile, ma almeno non detestabile?
Evidentemente a Blum piace così. E chi sono io per contraddirlo? Fino a quando supera di gran lunga i costi di produzione di quasi ogni suo film, avrà sempre ragione lui.
Alla prossima.
Resisti, Guillermo sta arrivando!
Il 16 ottobre, vero? ❤
I-Lived sembra “13 Sins” (che già era una bella porcarie) dell’era degli Smatphone, concordo in pieno con te, è carina solo l’idea del titolo del film, da leggere al contrario 😉 Gli altri due lì devo ancora vedere, ma ne ho sentito parlare malissimo da chiunque, che magari veramente il alternativa mi faccio quella maratorna di Mann (la famosa Mannatona) 😉 Cheers!
Abigail Breslin e cresciuta,Wes Bentley me lo ricordo nel pregevole P-2 con Rachel Nichols(yum),i found footage li trovo orribili.
16 ottobre (o 15 ora mi sfugge) negli USA, qui il 22. 🙂
Ma sai che a me invece i-Lived è piaciuto? Sì, è proprio stupidino e sempliciotto, pare una cosa vecchia che arriva tardi quando ormai non interessa più, e per di più arriva così di grana grossa che dà quasi fastidio, e invece secondo me è costruito bene, il protagonista scemo è fatto scemo con un certo stile, e c’è una discreta struttura dietro le sue sfighe. Poi, certo, non è all’altezza di Unfriended e della sua gestione miracolosa dei teen movie (però anche la storia era sempliciotta, il bello stava nei dettagli e nei personaggi), ma fossero tutti così i film sugli adolescenti! 🙂
Ma io ci ho provato in tutti i modi a farmelo piacere, I-Lived, solo che è davvero troppo, troppo scemo. E sa tanto di occasione sprecata, perché l’idea di fondo di queste app che ti vogliono motivare ad avere successo e a essere un figo, che si rivelano strumenti del demonio, in teoria non mi dispiaceva.
Ma non ce l’ho fatta a reggere il protagonista.
E la sua spalla comica mi ha definitivamente ammazzato.
Il Zinefilo ringrazia e segna tutto! 😀
Pane per i tuoi denti 😀
Spero che per Khalfoun questo sia semplice incidente di percorso, e che davvero non si tiri dietro pure il prossimo Amityville… 😦
I-Lived non l’ho visto, sconoscevo anzi del tutto la sua esistenza, mentre ho visto gli altri due.
Final Girl è effettivamente una mezza boiata dalla premessa ridicola e dallo sviluppo claudicante, peraltro assai debitrice nell’atmosfera del sottovalutato The lost. Invece The gallows tutto sommato l’ho trovato godibile: concordo sulle critiche alla stupidità dei personaggi (che alla fine in un horror del genere ci stanno), meno sull’utlizzo di “bu-bu-settete”, visto che secondo me le scene di tensione sono gestite in maniera meno superficiale rispetto alla media dei found footages; e il finale non è neanhe poi malaccio.
Sarà che io sono terribilmente stanca di quel genere di film. Non del found footage in sé, perché esistono ottimi esempi di found footage (The Atticus Institute, per esempio), ma di questo tipo di found footage in particolare. Ormai sono prevedibili dall’inizio alla fine e le tipologie di esseri umani messi in scena sono sempre le stesse. Sono anche stufa dei personaggi che, dato che si tratta di un horror, è giusto che siano stronzi.