Regia – Miguel Angel Vivas (2015)
Oh no, un altro zombie movie!
Vi capisco: ho pensato la stessa cosa quando, nel bel mezzo delle mie vacanze, una giornata di pioggia mi ha costretta in casa, senza connessione, e ho dovuto ripiegare sui film che mi ero portata da Roma nell’hard disk. Spicca nel mucchio questo Extinction, non tanto per il tema in sé (ormai possiamo dirlo che i morti viventi ci hanno frantumato gli attributi), quanto per il nome del regista che, cinque anni fa, aveva diretto il ferocissimo Secuestrados.
Quelli bravi sembrano sparire dalla circolazione e poi rispuntano quando meno te lo aspetti. Extincion è una coproduzione europea che coinvolge Francia, Spagna e Ungheria, è stato girato a Budapest ed è tratto dal romanzo Y Pese a Todo… dello scrittore spagnolo Juan de Dios Garduño. Il cast è quasi interamente americano e il film è girato in inglese. Il budget è risicato, eppure vi posso assicurare che la cosa non si nota affatto, se non nei totali in cui gli zombi vengono mostrati a figura intera e, per forza di cose, in CGI. Ma è davvero un difettuccio di poco conto, se si considera quanto le creature sono invece ben curate nei dettagli e nei primi piani.
E comunque, dopo i primi dieci o quindici minuti, degli zombie in quanto tali vi importerà sempre meno.
Perché questo è il classico film che si regge tutto sulle spalle degli attori (cinque in tutto, due dei quali appaiono per pochissime scene) e sulla capacità del regista di raccontare una (bella) storia.
La storia, non intesa come semplice scusa per mostrarci abbuffate zombesche, ammazzamenti di massa, trippe e budella al vento (e anche un paio di culi, dai, che non guastano mai), ma come base fondante del film. Una storia che si svela e si sviluppa poco a poco. La storia di due uomini, dei loro rimorsi e fallimenti esistenziali e di un odio reciproco coltivato per anni. La storia di una bambina, a cui si vorrebbe dare un futuro, anche nel bel mezzo dell’apocalisse.
Comincia a pandemia già avanzata, Extinction: un gruppo di civili su uno scuolabus, per essere evacuati non si sa bene dove. L’incipit è molto classico, e anche un po’ confuso. Vivas abusa della macchina a mano, mentre i morti viventi assaltano il pulmino e compiono la canonica strage, che sta lì solo per avvisarci che sì, le cose si stanno mettendo davvero male.
Tra i sopravvissuti, la regia si concentra su una donna con un neonato e i suoi due compagni di viaggio, Patrick (Matthew Fox) e Jack (Jeffrey Donovan). Lei viene morsa, il neonato no.
Saltiamo in avanti di nove anni e ci ritroviamo in una landa desolata di ghiaccio e neve, la cittadina fittizia di Harmony.
Il neonato è diventato la bambina Lu, cresciuta da Jack, che cerca di darle un’educazione e un’istruzione normali, mentre Patrick vive da reietto con un cane nella casa di fronte. I due sono separati da una rete metallica, non si rivolgono la parola, Jack non vuole che Patrick si avvicini alla bambina.
La minaccia dei morti viventi sembra essere stata sventata. Non ce ne sono più, secondo Jack. Il freddo li ha distrutti.
Ma non è proprio così. Una nuova specie di zombie, evoluti e adattati al clima rigido, sta per fare la sua comparsa. E Patrick e Jack dovranno per forza collaborare, seppellire vecchi rancori e riaprire vecchie ferite, se vogliono salvare la vita di Lu.
Siamo abituati ad associare l’apocalisse al deserto. Un’umanità morente nel ghiaccio è più desueta, meno sfruttata dal cinema. Forse è un problema di location, delle difficoltà che si incontrano a girare sotto la neve e col freddo. Oppure è pigrizia: una volta che un immaginario è ben fissato nella mente degli spettatori non si ha la voglia o la forza di sovvertirlo. Sta di fatto che un’apocalisse zombie nel cuore dell’inverno più gelido è una rarità.
Vivas non può neanche contare su molti degli schemi precostituiti dell’horror glaciale. Il budget permette pochi panorami innevati e le scelte narrative prediligono gli interni agli esterni. Inoltre non ci viene concesso alcun contrasto cromatico cui la neve facilmente si presterebbe: niente spruzzi di sangue rosso sul candore del terreno, per esempio. Di sangue ce n’è infatti pochino e quasi tutto viene utilizzato nella sequenza d’apertura.
Tutto ciò che accade nel film si svolge tra gli appartamenti dei tre protagonisti, il vialetto recintato che li separa e un centro commerciale poco distante dove si vanno a procurare il cibo.
Eppure, nonostante il film duri quasi due ore, sia estremamente riflessivo, scarno nei dialoghi, con poca azione, il ritmo non cala un solo istante, da un lato grazie alla bravura tecnica di Vivas, che riesce a stupirci con una messa in scena molto diversa dalla frenesia del suo film precedente (e dal caos dell’inizio di questo). Extinction è dinamico, ma senza diventare mai frammentario. La regia è morbida, non ha (quasi) mai bisogno di tramortire lo spettatore, ma preferisce accompagnarlo alla scoperta del perché i due protagonisti siano arrivati a odiarsi a tal punto.
E qui torniamo al concetto di storia, e al come ogni storia dovrebbe essere narrata: i flashback saranno al massimo due o tre, molto brevi e significativi. Non c’è bisogno di spiegare tutto, ma di mettere a disposizione di chi guarda tutti i tasselli necessari e fare in modo che li componga da solo. I due personaggi sono tratteggiati con delicatezza ed empatia. Stessa cosa per la bambina. Ed è sempre molto complicato rappresentare i bambini nel cinema dell’orrore e renderli credibili.
Quando i nuovi zombie si manifestano, aumentano di numero e mettono in pericolo l’esistenza dei nostri protagonisti, noi abbiamo investito in loro e soffriamo con loro, anche se da quel momento in poi, Extinction prende una piega un po’ più classica con tanto di assedio notturno, i nostri barricati in casa e l’orda di creature malefiche (molto somiglianti ai mostriciattoli di The Descent) che tenta in tutti i modi di assaltare il fortino.
Ci sono un paio di ingenuità sparse, nonché qualche piccolo buco logico (perché tenere prigioniero uno zombie?) e un’ultima parte che dà l’impressione di un rientro brusco e precipitoso nei canoni dello zombie movie tipico, dopo essere riusciti a staccarsene senza neppure troppa fatica.
Ma vale lo stesso la pena vederlo, Extinction.
Perché è un film sui sentimenti che utilizza gli zombie per raccontare di coraggio e redenzione. Perché è serissimo, del tutto privo di ammiccamenti, svuotato di consapevolezze ironiche e citazionismo un tanto al chilo.
Perché è un esempio di come si possa narrare una storia d’amore senza inserire neanche una sola scena d’amore in tutto il film, tranne un brevissimo flashback sul finale, straziante proprio per la sua brevità.
Perché il genere dedicato ai nostri cari morti viventi ha ancora molte cose da dire, basta sapere come dirle. Basta non adagiarsi. Basta essere, noi spettatori per primi, un po’ più esigenti e non accontentarci di The Walking Dead, tanto per fare un esempio.
Insomma, io fossi in voi, una serata con Extinction la passerei. Basta che si astengano dalla visione quelli che senza splatter non premono neppure il tasto play: resterebbero molto delusi.
L’HD da portare in vacanza è fondamentale 😉 Ho letto a balzi perchè a mio volta ho questo titolo nell’HD, quindi conto di vederlo appena riesco 😉 Cheers!
Ho visto proprio ieri il film che ha ispirato Romero per La notte dei morti viventi,L’ultimo uomo sulla terra in pratica il pilone dove c’era gia tutto l’assedio notturno,il protagonista che uccide da solo,solitudine,l’ho trovato pure superiore al film di Romero ed era girato a Roma!!
Un’altro bel filmettino che consigliò e Right at your door.
Bentornata.
Avevo adocchiato questo film e me l’ero segnato per la presenza di Donovan, che di solito è una garanzia di qualità.
Grazie per aver confermato che le mie aspettative erano motivate 🙂
Attorone, in un ruolo niente affatto semplice. La sua interpretazione è un ulteriore punto di forza del film.
Sono rimasta davvero stupita dalla qualità generale.
L’ho visto qualche giorno fa e mi è piaciuto. Anche se ha rubacchiato di qua e di là alcune cose, è sicuramente un film meglio riuscito di tante megaproduzioni da sala. Vivas aveva già giocato con i non morti nel corto I’ll See You in My Dreams, e mi era piaciuto.