Regia – Levan Gabriadze (2014)
Ho dei sentimenti molto contrastanti nei confronti di Unfriended che, lo dico subito a scanso di equivoci, si è rivelato una visione piacevole e, a tratti, sorprendente per come riesce a non essere mai noioso, nonostante non abbia un briciolo di ritmo, non necessiti di una regia e rappresenti, se proprio vogliamo dirla tutta, la morte del cinema inteso come racconto per immagini.
Non necessita di una regia perché è stato interamente girato con una telecamera sulla spalla della protagonista, a riprendere lo schermo del suo computer, mentre gli altri attori si trovavano in stanze differenti di una stessa casa. Ci sono voluti vari, lunghi take per portare a termine il film, ma il risultato che abbiamo di fronte è (così dicono) stato realizzato in tempo reale. Hanno girato tutto il materiale in circa sei giorni, se si includono i filmati di youtube a cui assistono i cinque personaggi principali e un paio di pick up poi inseriti nel film tra una schermata di facebook e l’altra.
Il che ci porta al problema del ritmo: Unfriended non ha un montaggio, o meglio, il montaggio è rappresentato dalle finestre che vengono messe in primo piano di volta in volta e, sebbene sia presente qualche stacco ben camuffato, non può avere un ritmo e, per forza di cose, dura molto poco, non arrivando neppure ai canonici 90 minuti.
Non è il primo film (e non sarà neanche l’ultimo) che si svolge interamente sullo schermo di un pc ma, rispetto al pregevole The Den e all’orripilante Open Windows, è ancora più statico e spartano. Tutto ciò che vediamo è una chat di gruppo su Skype, destinata a finire malissimo.
Eppure, funziona. E funziona per svariati motivi, nessuno dei quali di natura strettamente cinematografica. Oddio, l’idea stilistica è anche forte, persino inedita.
Se il mockumentary è il grado zero del cinema, un prodotto come Unfriended è il grado sotto zero. A parte l’abbattimento dei costi (budget di circa un milione di dollari), non presenta alcun cambio di location, lavora pochissimo sulle luci, ha a stento una colonna sonora (la protagonista ascolta un po’ di musica su un programma simil Spotify) e si basa essenzialmente su due cose: la credibilità degli attori e il realismo assoluto e spicciolo della situazione. Ma attenti, perché a questo punto entra in gioco anche un terzo elemento, che è la sceneggiatura. E la sceneggiatura di Unfriended, scritta da Nelson Greaves è di quelle ad alto tasso di intelligenza.
Qualcuno mette su Youtube un video imbarazzante e umiliante di una ragazza, Laura Barnes. In seguito alla pubblicazione del video, inizia il bullismo online, che diventa così insopportabile da portare la ragazza al suicidio. Un anno dopo, cinque amici stanno passando la serata in chat e un senso componente si unisce al gruppo. Un account fantasma, che non si riesce in nessun modo a bannare. L’account inizia a minacciare tutti i presenti in chat e, poco dopo, dalle minacce passa ai fatti, spingendoli al suicidio uno dopo l’altro. Ma prima di farli fuori, bada bene a mettere a portare allo scoperto tutti i loro più sporchi segreti. E si scoprirà che i cinque amici tanto amici non sono. E che quel gruppetto di allegri adolescenti middle class è in realtà un covo di vipere.
Unfriended (prodotto dall’onnipresente Jason Blum) è stato un progetto travagliato, con cinque o sei riscritture alle spalle e tante scene (ma il termine scena non è esattissimo) rigirate molte volte. Se guardate con attenzione il trailer internazionale dopo aver visto il film, vi renderete conto che metà delle immagini presenti nel trailer è assente nel final cut del film.
All’inizio, il fantasma di Laura non doveva neanche essere un fantasma, ma un suo amico in carne e ossa che si vendicava della sua morte, torturando i colpevoli online. Poi si è optato per la soluzione soprannaturale, che non lascia spazio ad alcuna ambiguità sin da quando alla protagonista Blaire arriva un messaggio privato su Facebook dal profilo della defunta Laura. Sì, magari lo spettatore resta nel dubbio cinque secondi, ma alla prima morte in campo ogni dubbio svanisce e sappiamo benissimo con cosa si ha a che fare.
E questa è la prima idea intelligente dello script: così si evita, a prescindere, quell’atteggiamento tra lo spaventato, l’ignorante e l’oscurantista che è parte integrante di moltissimi horror tecnologici degli ultimi anni. Lo spauracchio non è il maniaco in chat (signora mia, questo internet è così pericoloso per i nostri ragazzi), ma uno spettro vendicativo nella migliore tradizione del gotico, inserito però in un contesto contemporaneo, dove i computer non sono niente altro che semplici oggetti di uso comune. E finalmente.
Non c’è la figura mistica dell’hacker che spinge a casaccio i tasti e usa il linguaggio di chi ne sa a pacchi, probabilmente mutuato da ricerche intensive su Google del povero sceneggiatore di turno, a cui è stato detto che “i giovani d’oggi parlano tecnologico”. C’è un ragazzo che magari è appena un po’ più smanettone degli altri, ma i suoi amici sanno a stento inoltrare un messaggio su Gmail.
E qui arriva la seconda idea intelligente del film: facciamo un uso intensivo e limitatissimo di cose che non sappiamo esattamente come funzionino. Abbiamo tra le mani delle macchine le cui potenzialità ci sono ignote e le utilizziamo per cazzeggiare su Skype e Facebook. Realismo, dicevamo. Forse Unfriended è il primo horror davvero realistico sul nostro rapporto con i computer e la tecnologia in generale.
Oggetti magici che compiono operazioni a noi ignote. Ottimi portali dunque, in un’ottica di narrativa gotica, per far irrompere il soprannaturale nelle nostre misere vite.
Sono intuizioni, niente più che semplici spunti. Unfriended non fa sermoni o pistolotti morali sulla tecnologia brutta e cattiva che ammazza la comunicazione e, signora mia, un tempo i ragazzi giocavano a pallone nel parco invece di stare tutto il giorno davanti a un pc o con lo smartphone in mano.
Unfriended è un horror soprannaturale dove il computer ha la sola funzione di essere veicolo della vendetta implacabile di un’anima disperata ai danni di quelle teste di cazzo dei suoi sedicenti amici, che prima l’hanno drogata, poi umiliata, poi esposta al pubblico ludibrio e infine spinta a togliersi la vita. E l’hanno passata liscia.
Una ghost story classica che più classica non si può: nonostante la forma ultra moderna, Unfriended è il racconto dell’uncino accanto al fuoco, è l’essenza delle paure primordiali. Avere a che fare con forze al di là dell’umana comprensione che vengono a riscuotere i debiti contratti dalla nostra meschinità.
Lo puoi girare su Skype o in un castello infestato, ma il succo non cambia. Ed è per questo che il film funziona.
Poi sì, ci sono momenti in cui sospendere l’incredulità diventa complicato. Dopo un po’, ti viene da chiederti per quale motivo non spengano quei fottuti pc, invece di restare avvinghiati allo schermo persino in punto di morte. Ma sono problemi endemici al genere e, se si accetta la premessa, si accetta anche lo svolgimento. Non penso sia possibile girare un film di questo tipo senza incorrere in voragini che si spalancano nella logica più elementare. È un po’ la stessa storia della telecamera che non smette mai di riprendere, neanche quando un mostro alto venti metri ti sta divorando vivo. La pretesa di eccessivo realismo porta sempre alla mancanza di realismo.
Però io, fossi in voi, un’occhiata a Unfriended la darei. Nella speranza di non ritrovarci con una tonnellata di filmetti girati e scritti da incompetenti perché tanto chiunque può farlo, com’è accaduto col found footage, potrebbe comunque essere un esperimento degno di un certo interesse. A patto che rimanga isolato.
Mi fa piacere vedere che abbiamo lo stesso rapporto conflittuale con questo film (per altro dammi il cinque alto, oggi abbiamo scritto dello stesso film), un film che inevitabilmente di fa meditare sulla tua età/rapporto con la tecnologia 😉 Ma soprattutto concordo sul fatto che, ok, questo e stato divertente, ma che non dicenti un abitudine eh? 😉 Cheers!
Il trailer mi ha poco attirato, invece sembra averli i suoi punti di forza.
consigli dunque?
Così, a pelle, non ci avrei scommesso un centesimo, ma leggendo la tua recensione vedo che questa tecno-vendetta d’oltretomba (ghost story classica ai tempi di Skype) qualcosa di buono pare avercelo, in effetti. E forse alcune voragini logiche sono solo apparenti, in quel contesto: se Laura Barnes ha deciso di tornare e vendicarsi tramite il pc, come entità soprannaturale può anche aver soggiogato le sue vittime a tal punto da impedir loro di spegnerlo, fino alla fine…
Purtroppo in una cittadina a 40 km da casa mia una ragazzina vittima di cyberbullismo si è suicidata qualche anno fa,parlando del film speriamo che non diventi un nuovo genere,gia i film non hanno più fine (o sono saghe o serial)quindi perdono l’unicità nel tempo.
Forse non sono il più adatto a guardare un film come questo (mai avuto FB, mai guardato un reality… nemmeno attraverso gli occhi della Gialappa’s)… ma vorrei dire una cosa amante del cinema: un ritmo narrativo che a confronto ‘Nascita di una nazione’ da’ una pista a MAD MAX FURY ROAD!!!
A questo ho preferito “The Den” e “Megan is missing”. Forse con degli attori piú convincenti ….